I giardini di Casa Alastrarra non avevano muri, ma siepi e alberi si allungavano a formare una barriera ininterrotta lungo i sentieri orlati di irndar, piante recanti il falcone, sigillo della casata. Dopo il tramonto, tali stemmi emanavano un inconfondibile bagliore blu – ve ne erano molti in quella splendida città -, ma di giorno un mago umano camuffato da elfo avrebbe dovuto vagare a lungo fino a trovare un luogo che corrispondesse all’immagine della sua mente.
Molti individui credevano che i servi degli dei sapessero ogni cosa e potessero vedere tutto ciò che accadeva, indipendentemente dai muri o dalle tenebre della notte. El sorrise ironicamente a quel pensiero. Mystra, forse, ma non i suoi Eletti.
Si fermò e rimase ancora una volta meravigliato dagli alberi che sembravano formare castelli fantastici dalle guglie graziose e irregolari. La kiira lo informò dell’esistenza di incantesimi che erano in grado di congiungere alberi vivi e modellarne la crescita, sebbene né Iymbryl né i suoi avi sapessero come operare tali magie, o chi nella città fosse capace di farle.
Fra i castelli di alberi giacevano case più piccole, con guglie di pietra e ciò che sembrava essere vetro soffiato. Dai giardini pensili che si estendevano sopra tali edifici si aveva l’impressione, tuttavia, che gli elfi non potessero vivere senza condividere il loro spazio vitale con piante o alberi di qualsiasi specie. Elminster cercò di non fissare le finestre circolari, le balconate minuziosamente ricavate, e le curve arrotondate che legno e roccia formavano tutt’intorno a lui, ma era inevitabilmente attratto da abitazioni di siffatta bellezza. Non era solo una casa ad affascinarlo ma strada dopo strada, un’intera città di alberi vivi collegati nella parte superiore, e uno splendore di giardini e vedute, di sculture magicamente animate, che superavano a dir poco i capolavori umani che El aveva avuto modo di vedere, persino nei giardini privati del re mago Ilhundyl.
Per tutti gli dei! A ogni piè sospinto si imbatteva in nuove meraviglie. Laggiù vi era una casa simile a un’onda che sta per infrangersi, con una stanza dal pavimento di vetro. Sopra la casa si osservava una cascata d’acqua diretta magicamente verso l’alto, così da poter precipitare fragorosamente di camera in camera, ognuna delle quali era di forma ovale e di vetro colorato; all’interno gli abitanti si aggiravano portando in mano oggetti di vetro. In fondo a quel viale alberato si snodava un sentiero che terminava in un piccolo specchio d’acqua rotondo, attorniato da seggiole incantate che volteggiavano in una lieve danza, muovendosi lentamente in su e in giù.
El proseguì la ricerca, ricordandosi di tanto in tanto di barcollare. Come fare a trovare Casa Alastrarra fra tutte quelle meraviglie?
In quel pomeriggio di sole Cormanthor brulicava di vita. Le strade di muschio battuto e i ponti sospesi tra gli alberi erano affollati, ma nulla avevano in comune con le vie sporche e intasate delle città umane, e nessuna creatura più intelligente di un gatto e del suo cugino alato, il tressym, era un non elfo.
Non sembrava nemmeno una città. Ma per El città significava pietra e umanità – a cui si mescolava qualche mezzo elfo e qualche nano -, che viveva nel proprio sudiciume, attorniata da grida incessanti, e sempre alle prese con qualche serio problema.
In quel luogo vi erano solo le trecce azzurre e la pelle lucente, di color bianco-blu, di elfi fieri che incedevano con vesti splendide, con mantelli che sembravano fatti interamente di foglie vive, verdi e tremolanti, o con pelli aderenti, trattate magicamente in modo che le tinte dell’arcobaleno si muovessero lentamente attorno al corpo, o ancora con costumi che sembravano non essere altro che nuvole di pizzi e ciondoli. Questi ultimi erano chiamati vesti fluttuanti, gli fece sapere la kiira, ed emettevano uno scampanellio continuo. El cercava di non posare troppo lo sguardo su quei corpi slanciati costantemente svelati dai loro movimenti.
Elminster si sforzava di non fissare nulla, nonché di sollevare appena lo sguardo, e di tanto in tanto, quando percepiva su di lui gli occhi di qualcuno, sospirava tristemente. Tale aria malinconica sembrava tranquillizzare i pochi passanti che gli prestavano un po’ d’attenzione. La maggior parte sembrava immersa nei propri pensieri o intenta a parlare con gli amici. Nonostante le voci tendessero a essere più acute, più leggere, e più piacevoli all’orecchio, gli elfi di Cormanthor chiacchieravano né più né meno come gli umani in un mercato. El riuscì a osservare di nascosto ciò che più desiderava vedere senza doversi fermare: come camminavano gli elfi, per poterli imitare.
Molti avevano un’andatura dondolante e ritmica, come i danzatori, ma ciò che più colpiva era il fatto che nessuno camminava sgraziatamente; persino gli elfi più alti e quelli che andavano di fretta sembravano danzare sulle punte. El fece altrettanto, e si domandò quando si sarebbe sentito meno impacciato.
Ma il disagio non scompariva e, mentre procedeva, svoltando in questa e in quella via, tra alberi giganti che si ergevano come torri di un castello dalle strade muschiose, Elminster cominciò a capire: qualcuno lo stava osservando.
Non si trattava degli sguardi casuali dei curiosi, o delle occhiate di elfi sorridenti e di gatti comodamente sdraiati, e nemmeno di destrieri alati che volteggiavano nel cielo, ma di un singolo paio di occhi, costantemente puntati su di lui.
Il principe cominciò a tornare sui propri passi, sperando di intravedere chiunque lo stesse seguendo, ma la sensazione divenne più intensa, come se la fonte della sorveglianza si stesse avvicinando. Una o due volte si fermò e si voltò indietro, come per osservare meglio un viale ampio, ma in realtà al fine di vedere chi stesse percorrendo la sua stessa strada, e cercare di individuare qualsiasi faccia fosse sempre presente.
Alcuni elfi lo guardarono perplessi, al che El si voltò rapidamente e proseguì. Le occhiate strane significavano che i passanti trovavano strano il suo comportamento. Non poteva assolutamente permettersi di attirare l’attenzione. Doveva procedere come aveva fatto fino ad allora, cercando di scrollarsi di dosso quella strana sensazione che gli solleticava le scapole e lo avvertiva della costante sorveglianza.
Quella città senza mura aveva forse qualche mezzo sinistro per identificare gli intrusi? Sicuramente, pensò il giovane mago, altrimenti sarebbero presto stati sommersi dagli uomini mutaforma chiamati alunsree, o sosia. Hmm, ma «alunsree» non era una parola elfa? La Gente doveva aver affrontato tali problemi quando ancora gli umani grugnivano nelle caverne e nelle capanne di fango.
Perciò era stato individuato da qualcuno. Qualcuno sufficientemente preoccupato da stargli dietro per tutto quel tempo, su e giù per tutte le strade e i viali di Cormanthor. Che cosa poteva fare?
Nulla, se non ciò che già stava facendo: cercare Casa Alastrarra senza sbandierare ai quattro venti la sua ansia. Non osava domandare indicazioni a nessuno, e sperava che nessuno gli offrisse aiuto, spinto magari dal suo strano comportamento, e soprattutto non intendeva invocare la magia della gemma del sapere, a meno che non si fosse trovato sull’orlo della disperazione.
Disperazione significava essere circondato da maghi elfi arrabbiati, con le mani pulsanti di magia che volevano a tutti i costi la sua morte. El si guardò intorno, come se da un momento all’altro tale pericolo potesse piombargli addosso da ogni direzione, ma la scena rimaneva quella di un giorno di festa. La gente danzava in piccoli gruppi oppure declamava grandiosamente mentre avanzava, con fare presuntuoso. Gli squilli dei corni annunciavano canzoni nuove, e verso est due cavalieri si rincorrevano nel cielo compiendo giri della morte, virate e picchiate, che spesso facevano vorticare le foglie degli alberi nella loro scia.
Se fosse stato per lui, El si sarebbe seduto su una delle tante panchine o sedili fluttuanti che fiancheggiavano le strade muschiose, e avrebbe osservato l’andirivieni di Cormanthor, affascinato. Se, tuttavia, fosse apparsa la sua vera forma, sarebbe stato sicuramente ucciso all’istante, e non avrebbe potuto portare a termine la missione affidatagli da Iymbryl. Ma dove diamine si trovava Casa Alastrarra, in quella distesa infinita di alberi? Camminava da ore, o almeno così gli pareva, e dalla luce comprese che il sole stava calando lentamente nel cielo occidentale. Con l’imbrunire crebbe in El la preoccupazione che la sua ombra misteriosa lo avrebbe attaccato.