Gli scettri tremolarono, sospesi a mezz’aria intorno a lui, abbandonati dalle maghe che ora stavano preparando sortilegi a più non posso. El si voltò lentamente, un sopracciglio inarcato, mentre le donne sussurravano incantesimi in un coro confuso. Solo le mani della Srinshee erano immobili. La punta dello scettro era appoggiata contro il suo petto, e i suoi occhi erano molto ansiosi.
In quel momento un’ondata di incantesimi investì Elminster Aumar per indagare, sondare, scrutare, cercando invano oggetti nascosti o magie mascherate sul corpo del giovane umano. Una per volta le maghe guardarono il Coronal e scossero il capo; non avevano trovato nulla.
«E quale sarebbe la cosa più preziosa?», domandò finalmente il Coronal, mentre due delle maghe, dopo aver riacquistato possesso dei loro scettri, si portavano lentamente davanti a lui a formare uno scudo.
«L’amicizia», rispose Elminster. «Rispetto reciproco, e la mia stima per una signora saggia e gentile». Quindi si voltò verso Oluevaera e le fece un profondo inchino.
Dopo un istante interminabile, mentre gli altri elfi la guardavano, la vecchia maga sorrise e ricambiò l’inchino, gli occhi lucidi di lacrime.
Il Coronal inarcò le sopracciglia. «Hai scelto più saggiamente di quanto avrei fatto io», esclamò. Quasi tutte le maghe di corte sembrarono sbalordite, e rimasero a bocca aperta quando il governatore di Cormanthor s’inchinò profondamente di fronte a Elminster. «Sono onorato della tua presenza nel più bello dei regni: sei il benvenuto, meritevole di risiedervi quanto qualsiasi elfo. Sii tutt’uno con Cormanthor».
«E Cormanthor sia tutt’uno con te», cantarono all’unisono le maghe. Elminster sorrise a Eltargrim, ma si voltò ad abbracciare la Srinshee. Lacrime calde le scesero sulle guance quando sollevò lo sguardo verso di lui, ed El le asciugò con un bacio.
Un’oscurità vellutata calò nuovamente, per poi dissiparsi e rivelare una sala enorme e scintillante, stipata di elfi in tutto il loro splendore. Al che la magia del Coronal fece riecheggiare il canto.
Dalle facce stupite della Corte di Cormanthor si levò un chiaro: «E Cormanthor sia tutt’uno con te».
PARTE II
L’armathor
7.
Ad ognuno la sua festa
Quando Elminster la vide per la prima volta, Cormanthor era una città dalla parvenza altezzosa, piena di intrighi, di lotte, e di decadenza. Un luogo, in realtà, molto simile alle più fiere città umane odierne.
Quando Ithrythra ebbe faticosamente percorso con gli stivali nuovi il sentiero tra i boschi che conduceva alla piscina, la festa era già iniziata da un pezzo.
«Onestamente, carissima», confidò a qualcuno Duilya Evendusk, con voce sufficientemente alta da far tremare le foglie dell’albero sopra la sua testa, «non mi importa che cosa sostengano i tuoi vecchi! Il Coronal è pazzo! Completamente pazzo!»
«Tu conosci la pazzia meglio di tutte noi», mormorò Ithrythra sotto voce, appoggiando il bicchiere su un vassoio fluttuante per slacciarsi gli stivali d’argento alti fino alla coscia. Era un sollievo togliergli. I tacchi a punta le permettevano di torreggiare sui servi, sì, ma oh, quanto male facevano. Le mode umane erano tanto folli quanto sfrontate.
Ithrythra appese la tunica merlettata a un ramo e sistemò le increspature della sottoveste, poi diede un’occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio appeso sotto il grande albero, uno specchio ovale più alto di lei.
Quando scrutò nelle sue profondità e vide una sorta di scintillio, si ricordò che tra le signore si mormorava che lo specchio era talora servito ai Tornglara quale porta d’accesso alle strade buie e sporche nelle città degli uomini. I signori di tale casata andavano a concludere con gli uomini affari che Cormanthor disapprovava. Le signore Tornglara, ora…
Allora schioccò le labbra e scacciò risolutamente quei pensieri. Le mode erano ciò che Alaglossa Tornglara andava cercando: mode, e nient’altro.
Ithrythra sorrise lievemente allo specchio leggendario. La sua nuova acconciatura presentava un ricciolo laterale, fermamente avvolto intorno alla lira, simbolo della casata di appartenenza. Le orecchie si ergevano fieramente, le punte imbellettate non deturpate da gioielli eccessivamente vistosi. Si voltò, come per controllare prima un lato del corpo, poi l’altro: le gemme incollate lungo i fianchi erano tutte al loro posto. Si mise in posa, e mandò allo specchio un bacio imbronciato. Niente male.
Dopo il pranzo di ogni quarto giorno, le donne di cinque casate si riunivano alla Piscina della Danza del Satiro, nei giardini privati dietro la casa dalle molte torri dei Tornglara. Là facevano il bagno nella più calda delle piscine, in cui, per l’occasione, veniva versata acqua di rose speziata, e sorseggiavano vino di menta estiva da lunghi bicchieri verdi. I vassoi di confetture candite e i vini Tornglara, di giusta fama, circolavano liberamente, così come la vera ragione per cui le donne si riunivano periodicamente nello stesso luogo: il pettegolezzo.
Ithrythra Mornmist si unì alle compagne chiacchierone, salutandole con il consueto sorriso. Mentre lasciava scivolare le sue lunghe gambe nella piscina, sospirando di piacere per il calore lenitivo dell’acqua, notò che il suo bicchiere era l’unico ancora pieno. Dov’erano i servi?
La padrona di casa notò le occhiate di Ithrythra, s’interruppe bruscamente e, con aria cospiratrice affermò: «Oh, li ho mandati via, cara. Questa volta dovremo riempirci i bicchieri da sole, ma d’altronde non si discute tutti i giorni di tradimento della corona!»
«Tradimento della corona? Che cosa mai può aver fatto il Coronal? Quell’elfo è troppo anziano per avere ancora un po’ d’arguzia, o d’energia!», esclamò Ithrythra, suscitando gridolini e risate nelle signore già immerse nella piscina.
«Oh, sei fuori strada, carissima Ithrythra! Dev’essere a causa di tutto quel tempo che trascorri nelle tue cantine a coltivare funghi per guadagnarti da vivere!», esclamò tagliente Duilya Evendusk; Alaglossa Tornglara ebbe la grazia di alzare gli occhi al cielo all’udire tale cafonaggine.
«Be’, almeno ciò prova ai miei vecchi che sono in grado di lavorare, se devo», ribatté Ithrythra, «ed evito di essere un peso morto per la mia casata. Dovresti provare, cara, o, be’, no, meglio di no…»
Cilivren Doedance, la più tranquilla e gentile di tutte, sputacchiò sul bicchiere che stava riempiendo, e decise che la cosa più prudente da fare era posarlo. Appoggiatolo sul vassoio fluttuante, tappò la caraffa e la ripose nella solita cavità del torrentello che scorreva tra i cespugli accanto a lei.
«La notizia si è sparsa in tutta la città», spiegò tranquillamente. «Il Coronal ha nominato un uomo armathor del regno! Un ladro che rubò la kiira di una casata importante, e irruppe nella loro residenza cittadina per sottrarre incantesimi e derubare le signore!»
«Non era Casa Starym, vero?», domandò ironicamente Ithrythra. «Non vi è mai stato troppo amore fra il vecchio Eltargrim e la più altezzosa delle nostre casate».
«Gli Starym hanno servito Cormanthor un migliaio di estati più a lungo di una certa casata che conosco», asserì Phuingara Lhoril con fare impettito. «I cormanthoniani di spirito realmente nobile non trovano affatto eccessivo il loro orgoglio».
«I cormanthoniani di spirito veramente nobile non si abbandonano affatto a un comportamento superbo», rispose Ithrythra delicatamente.