«Ossia?», chiese El quasi supplicante, indicandole con gesti stanchi di lasciar uscire le parole dalla bocca.
Oluevaera abbozzò un sorriso e rispose tristemente: «Eltargrim mi domandò di tentare ciò che lui aveva fallito: apprendere dalla tua mente tutto ciò che potevo, mentre dormivi. Ma il tempo passava, un giorno e una notte, e ancora ti aggiravi fra i tesori, senza dar segno di stanchezza. Perciò ti ho chiesto, e tu mi hai risposto che non avevi bisogno di dormire».
El annuì, e alcune monete scivolarono sotto la sua guancia. «Con che cosa mi avete colpito?»
«Con un busto di Eldratha di Larlotha», mormorò la vecchia. «Elminster, mi dispiace».
«Anche a me», esclamò commosso. «La magia elfa è in grado di lenire un mal di testa?»
«Oh», esclamò Oluevaera portandosi una mano alla bocca, mortificata. «Ecco». Allungò due dita, gli toccò la testa e mormorò qualcosa.
E come acqua fresca, il dolore scomparve.
El la ringraziò, e scivolò sulle monete fino a sedersi di nuovo sul pavimento. «E così vi siete messa a frugare nella mia mente mentre io ero incosciente e…»
Colto da un pensiero improvviso si voltò e corse a chinarsi ansiosamente sopra di lei. «Signora, ho visto del fumo emanare dal vostro corpo! Vi siete fatta male?»
«Mystra mi stava aspettando, proprio come aveva atteso il Coronal», gli spiegò la Srinshee sorridendo lievemente. «Si preoccupa per te, giovane uomo. Mi ha scacciato risoluta dalla tua mente, e mi ha detto che aveva preparato un incantesimo dentro di te capace di ridurmi in polvere».
El la guardò sbalordito, e poi lasciò sprofondare la mente nel luogo in cui, da tanto tempo, non dimorava alcun incantesimo. Doveva provvedere al più presto. Senza nemmeno una piccola magia da sferrare, e nessuna gemma da invocare, si sentiva indifeso in mezzo a quegli elfi orgogliosi.
Ed eccola là. Una magia mortale della quale non conosceva l’esistenza: tanto potente, e tanto semplice. Un tocco, e sangue elfo sarebbe ribollito nel corpo scelto, riducendolo in polvere in pochi istanti, indipendentemente da armature o magie difensive e…
Il giovane rabbrividì. Si trattava di un incantesimo mortale.
Quando la sua mente tornò al presente, dita fresche ed esili come quelle di un bambino gli presero il polso e fecero sì che la sua mano poggiasse su carne liscia e fresca. Carne che sembrava…
Elminster abbassò lo sguardo. La Srinshee si era scoperta il petto e aveva appoggiato la sua mano fermamente su di esso.
«Signora», le domandò, fissando le fiamme blu nei suoi occhi tristi, «che cosa…?»
«Usa l’incantesimo», lo incoraggiò. «Non merito altro».
El liberò delicatamente la mano, e le risollevò il lembo della tunica. «E che cosa mi farebbe il Coronal?», chiese con un tono di finta disperazione nella voce. «Questo è il guaio peggiore di voi tipi tragici: non pensate mai alle conseguenze!»
Elminster sorrise, e la osservò sforzarsi di ricambiare. Dopo un attimo vide che stava piangendo, lacrime silenziose sgorgavano dai suoi occhi antichi.
Impulsivamente si chinò e le baciò la guancia. «Avete commesso un atto imperdonabile, sì», le sussurrò all’orecchio. «Mi avete promesso un tè alle erbe, e sto ancora aspettando!»
L’anziana maga tentò di ridere, ma scoppiò in singhiozzi. El la sollevò fra le braccia per confortarla, e scoprì che era come cullare un bimbo in lacrime. Pesava meno di nulla.
La Srinshee stava ancora singhiozzando, le braccia intorno al collo del principe, quando due tazze fumanti apparvero nell’aria di fronte al naso di El.
Elminster aveva da tempo perso il conto degli oggetti che reputava più intelligenti. Vi era una corona che faceva tornare giovane chi l’indossava, e un guanto in grado, con le sue dita, di risanare la pelle di volti contusi o sfigurati. La Srinshee aveva radunato tali cose, e altri oggetti che più gli piacevano, in una cassa situata nella stanza centrale, ma il giovane aveva veduto solo una minuscola parte dei tesori contenuti nella volta, e gli occhi della maga s’intristirono nuovamente.
«El», esclamò, mentre spostava un flauto appartenuto all’eroe elfo Erglareo della Freccia Lunga, «il tempo a tua disposizione sta terminando».
«Lo so», rispose brevemente il ragazzo. «Che cos’è questo?»
«Un mantello che allontana le malattie dagli alberi al cui tronco viene avvolto, o dalle piante su cui viene posato, lasciatoci dal mago elfo Raeranthur di…»
El si stava già rimettendo in moto, diretto verso la cassa, in cerca di cose che catturassero la sua attenzione. Lady Estelda ammutolì e lo guardò tristemente allontanarsi da lei. L’anziana elfa non osava aiutarlo nemmeno a spostare una moneta, per paura che uno dei maghi di corte, impaziente di vedere morto l’intruso, la spiasse da lontano.
Elminster tornò da lei, la stanchezza evidente intorno agli occhi. «Quanto mi resta?», chiese.
«Forse dieci minuti», rispose a bassa voce, «forse venti. Dipende da quanto sono ansiosi».
«Di vedermi morto», brontolò El, adagiandosi a pochi passi dall’elfa. Era un caso che lei avesse appoggiato tre volte la mano sulla sfera di cristallo negli ultimi due minuti?
«E questo che cos’è?», chiese raccogliendo l’oggetto.
«Un cristallo col quale è possibile vedere il corso dei fiumi del regno, in superficie o sotto terra; ogni centimetro del loro viaggio verso il mare, chiaramente illuminato affinché l’occhio possa vedere dighe di castori, intoppi, e fonti di sporcizia», gli spiegò la Srinshee, rapidamente, quasi senza prender fiato, «costruito per la Casata dei Clatharla, ora decaduta, a causa di…»
«Lo prendo», mormorò El passandole davanti. Il giovane si fermò col piede a mezz’aria e calciò l’elsa di una spada sepolta sotto le monete. «Questa?»
«Una spada che squarcia le tenebre e le cose non morte chiamate ombre, e credo anche fantasmi e spettri».
Il principe agitò la mano in segno di lasciar stare e si avviò nuovamente per il corridoio, in direzione della cassa. Oluevaera si sistemò la tunica ingioiellata che El aveva disseppellito e insistito che indossasse, nonostante continuasse a scivolare dalle spalle ormai curve. Sospirò. Sarebbero giunti da un momento all’altro e…
Eccoli apparire. Vi fu un bagliore di luce nella stanza centrale, ed El si irrigidì, trovandosi improvvisamente circondato dagli sguardi ostili di maghe elfe. Sei in tutto, lo scettro in mano puntato verso di lui. Scintille minuscole ammiccavano e fluivano lungo quelle armi mortali. Nel corridoio El vide la Srinshee venire verso di lui. La donna schioccò le dita, e un settimo scettro apparve nella sua mano, pronto a colpire.
Il giovane le voltò lentamente le spalle, sapendo chi lo attendeva nella direzione opposta. Tutti i governatori amavano le entrate solenni. Dietro a due delle maghe apparve un elfo anziano avvolto in una tunica bianca, gli occhi come due pozze di stelle. Le donne si fecero lentamente da parte per consentirgli di entrare nel cerchio della morte. Il Coronal.
«Ben tornato, Onorato Signore», esclamò Elminster, e delicatamente ripose la sfera di cristallo che aveva in mano nella cassa aperta.
L’elfo abbassò lo sguardo sui tesori che conteneva, e sollevò un sopracciglio in segno d’approvazione. Oggetti istruttivi, non bellici. La sua voce, tuttavia, risuonò austera. «Ti avevo pregato di scegliere solo una cosa. Permettici di assistere alla tua scelta».
Elminster s’inchinò, poi avanzò verso il Coronal, le mani allargate e vuote.
«Ebbene?», domandò il re elfo.
«Ho fatto la mia scelta», rispose El tranquillamente.
«Scegli di non prendere nulla?», chiese il Coronal accigliato. «È un modo codardo per tentare di evitare la morte».
«No», ribatté Elminster, con tono altrettanto serio. «Ho scelto la cosa più preziosa esistente nella Volta dei Secoli».