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«Il vostro Kwisatz Haderach?»

«Sì, colui che può essere in molti luoghi contemporaneamente: lo Kwisatz Haderach. Molti uomini hanno tentato la droga… moltissimi! Ma nessuno c’è riuscito.»

«Tutti hanno tentato e fallito?»

«Oh, no.» Lei scosse la testa. «Hanno tentato e sono morti.»

Cercar di capire Muad’Dib senza capire i suoi mortali nemici, gli Harkonnen, è come cercar di vedere la Verità senza conoscere il Falso. È come cercar di vedere la Luce senza conoscere la Tenebra. È impossibile.

dal «Manuale di Muad’Dib», della Principessa Irulan

Un globo, la mappa in rilievo di un mondo, parzialmente oscurato, girava sotto la spinta di una mano grassoccia che scintillava di anelli. Il globo era sostenuto da un supporto snodabile su una parete di una stanza senza finestre; le altre pareti erano nascoste da una sorta di mosaico multicolore, pergamene, librofilm, nastri e bobine. Altri globi dorati irradiavano nella stanza una vaga luminosità, sospesi sui loro campi di forza.

Un tavolo ellittico con superficie rosa giada di legno di elacca pietrificato era al centro della stanza. Alcune sedie rigide, sospese, erano disposte intorno ad esso. Due erano occupate: una da un giovane dai capelli neri, di circa sedici anni, il viso rotondo e gli occhi corrucciati; l’altra da un uomo magro e di bassa statura, dal volto effeminato.

Ambedue, il ragazzo e l’uomo, fissavano il globo e l’individuo seminascosto che lo faceva girare.

Un sogghigno echeggiò accanto al globo. Una voce di basso seguì come il rombo di un tuono: «Eccola, Piter… la più grande trappola per uomini di tutta la storia. E il Duca si getta a capofitto tra le sue fauci! Io, il Barone Vladimir Harkonnen, l’ho preparata: non è magnifica?»

«Senza alcun dubbio, Barone» disse l’uomo. La sua voce era quella di un tenore di grazia.

La mano grassoccia calò sul globo, bloccandone la rotazione. Ora, tutti i presenti furono in grado di metterne a fuoco la superficie immobile: era quel tipo di mappamondo confezionato per i ricchi collezionisti o i governatori planetari dell’Impero. Tutto, in esso, suggeriva l’abilissima mano degli artigiani imperiali. Le linee della longitudine e della latitudine erano incise con sottili fili di platino. Le calotte polari erano meravigliosi diamanti lattiginosi incastonati.

La mano grassoccia si agitò, indicando i particolari della superficie. «Ti invito a osservare, Piter» tuonò la voce di basso, «a osservare da vicino e anche tu, Feyd-Rautha, mio caro: le deliziose increspature che si trovano qui, fra i sessanta gradi nord e i settanta gradi sud. Questi colori, simili a dolce caramello. Vedete? In nessun punto si scorgono i segni blu dei laghi, dei mari o dei fiumi. E le adorabili calotte polari, così piccole! Chi non riconoscerebbe questo mondo? Arrakis! Veramente unico. Uno scenario superbo per una vittoria unica nel suo genere!»

Un sorriso increspò le labbra di Piter. «E pensare, Barone, che l’Imperatore Padiscià è convinto di avere offerto al Duca il vostro pianeta della spezia. Che beffa piccante!»

«Parole sciocche» tuonò il Barone. «Le dici per confondere il giovane Feyd-Rautha, ma non è necessario confondere mio nipote.»

Il giovane dal volto corrucciato si agitò sulla sedia, lisciando una piega della sua nera calzamaglia. Poi sobbalzò, udendo bussare discretamente alla porta, alle sue spalle.

Piter si districò dalla sedia, si diresse alla porta, la socchiuse quel tanto che bastava per ritirare un messaggio. Chiuse la porta, srotolò il cilindro e l’esaminò attentamente. Sogghignò. Due volte.

«Allora?» chiese il Barone.

«Il pazzo ci ha risposto, Barone.»

«E quando mai un Atreides ha rifiutato l’occasione di mostrare la sua buona volontà?» ribatté il Barone. «Bene, che cosa dice?»

«È molto rozzo, Barone. Si rivolge a voi come ’Harkonnen’, niente, ’Sire et Cher Cousin’, nessun titolo, niente.»

«È un buon nome» ringhiò il Barone. Il suo tono tradì l’impazienza. «E cosa dice il caro Leto?»

«Dice: ’La tua offerta per un incontro è respinta. Spesse volte ho avuto a che fare con la tua perfidia: tutti lo sanno, fin troppo bene.’»

«E poi?» chiese il Barone.

«Dice: ’L’arte del kanly ha ancora i suoi ammiratori, nell’Impero.’ E si firma: ’Duca Leto di Arrakis’!» Piter scoppiò a ridere. «’Di Arrakis’! Ohimè! Questa è bella, anche troppo!»

«Fai silenzio, Piter» gl’intimò il Barone. (La risata si arrestò come allo scatto di un interruttore.) «Kanly, vero?» chiese. «Vendetta, eh? E ha usato le care, vecchie, simpatiche parole così ricche di tradizioni per essere sicuro che io intendessi perfettamente quello che voleva dire.»

«Voi avete fatto un gesto di pace» riprese Piter. «Le formalità sono state rispettate.»

«Per essere un Mentat, Piter, tu parli troppo» replicò il Barone. E pensò: Devo sbarazzarmi al più presto di costui. Ha quasi superato la sua utilità. Il Barone fissò il suo Mentat Assassino, sull’altro lato della stanza, considerando il connotato che la gente notava per primo: gli occhi. Due fenditure azzurre che sfumavano in un azzurro più intenso: occhi nei quali non c’era bianco.

Una smorfia attraversò il volto di Piter, come il sogghigno di una maschera sotto quegli occhi simili a fori. «Barone, mai vendetta è stata più bella. Un piano così squisitamente perfido: costringere Leto a scambiare Caladan con Dune… e senza alcuna alternativa, poiché è stato l’Imperatore stesso a ordinarlo. Che bello scherzo, Barone, da parte vostra!»

Freddamente, il Barone disse: «Parli troppo, Piter».

«Ma io sono felice, mio Barone. E voi… voi provate una punta di invidia!»

«Piter!»

«Ah, ah, Barone! Non è forse un peccato che voi siate stato incapace di divisare questo delizioso piano tutto da solo?»

«Uno di questi giorni ti farò strangolare, Piter.»

«Certamente, Barone. Enfin! Ma una cortesia non si dimentica mai, eh?»

«Hai masticato verite o semuta, Piter?»

«La verità, senza la paura che l’accompagni, stupisce il Barone» disse Piter. Il suo viso si contorse nella caricatura di una maschera aggrottata. «Ah, ah! Vedete, Barone, io so, poiché sono un Mentat, quando voi mi manderete al boia. Eviterete di farlo fin quando vi sarò utile. Muoversi prima sarebbe uno spreco, e io sono ancora molto utile. So cosa vi ha insegnato quel delizioso pianeta, Dune: non sprecare mai nulla. Non è vero, Barone?»

Il Barone continuò a fissare Piter.

Feyd-Rautha fremeva sulla sedia. Questi pazzi attaccabrighe! pensò. Mio zio non può parlare al suo Mentat senza litigare. Pensano che io non abbia altro da fare che ascoltare le loro discussioni?

«Feyd» l’interpellò il Barone, «quando ti ho invitato a venire qui, ti ho detto di ascoltare e imparare. Stai imparando?»

«Sì, zio.» Il tono era prudente e ossequioso.

«A volte mi chiedo di Piter…» cominciò il Barone. «Io procuro dolore per necessità, ma lui… giurerei che ne trae piacere. Per quanto mi riguarda, io provo pietà per il povero Duca Leto. Il dottor Yueh agirà contro di lui molto presto, e questa sarà la fine di tutti gli Atreides. Ma sicuramente Leto saprà di chi è la mano che guida quel dottore così malleabile… e saperlo sarà una cosa tremenda, per lui.»

«Allora, perché non avete ordinato al dottore di piantargli un kindjal tra le costole, con la massima calma e la massima efficacia?» ribatté Piter. «Voi parlate di pietà, ma…»