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Poi sorrise e aggiunse: «Credi che io mostri a tutti gli intrusi ricchezze che potrebbero attirare tutti gli uomini affamati da qui al mare occidentale?»

La Srinshee ridacchiò e si intromise: «Alcune maniere elfe trascendono la comprensione umana, ma ciò non le rende maniere da sciocchi».

El guardò prima l’uno poi l’altra. «Che prova avete in mente? Non ne posso più di duelli magici o di lotte mentali».

Il Coronal annuì. «Questo già lo so: se tu fossi stato quel tipo di individuo, non ti avrei mai condotto qui. Esporre me stesso alla tua presenza significa mettere a repentaglio un’arma potente di Cormanthor; e mettere in pericolo la Srinshee inutilmente vuol dire giocare col tesoro del regno».

«Basta con le lusinghe, Eltargrim», esclamò la Srinshee compitamente. «Il ragazzo penserà a te come a un poeta, e non come al rude guerriero che sei in realtà».

El batté le palpebre rivolto al Coronal. «Un guerriero?»

L’elfo canuto sospirò. «In tempi lontani ho abbattuto qualche orco…»

«E un centinaio di uomini, e un drago o due», lo interruppe la donna. Il re elfo le fece cenno di tacere con la mano.

«Parla di tali cose quando me ne sarò andato perché, se indugiamo ancora un po’, i maghi di corte metteranno a soqquadro mezzo palazzo per cercarmi».

La Srinshee fece una smorfia. «Quelle giovani teste di legno?»

Il Coronal sospirò esasperato. «Oluevaera, come posso pronunciare una sentenza su quest’uomo se distruggi ogni nostro tentativo di dignità?»

L’anziana maga si strinse nella spalle con la sua tranquillità eterea. «Anche gli uomini meritano la verità».

«Infatti». Il tono del Coronal era freddo quando questi si volse verso Elminster. Assunta un’espressione severa, affermò: «Ascolta, dunque, la sentenza di Cormanthor: per un’intera luna rimarrai in queste volte, dove potrai conversare e interrogare il suo guardiano a tuo piacimento; lei ti nutrirà e non ti farà mancare nulla. I membri della corte, tra cui io stesso, verranno alla fine di tale periodo, e ti chiederanno di portare una cosa fuori di qui».

El inclinò il capo. «E la parte pericolosa?»

La Srinshee ridacchiò per il tono un po’ insolente del giovane.

«Purtroppo non è tempo di frivolezze, giovane principe», rispose il Coronal seriamente. «Se sceglierai la cosa sbagliata – ossia qualcosa che noi giudicheremo tale – verrai punito con la morte».

Nel silenzio che seguì aggiunse: «Pensa, giovane umano, a quale potrebbe essere la cosa più giusta acquisibile in questo luogo. Riflettici bene».

Il corpo del re venne improvvisamente avvolto da luci ammiccanti. Egli sollevò la mano verso la Srinshee in segno di saluto, si voltò nel gran luccichio, e scomparve. Le luci si levarono per un momento ancora verso il soffitto a volta, poi svanirono silenziose.

«Prima che tu me lo chieda, giovanotto, una luna è un mese umano», affermò la Srinshee in tono ironico, «e no, non sono sua madre».

El ridacchiò. «Mi state dicendo ciò che non siete. Ditemi, vi prego, ciò che siete».

La donna sistemò l’aria come per sollevare lo schienale della sedia invisibile e lo fissò negli occhi. «Io sono la consigliera dei Coronal, la saggezza segreta nel cuore del regno».

El la guardò, e decise di osare. «E siete saggia?»

La maga si mise a ridere. «Ah, finalmente un umano sveglio!» Poi s’impettì, gli occhi sfavillanti, evocò uno scettro dal nulla, e ringhiò: «No».

La vecchia si unì alla risata sorpresa di El, poi si lasciò scivolare giù dalla sedia e andò verso di lui; pareva tanto fragile che El fece per offrirle il braccio.

La Srinshee gli diede un’occhiataccia. «Non sono tanto debole come sembro, giovanotto. Non oltrepassare il limite, oppure finirai come quel verme laggiù».

Elminster si guardò attorno. «“Quel verme laggiù”?» domandò esitante, non vedendo alcuna bestia né trofeo, bensì solo stanze colme di tesori.

«La volta di quel corridoio», rispose la Srinshee, «è rivestita con le ossa di un verme delle profondità, sbucato in queste caverne, affamato di tesori. Quelle bestie mangiano il metallo, sai».

El osservò la volta nel corridoio indicato. In effetti sembravano ossa, ora che osservava meglio, ma… Si voltò verso la maga con nuovo rispetto. «Perciò se porto violenza, oppure tento di fuggire da qui, potreste uccidermi sollevando un dito».

L’anziana elfa alzò le spalle. «Può darsi. Non credo che ciò accadrà, a meno che tu non sia più stupido, o più brutale, di quanto non appaia».

El annuì. «Credo di no. Il mio nome è Elminster, Elminster Aumar, figlio di Elthryn. Sono, o ero, un principe di Athalantar, un piccolo regno umano che giace…»

La donna annuì. «Lo so. Uthgrael sarà morto da un pezzo ormai».

El fece un cenno col capo. «Era mio nonno».

La Srinshee inclinò il capo pensierosa. «Hmmm».

Il giovane la guardò sbalordito. «Voi conoscevate il Re Cervo?»

La vecchia annuì. «Un uomo vigoroso», esclamò sorridente.

Elminster sollevò un sopracciglio, incredulo.

L’anziana maga scoppiò a ridere. «No, no, nulla del genere, sebbene qualcosa di simile possa essere accaduto con alcune delle ragazze con cui danzavo. A quei tempi ci divertivamo a spiare le azioni degli uomini. Quando vedevamo qualche personaggio interessante – magari un guerriero coraggioso, o un maghetto tenace – gli apparivamo nel chiarore lunare, e poi lo guidavamo in un inseguimento sfrenato in mezzo ai boschi. Talora quegli inseguimenti terminavano con colli spezzati, talaltra alcune di noi si lasciavano prendere. Io mi feci inseguire da Uthgrael per buona parte della Grande Foresta meridionale finché, all’alba, non cadde esausto. Gli apparvi nuovamente quand’era sposato, solo per il gusto di vedergli spalancare la bocca dalla sorpresa».

El scosse il capo. «Prevedo che sarà una lunga luna quaggiù con voi», osservò con lo sguardo rivolto al soffitto.

«Bene!» esclamò la Srinshee fingendosi oltraggiata, ma poi ridacchiò. «Ora tocca a te; raccontami le tue monellerie, Elminster».

«Non so se sia il caso di parlarne proprio ora», rispose il giovane con tono austero.

La donna incrociò il suo sguardo.

«Be’», aggiunse, «per alcuni anni sono sopravvissuto facendo il ladro, ad Hastarl, e c’era quel…»

Elminster non aveva più voce. Stavano parlando ormai da ore. Dopo il secondo attacco di tosse, la Srinshee agitò una mano e affermò: «Basta così. Sarai stanco. Solleva quel coperchio laggiù». Gli indicò un vassoio coperto da una cupola d’argento, appoggiato sopra un cumulo di corazze, tra un mucchio di monete ottagonali, coniate in un metallo bluastro che El non aveva mai visto.

Il principe fece come gli era stato detto. Sotto il coperchio vi era carne di cervo fumante in una salsa di noci e porri. «E questo da dove viene?», domandò sbalordito.

«Magia», rispose la vecchia maliziosamente, prendendo una caraffa dorata, semi sepolta da un cumulo di monete che le arrivava al gomito. «Sete?» Scuotendo il capo meravigliato, El protese una mano per afferrarla, al che l’elfa, incurante, gettò la caraffa nella sua direzione. Questa roteò verso il pavimento, poi risalì fino a raggiungere le mani di El.

«I miei ringraziamenti», esclamò il giovane, afferrandola saldamente con due mani. La Srinshee si strinse nelle spalle, e il ragazzo percepì improvvisamente qualcosa di freddo sulla sommità della testa. Alzò una mano e vi trovò un bicchiere di cristallo.