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Un vecchio trucco usato dai ladri nella città di Hastarl consiste nell’agire con fredda condiscendenza se colti in un luogo in cui non dovrebbero essere. In mancanza di tempo per pensare, El lo mise in atto.

I cinque elfi stavano stappando bottiglie di vino decorate e si accingevano a versarle sopra cumuli di nocciole e verdure tagliate a cubetti su numerosi vassoi, che fluttuavano nell’aria in assenza di un tavolo, ma quando lo videro, si pietrificarono. El li aggirò offrendo loro un cenno tranquillo e altezzoso di riconoscimento: un sentimento che era ben lungi dal provare, poiché la gemma non conteneva immagini di servi: Iymbryl aveva evidentemente badato ben poco ai suoi subordinati. Poi proseguì verso il fondo alla sala, dove si trovavano piccoli giardini interni. Dietro di lui i servi mormorarono frasi e abbozzarono saluti frettolosi, che il giovane non smise di ricambiare.

Un improvviso scoppio di risa da una porta aperta sulla destra fece sì che i servi si rimettessero al lavoro e si dimenticassero di lui. El sorrise sollevato per la fortuna inviatagli da Mystra. Lungo il corridoio, in direzione opposta alla sua, una schiera di bottiglie in fila indiana stava volando a un metro e mezzo da terra, a una velocità spettacolare, ovviamente in risposta alle chiamate di un servo.

Una ragazza elfa usci danzando da un passaggio a volta davanti a lui, lungo la parete di destra, e lo guardò dritto in faccia. Si bloccò all’istante, il sorriso stampato sul volto. I suoi grandi occhi scuri si riempirono di sorpresa mentre ansimò: «Mio signore! Non vi aspettavamo a casa per altre tre albe!»

La giovane aveva un’aria entusiasta, e si accinse ad abbracciarlo. Oh, Mystra.

Di nuovo El fece ciò che aveva imparato nei bassifondi di Hastarl. Le strizzò l’occhio, si allontanò rapidamente lungo il corridoio, e si portò sornione un dito alle labbra: «Shhh».

Il trucco funzionò. La ragazza ridacchiò divertita, gli fece un cenno che prometteva estasi future, e se ne andò verso la sala. I suoi abiti leggeri turbinarono dietro di lei per un istante, mostrando il sigillo luminoso del falcone.

Naturalmente. Quel sigillo, portato anche dai cinque elfi incontrati alla porta, era la livrea del personale; per il resto i servi indossavano ciò che richiedeva la situazione.

E dalle memorie della kiira emerse il volto della ragazza, ora scomparsa dietro l’angolo, accompagnato dal suo nome: Yalanilue. Nel ricordo di Iymbryl, la giovane rideva proprio come aveva appena fatto, il viso vicino al suo. Ma in quella scena non indossava vestiti.

Sconsolato, El fece un respiro profondo ed espirò lentamente. Per lo meno la gemma del sapere gli consentiva di comprendere le sfumature della lingua elfa.

Il principe proseguì lungo il corridoio: a sinistra trovò un passaggio a volta che conduceva in una stanza in cui la luce delle stelle scintillava nelle acque deserte di una piscina, a destra una porta che si apriva su una stanza buia, che sembrava ospitare una collezione di sculture. Più in là vi erano solo porte chiuse lungo entrambi i muri, e il corridoio terminava in una stanza circolare nella quale fluttuavano sfere luminose, che si muovevano lentamente, come lucciole sonnolente, e illuminavano una stretta scala a chiocciola.

El salì la scala, desiderando più di ogni cosa uscire dal passaggio prima che uno degli Alastrarra lo trovasse. Superò una stanza in cui alcuni ballerini stavano effettuando contorsioni e capriole all’indietro, riscaldandosi per lo spettacolo che di lì a poco avrebbero messo in scena. Sia i maschi sia le femmine erano coperti solo dai lunghi capelli sciolti. Alcune ciocche erano intrecciate con minuscoli campanelli, e i loro corpi erano dipinti con disegni complicati ed evidentemente ancora freschi.

Uno di essi guardò l’elfo salire frettolosamente le scale, ma El si portò un dito al mento, come fosse profondamente assorto nei suoi pensieri e proseguì, fingendo di non aver per nulla notato i corpi snodati dei danzatori.

La scala a chiocciola lo condusse a un pianerottolo ornato di piante pendenti, o meglio, di vasi incantati in modo da fluttuare a diverse altezze sopra il pianerottolo e consentire alle foglie rampicanti di sfiorare le piastrelle iridescenti sottostanti.

El zigzagò tra esse verso un passaggio a volta, visibile nell’ombra pochi passi più avanti, sempre mantenendo la sua aria meditabonda. Poi si arrestò bruscamente quando qualcosa gli sbarrò la strada.

Una lucentezza bianca e fredda illuminò la stanza: proveniva dalla lama affilata di una spada. L’arma stava sospesa a mezz’aria, ma pochi granelli di luce magica attirarono lo sguardo di El su una mano elfa: una mano destra sollevata, in un angolo accanto alla volta.

Apparteneva a un elfo robusto e di bell’aspetto, forse considerato un gigante muscoloso tra gli abitanti di Cormanthor. L’elfo si alzò con movimenti aggraziati dal tavolo nero sul pavimento, al quale stava giocando a cerchi incantati, nell’oscurità della stanza, contro una serva dall’aspetto fragile… una ragazza magnifica, non fosse stato per la tremenda paura nei suoi occhi. La giovane stava perdendo, di molto, e senza dubbio temeva le frustate o altre punizioni che il suo avversario grande e grosso le aveva promesso. El si domandò che cosa potesse essere peggio per lei, se vincere o perdere.

La gemma del sapere comunicò a Elminster che l’elfo che gli stava di fronte era Riluaneth, un cugino adottato dagli Alastrarra dopo la morte dei genitori, e da allora costante fonte di guai. Permaloso e con una vena di crudeltà che non era in grado di controllare, Ril si era divertito a stuzzicare e talora a tormentare i due giovani fratelli Alastrarra, Iymbryl e Ornthalas.

«Riluaneth», lo salutò El con voce fredda. La spada luminosa roteò lentamente nell’aria e tornò a puntare il principe. Elminster la ignorò.

In quel momento la kiira lo indusse a valutare urgentemente un incantesimo che Iymbryl aveva collegato all’immagine di Riluaneth. El seguì i suoi ordini, rimanendo immobile mentre il suo imponente cugino fluttuava verso di lui. «Come sempre, Iym», mormorò Riluaneth, «ti trovi dove non sei desiderato, e vedi troppe cose. Ti farai male un giorno o l’altro, forse prima di quanto non immagini».

La luce attorno alla spada svanì bruscamente, e nell’oscurità la lama sibilò diritta verso il volto di El.

Il giovane si scansò, e Ril emise una risata tranquilla. La spada saettò nel buio, in cerca della sua vera preda. La serva singhiozzò, troppo terrorizzata per muoversi, mentre la lama si avvicinava sempre più alla sua bocca. Allora El, cupo in volto, salvò la vita della ragazza a costo, forse, della sua. Con un rapido sortilegio deviò la spada dalla sua traiettoria, che volò lontano dalla giovane elfa. Riluaneth grugnì sorpreso, poi si portò rapidamente la mano alla cintola, in cerca del coltello.

Be’, quel giorno un intruso umano poteva almeno compiere una buona azione per la Casata degli Alastrarra! El strinse i denti e contrastò il goffo tentativo di Riluaneth di riacquistare il controllo mentale sulla spada, quindi sollevò di poco l’arma, oltre il pugnale sguainato dell’avversario, e la lasciò penetrare nel diaframma dell’elfo.

Riluaneth barcollò, si piegò sopra l’elsa conficcata nel ventre, e strinse forte l’impugnatura del coltello, tentando di urlare parole rabbiose. Il pugnale scintillò e iniziò a rilasciare la magia ivi racchiusa. Non desiderando conoscerne gli effetti fatali, Elminster utilizzò l’incantesimo che Iymbryl aveva riservato per i «guai» di Riluaneth.

L’elfo grande e grosso emise tutto il fiato che gli rimaneva in corpo, formando una nuvola di fumo bianco, e barcollò. Altri vapori dello stesso colore si levarono a ondate dalle orecchie, dal naso e dalle orbite. Il cervello di Ril era in fiamme, come Iymbryl aveva pronosticato.

Elminster riuscì appena a scansarsi quando quel corpo grosso e lucente si accasciò alle sue spalle e iniziò a rotolare per le scale a testa in giù. Durante la discesa rimbalzò due volte, silenziosamente.