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«Qualche trucco dell’umano, senza dubbio», sibilò Earynspieir, visibilmente turbato. Naeryndam scosse il capo in silenzio, ma l’altro mago di corte afferrò Earynspieir per un braccio per ottenere la sua attenzione, e indicò nuovamente il cielo.

L’ampio sorriso era improvvisamente riapparso. Questa volta non era incorniciato da un volto, ma i tre maghi sapevano di che cosa si trattasse. L’avrebbero visto nei loro ricordi fino alla morte.

Mentre voltavano le spalle alle stelle e si affrettavano a guadagnare le porte più vicine del palazzo, un’altra scena li impietrì.

In tutto il giardino, i guardiani spettrali si stavano sollevando in silenzio per guardare quel sorriso svanire.

6.

La volta dei secoli

Sotto la splendida città di Cormanthor, in un luogo segreto, giace la Volta dei Secoli, luogo sacro del sapere della nostra Gente. «Che il Mythal si innalzi o che Myth Drannor crolli», canta una ballata, «la Volta ricorderà tutto». Alcuni affermano che essa esista ancora, intatta e splendida come in passato, sebbene pochi sappiano come arrivarci. Altri sono convinti che sia la tomba della Srinshee. Altri ancora che questa sia diventata pazza, che conosca magie pericolose e che abbia fatto della Volta la sua tana. Vi sono poi coloro che ammettono di non sapere alcunché.

Shalheira Talandren, Sommo Bardo Elfo di Summerstar
Da Spade argentee e notti d’estate:
Una storia ufficiosa ma vera di Cormanthor
Pubblicata nell’Anno dell’Arpa

Niente nebbia, questa volta, solo un breve istante di oscurità vellutata color nero-porpora, ed El si ritrovò altrove.

Il re elfo dalla tunica bianca era con lui, in una caverna fredda e umida, dal soffitto basso e arcuato; cristalli luminosi erano incastonati nei punti d’incrocio dei costoni della volta.

L’elfo e l’umano si trovavano nella zona più luminosa, uno spazio rischiarato al centro della stanza a cupola. In quattro punti lungo il suo perimetro circolare, il muro era interrotto da quattro archetti ornati dai quali si dipartivano lunghi corridoi a volta. El ne scrutò uno, e poi un altro: tutti conducevano ad altre stanze a cupola.

Un passaggio stretto, serpeggiante, era stato lasciato sgombro al centro di ogni corridoio, ma il resto dello spazio era stipato di tesori: un mare infinito di monete, lingotti, e statue d’oro, le cui onde immobili ospitavano forzieri d’avorio colmi di perle e di un arcobaleno di gemme scintillanti.

Numerose casse erano addossate lungo i muri, fino al soffitto, e aste di vessilli di metallo lavorato e cesellato poggiavano contro di esse come alberi caduti. Più vicino, tra i rami di un albero di solida sardonica, si ergeva un drago alto quanto Elminster, ricavato da un singolo smeraldo gigante; le foglie dell’albero erano fatte d’argentana e coperte di gemme di taglio minuscolo. Il principe di Athalantar girò lentamente su se stesso per ammirare l’immenso tesoro, cercando di apparire impassibile, consapevole che il Coronal stava osservando la sua faccia.

Vi erano più ricchezze là sotto, in quell’unica camera, di quante ne avesse viste in tutta la sua vita. Si trattava di un patrimonio impressionante. L’intero tesoro di Athalantar era nulla in confronto a ciò che si trovava sotto di lui. Proprio accanto al suo piede scintillava un rubino grande quanto la sua testa.

El sollevò lo sguardo da tutto quel ben di dio per incrociare gli occhi lucenti e indagatori del Coronal. «Che cos’è tutto ciò?», gli domandò il giovane. «Io… cioè, lo so che cosa sto guardando, ma perché tenere tutto qui, sotto terra? Le gemme splenderebbero maggiormente alla luce del sole».

L’anziano elfo sorrise. «La mia gente disprezza il metallo freddo, e ne tiene solo un po’ da guardare e toccare quotidianamente; una cosa che gnomi, nani, e uomini non sembrano in grado di comprendere. Le gemme che utilizziamo come sede della magia, quelle sì, le teniamo con noi; il resto riposa qua sotto. Tutto ciò che appartiene al Coronal – o meglio, alla corte, e perciò a tutta Cormanthor – finisce qui». Abbassò lo sguardo su uno dei corridoi. «Alcuni la chiamano la Volta dei Secoli».

«Perché da tanto tempo ammucchiate le ricchezze in questo luogo?»

«No. Per colei che dimora qui e custodisce tutto». Il Coronal sollevò una mano in cenno di saluto, ed El guardò lungo il passaggio che si apriva davanti all’anziano elfo.

Vide una figura, minuscola nell’ombra distante, e sottile come un pilastro. Un pilastro molto grazioso, oscillante nel suo incedere.

«Guardami», esclamò il Coronal improvvisamente. Quando El si voltò, si ritrovò a fissare il governatore di Cormanthor avvolto in tutta la sua potenza. Ancora una volta sentì i suoi stivali sollevarsi da terra, e si ritrovò sospeso sopra il vecchio mago, mentre sonde irresistibili percorrevano la sua mente, richiamando ricordi di una vallata ricoperta di felci, del suo libro d’incantesimi forse perduto, di Iymbryl moribondo, e di uno scettro.

Il Coronal si soffermò su quell’ultimo ricordo, poi fece sì che la mente di El tornasse alla battaglia coi briganti e al Corno dell’Araldo, e a un certo incontro fuori dalla città di Hastarl, dove… Riecco il volto sorridente di Mystra bloccare le indagini del Coronal. Sollevò un sopracciglio di rimprovero all’elfo, e sorrise per addolcire il rabbuffo.

El ricadde improvvisamente sul pavimento, scaricato come un sacco.

Quando sollevò lo sguardo, si ritrovò a fissare negli occhi l’elfa più anziana che avesse mai visto, minuta e raggrinzita. I suoi capelli bianco-argentei sfioravano le piastrelle sotto le sue pantofole – pantofole che calpestavano aria, sollevate a centimetri di distanza dalle pietre consumate del pavimento – e la sua pelle sembrava rivestire le ossa – ossa tanto piccole e aggraziate da farla apparire squisita invece che grottesca.

«Visto abbastanza?», domandò la donna maliziosamente, carezzandosi i fianchi e volteggiando in modo seducente come una danzatrice di taverna.

El abbassò lo sguardo. «Le… le mie scuse per avervi fissato», esclamò rapido. «Non ho mai visto un elfo tanto anziano».

«Ve ne sono pochi vecchi quanto la Srinshee», si intromise il Coronal.

«La Srinshee?»

L’anziana signora inclinò il capo in saluto regale. Poi si voltò, tese una mano, e si sedette nell’aria, appoggiandosi come fosse sdraiata su un divano imbottito di cuscini. Un’altra maga.

«Lei stessa ti racconterà la sua storia», affermò il re elfo, sollevando una mano per prevenire ulteriori parole di Elminster. «Ma prima di tutto, il mio giudizio».

Si allontanò di qualche passo dal giovane, camminando a mezz’aria, poi si voltò verso di lui ed esclamò: «Della tua onestà e del tuo onore non ho mai dubitato. Il tuo aiuto disinteressato alla Casata degli Alastrarra, è degno, da solo, del titolo di armathor – in parole umane, il cavalierato e la cittadinanza – nel regno di Cormanthor. Questo te lo posso garantire, e spero sia gradito».

«Ma…?», domandò El tranquillamente, dato il tono cauto dell’elfo.

«Ma non posso fare a meno di concludere che tu sia stato inviato a Cormanthor dalla dea di cui sei servo. Ogni volta che tento di saperne la ragione, ella blocca le mie indagini».

Elminster fece un passo verso il Coronal, e lo guardò negli occhi. «Guardate dentro di me, vi prego, e assicuratevi che dica il vero, Onorato Signore», lo incitò il principe. «Sono stato mandato dalla Grande Mystra per “imparare i rudimenti della magia”, per dirla con la dea, e perché prevede che sarò utile “fra qualche tempo”. Non mi ha rivelato quando e come, né chi avrà bisogno di me, o per quale motivo».

L’elfo annuì nella sua tunica bianca. «Non dubito di ciò che dici, uomo; è la dea che non riesco a capire. Credo davvero che ti abbia detto solo quelle parole; tuttavia mi impedisce di sapere quali siano i tuoi veri poteri, e quali i suoi disegni, e io ho un regno da proteggere. Perciò ti sottoporrò a una prova».