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«Avevi entrambe le mani occupate», si giustificò dolcemente l’anziana signora.

Mentre Elminster sbuffava divertito, gli apparve in grembo una ciotola d’uva. A quel punto scoppiò in una risata fragorosa, e si ritrovò a scivolare lungo il cumulo di monete al quale era appoggiato. Una rotolò via sul pavimento, e il giovane la schiacciò col tacco dello stivale, per fermarla.

«Alla fine ne avrai la nausea», asserì la maga.

«Io non voglio monete», ribatté Elminster. «Non saprei neppure dove spenderle!»

«Sì, ma dovrai spostarle tutte per raggiungere ciò che vi è sepolto sotto», esclamò la Srinshee. «I pezzi migliori li tengo coperti, sai».

El la fissò, poi scosse il capo, sorrise, e, senza parlare, si avventò sul cibo.

«Che cosa spinge, dunque, una maga elfa, capace di consigliare i Coronal, a uccidere vermi delle profondità, a indurre re in inseguimenti selvaggi e a dimorare in una volta sotterranea e sconosciuta?», domandò quand’ebbe divorato tutto ciò che poteva.

L’anziana maga aveva mangiato ancor più di lui, svuotando un vassoio dopo l’altro di funghi fritti e molluschi al limone, senza, tuttavia, apparire sazia. Si appoggiò nuovamente alla sua sedia d’aria, incrociò le gambe su un poggiapiedi invisibile, e rispose, «Un senso d’appartenenza, finalmente».

«Appartenenza? Tra monete fredde e gioielli dei morti?»

La donna lo guardò con rispetto. «Sei acuto, uomo». Appoggiò il bicchiere all’altezza del suo gomito e si protese. «Tuttavia dici ciò perché qui non vedi ciò che vedo io».

La maga afferrò un braccialetto d’argento ossidato, a forma di serpente. «Ora presta attenzione, Elminster. Sfrutta la mia conoscenza per effettuare la scelta giusta e guadagnarti in tal modo la vita. Questo bracciale è tutto ciò che rimane a Cormanthor della principessa Elvandaruil, perdutasi tra le onde delle Stelle Cadute tremila estati fa, quando il suo incantesimo volante venne meno. È finito sulle spiagge dell’Isola di Ambral quando Waterdeep non era ancora nato».

El pescò un pezzo di conchiglia scintillante dal cumulo accanto a lui. Era forata ai quattro lati, e da essi partivano tre fini catene che si riunivano in un medaglione d’argento costellato di cavallucci marini di smeraldo, con occhi d’ametista. «E questo?»

«Il pettorale di Chathanglas Siltral, che si diede l’appellativo di Signore dei Fiumi e delle Baie prima della fondazione del vostro regno di Cormyr. Involontariamente prese in moglie una mutaforma, e i mostruosi discendenti della sua prole dai tentacoli mortali, sono tuttora in agguato, nei corsi d’acqua del Marsember, che gli umani chiamano la Grande Palude».

El si protese. «Conoscete la provenienza di ogni gingillo contenuto in queste stanze?»

La Srinshee alzò le spalle. «Naturalmente. A che cosa servono una lunga vita e una memoria di ferro se non li si usa

El scosse il capo meravigliato. Un momento più tardi esclamò: «Tuttavia perdonatemi… Le persone che indossarono o forgiarono tali ricchezze non possono essere tutte vostre familiari. Se, ad esempio, questo Siltral non ha generato elfi. Eppure avete la sensazione di appartenere… a che cosa?»

«Al regno dei miei familiari e degli altri elfi», rispose la maga tranquillamente. «Io sono Oluevaera Estelda, l’ultima della mia discendenza. Eppure mi elevo al di sopra delle rivalità di Casata contro Casata, e considero tutti gli abitanti di Cormanthor miei familiari. Ciò mi dà una ragione per aver vissuto tanto a lungo, e un’altra per continuare a vivere, dopo che tutte le persone che amavo sono scomparse».

«Vi sentite molto sola?», domandò El, avvicinandosi per guardarla profondamente negli occhi.

L’anziana elfa ricambiò lo sguardo intenso. I suoi occhi erano come fiamme blu stagliate contro un cielo tempestoso. «Sei molto più gentile, e molto più limpido di ogni altro uomo che abbia mai conosciuto», affermò pacata. «Ora più che mai vorrei che il giudizio del Coronal non pendesse su di te».

El aprì le mani in segno di rassegnazione. «Nemmeno io vorrei essere qui», esclamò con un sorriso.

La Srinshee ricambiò e disse vivacemente: «Bene, è meglio continuare. Disseppellisci quella spada accanto alle tue ginocchia e ti racconterò della stirpe dei signori elfi che l’hanno posseduta».

Alcune ore più tardi la vecchia esclamò: «Ti andrebbe un tè alle erbe notturne?»

El sollevò la testa. «Non ho mai assaggiato una bevanda simile, ma se non sono tutti funghi, volentieri».

«No, vi sono anche altri ingredienti», rispose semplicemente, e i due ridacchiarono insieme.

«Sì, è fatto anche coi funghi, e no, non è nocivo, o, perlomeno, non è molto diverso da ciò che bevono le altezzose signore del Cormyr e del Chondath», aggiunse.

«Oh, volete dire che somiglia al brandy?», domandò innocente Elminster, mentre la donna increspava le labbra e rideva nuovamente.

«Ne faccio bollire un po’ per entrambi», affermò, alzandosi. Poi si voltò verso Elminster, che stava pazientemente disseppellendo una corazza dall’ennesimo cumulo di monete. Era costituita da un unico pezzo di rame, spesso come un pollice, e scolpita a formare due seni femminili, sotto ai quali vi erano le fauci di un leone inferocito. «Non dormi mai, uomo?», domandò curiosamente la maga.

El risollevò lo sguardo. «Mi stanco, questo sì, ma non ho più bisogno di dormire».

«Un incantesimo della tua dea?»

Elminster annuì, e si concentrò sulla corazza. «Questo leone», esclamò. «Ha gli occhi incastonati nella lingua e…»

Il busto dell’antica Regina Eldratha del regno elfo Larlotha, ormai scomparso, era di marmo solido, e alto quanto la lunghezza del braccio di El. Giunse volando con la giusta angolazione, e lo colpì quasi gentilmente dietro l’orecchio destro. Il giovane non seppe nemmeno di essere stato colpito.

Si risvegliò con un mal di testa da impazzire. Sembrava che qualcuno gli stesse affondando un pugnale nell’orecchio destro, per poi estrarlo e infilarlo nuovamente. Dentro. Fuori. Dentro. Fuori. Arrrgh.

Si rotolò su un fianco, grugnì, sentendo un tintinnio di monete quando mosse i piedi. Che cos’era accaduto?

I suoi occhi si posarono sulle luci tenui, immobili sopra di lui. Gemme, incastonate in un soffitto a volta. Oh, già… era nella Volta dei Secoli, con la Srinshee, e vi sarebbe rimasto finché il Coronal non fosse tornato a giudicare la sua scelta.

«Signora? Signora… uh… Srinshee?», domandò, emettendo un altro grugnito. Parlando aveva risvegliato il dolore alla testa. «Signora… ah, Oluevaera?»

«Quaggiù», gli rispose un sussurro debole e stridente, ed El si volse nella direzione del suono.

L’anziana maga giaceva a braccia e gambe aperte su un cumulo di tesori, la tunica a brandelli e fili di fumo che salivano pigramente dal suo corpo. Un corpo, ora ampiamente nudo, pieno di rughe e di macchie tipiche della vecchiaia, che non recava però segni di violenza. El si trascinò verso di lei, la testa tra le mani.

«Signora?», esclamò. «Siete ferita? Che cos’è accaduto?»

«Ti ho attaccato», rispose tranquillamente, «e ne ho pagato le conseguenze».

El la fissò, disorientato. «Voi…?»

«Uomo, me ne vergogno», confessò con labbra tremanti. «Trovare un amico dopo tanto tempo, e gettar via la sua amicizia per la fedeltà al regno. Ho fatto ciò che pensavo fosse corretto e ho scoperto che la mia scelta era sbagliata».

El appoggiò il capo martellante sulle monete accanto alla Srinshee, in modo da poterla guardare negli occhi. Erano colmi di lacrime. «Signora», ribatté gentilmente, commosso dalla tristezza della sua voce, «per il bene mio e degli dei, raccontatemi che cosa è successo».

La donna lo fissò, sconsolata. «Ho commesso un atto imperdonabile».