Il metallo assassino si alzò, curvò attraversando la stanza e tornò indietro.
Nella mente di Paul passarono in un lampo tutte le sue cognizioni relative al cercatore-assassino, e alle sue limitazioni. Il debole campo di sospensione distorceva la visuale dell’occhio trasmettitore. Senz’altra sorgente luminosa che la luce ambiente, l’operatore doveva affidarsi unicamente al movimento, scagliare cioè l’arma contro qualsiasi cosa si movesse. Paul aveva lasciato sul letto la cintura scudo. Una pistola laser avrebbe potuto abbatterlo, ma erano armi costose e delicate, richiedevano frequenti riparazioni, e c’era sempre il pericolo di causare un pericoloso «scoppio pirotecnico» se il raggio del laser toccava uno scudo attivato. Gli Atreides facevano tradizionalmente affidamento sui propri scudi e sulla propria abilità.
Ora Paul aveva assunto un’immobilità catatonica, sapendo che disponeva soltanto della propria abilità per affrontare il pericolo.
Il cercatore-assassino si alzò di un altro mezzo metro. Continuava a oscillare nella trama di ombre e luci della finestra, sondando la stanza.
Devo afferrarlo, pensò Paul. Il campo di sospensione lo rende scivoloso: devo afferrarlo strettamente.
L’oggetto tornò ad abbassarsi, ruotò a sinistra e girò intorno al letto. Produceva un debole ronzio.
Chi lo starà manovrando? si chiese Paul. È qualcuno qui vicino. Potrei chiamare Yueh, ma verrebbe ucciso nel preciso istante in cui apre la porta.
La porta esterna, alle spalle di Paul, cigolò. Un bussare discreto, poi la porta si aprì.
Il cercatore-assassino sfrecciò accanto alla sua testa, verso il movimento.
La mano destra di Paul scattò fulminea, e afferrò l’oggetto mortale. Il cercatore-assassino ronzò e si dibatté nelle sue mani, ma i muscoli del ragazzo si erano chiusi su di esso con la forza della disperazione. Si girò di scatto e colpì il metallo della porta con la punta. Udì fracassarsi l’occhio dell’oggetto tra le sue dita, e il cercatore gli morì tra le mani.
Ma continuò ancora a stringerlo.
Paul alzò gli occhi e incontrò lo sguardo azzurro e impavido della Shadout Mapes.
«Tuo padre mi ha inviato a cercarti» disse la Shadout. «Un gruppo di uomini ti aspetta nella Sala per scortarti.»
Paul annuì. I suoi occhi e tutta la sua attenzione si erano concentrati su questa strana donna avvolta nell’informe abito bruno degli schiavi. La donna fissava, adesso, l’oggetto che lui stringeva tra le mani.
«Ne ho sentito parlare» fece. «Mi avrebbe ucciso, non è vero?»
Paul inghiottì a fatica, e rispose: «L’obiettivo ero… io».
«Ma si stava precipitando su di me.»
«Perché ti muovevi.» E si chiese: Chi è questa creatura?
«Allora, mi hai salvato la vita.»
«Ho salvato la vita a tutt’e due.»
«Avresti potuto lasciare che mi colpisse, e fuggire» insistette la donna.
«Chi sei?» le chiese Paul.
«La Shadout Mapes, la governante.»
«Come sapevi dov’ero?»
«Me l’ha detto tua madre. L’ho incontrata nel corridoio, accanto alla scala che conduce alla camera strana.» Accennò alla porta. «Gli uomini ti stanno aspettando.»
Uomini di Hawat, pensò Paul. Dobbiamo scoprire chi azionava l’assassino!
«Corri da quegli uomini» ordinò. «Informali che ho preso un cercatore-assassino qui, nella casa. Devono perquisire l’edificio e scoprire chi lo manovrava. Di’ che sigillino immediatamente la casa e il terreno antistante. Loro sanno come fare. L’operatore è certamente uno straniero fra noi.»
E si chiese: Potrebbe essere questa donna? Ma sapeva che era impossibile. Il cercatore-assassino si trovava ancora sotto controllo quando lei era entrata.
«Prima che io esegua i tuoi ordini, giovanotto» disse Mapes, «devo purificare la strada tra noi. Tu hai posto su di me un fardello d’acqua che non sono certa di poter reggere. Ma noi Fremen paghiamo sempre i nostri debiti, bianchi o neri che siano. Noi sappiamo che c’è un traditore tra voi. Chi sia, non possiamo dirlo, ma siamo certi che esiste. Forse è la stessa mano che ha guidato quell’arma.»
Paul assimilò la notizia in silenzio: Un traditore. Ma prima ancora che potesse parlare, quella strana donna si era precipitata verso la porta.
Pensò di chiamarla indietro, ma c’era qualcosa in lei che lo arrestò. Non le sarebbe piaciuto. Gli aveva detto quello che sapeva, e ora eseguiva i suoi ordini. Fra un attimo, gli uomini di Hawat avrebbero invaso la casa.
La sua mente riandò ad altri frammenti di conversazione: la camera strana. Guardò a sinistra, nella direzione indicata dalla mano della donna. Noi Fremen. Così, era una Fremen. Attese, finché la sua memoria non ebbe perfettamente registrato il suo aspetto: un volto ascetico, bruno, rugoso, occhi azzurri su un fondo azzurro senza alcuna traccia di bianco. Vi applicò l’etichetta: La Shadnut Mapes.
Sempre stringendo l’assassino ucciso, Paul ritornò accanto al letto, raccolse con la sinistra la cintura scudo, se la fece girare intorno alla vita e l’affibbiò, mentre già correva nel corridoio.
Quella donna aveva detto che sua madre era laggiù… le scale… la camera strana.
Che cosa sostenne Lady Jessica, durante la sua disgrazia? Riflettete su questo proverbio Bene Gesserit, e forse capirete anche voi: «Qualsiasi strada, se seguita fino alla fine, non conduce da nessuna parte. Arrampicati solo un poco sulla montagna, per vedere se è una montagna. Dalla cima, non potresti vedere se è davvero una montagna».
In fondo all’ala sud, Jessica trovò una scala a chiocciola, con scalini di metallo, che saliva verso una porta ovale. Guardò indietro, verso il corridoio, e poi di nuovo, verso la porta.
Una porta ovale? si chiese. Che forma strana in una casa!
C’era una finestra, sotto la scala, e Jessica vide il grande sole bianco di Arrakis che scivolava verso la sera. Lunghe ombre si allungavano nella sala. Jessica rivolse nuovamente la sua attenzione alla scala. La viva luce che l’illuminava faceva spiccare dei frammenti di terra disseccata su ogni scalino. Jessica appoggiò una mano sulla ringhiera e cominciò a salire. La ringhiera era fredda sotto il suo palmo umido. Giunse davanti alla porta e si fermò. Non c’era maniglia, ma soltanto una lieve depressione dove la maniglia avrebbe dovuto esserci.
Non sarà per caso una serratura a palmo? si disse. Una simile serratura dev’essere sincronizzata sulla forma di una mano, e sulle linee del palmo. Ma sembrava proprio una serratura di quel tipo. E a scuola le avevano insegnato il modo di aprirla.
Jessica si guardò alle spalle per essere sicura che nessuno l’osservava, appoggiò il palmo della mano sulla depressione della porta… e poi si voltò, vedendo Mapes che si avvicinava ai piedi della scala.
«Ci sono degli uomini nella Grande Sala. Dicono che li ha mandati il Duca per scortare il Giovane Duca» disse Mapes. «Hanno il sigillo del Duca e le guardie li hanno identificati.» Guardò la porta ovale, e poi di nuovo Jessica.
Donna prudente, questa Mapes, pensò Jessica. Buon segno.
«È la quinta stanza su questo lato del corridoio, una piccola camera da letto» disse. «Se non riesci a svegliarlo, chiama il dottor Yueh, nella stanza accanto. Paul potrebbe aver bisogno di un’iniezione tonificante.»