«Oh, Ithrythra! La tua lingua è sempre tagliente come una spada! Non capisco come fa il tuo signore a sopportarti!», affermò Duilya Evendusk stizzosamente, seccata di non essere più al centro dell’attenzione.
«Io lo so», osservò Alaglossa Tornglara con sguardo rivolto alle foglie sovrastanti. Ithrythra arrossì mentre le altre bagnanti ridacchiarono divertite. Duilya vi aggiunse la sua sghignazzata stridula e poi si affrettò a riconquistarsi il centro della scena. Quel giorno le punte delle sue orecchie erano quasi piegate sotto il peso delle gemme.
«Orgoglio o non orgoglio, non si tratta degli Starym», esclamò eccitata, «ma di Casa Alastrarra. A corte si dice che entrambi i maghi reali sfiderebbero Eltargrim con la spada davanti all’altare di Corellon, piuttosto che lasciare che un uomo cammini e viva fra noi. Per non parlare della nomina di armathor! Alcuni degli armathor più giovani, quelli che non sono a capo di casate, e perciò non hanno nulla da perdere, sono già stati a palazzo, hanno spezzato le spade e gettato i pezzi ai piedi del Coronal! Uno di loro gli ha persino scagliato contro la sua!
«Mi stavo chiedendo quanto tempo passerà», rifletté Ithrythra ad alta voce, «prima che a quest’uomo capiti un… incidente».
«Non molto, a giudicare dagli sguardi degli anziani di corte», affermò con entusiasmo Duilya, gli occhi scintillanti. «Se siamo fortunati, lo sfideranno a corte, oppure consentiranno a tutti noi di assistere alla sua fine mediante incantesimi!»
«Molto educato», mormorò Cilivren, ma le sue parole furono udite solo da Alaglossa e Ithrythra. Duilya, assordata dalle sue allegre parole, non la sentì.
«E poi», continuò la donna, con rinnovato entusiasmo, «le casate maggiori potrebbero indire una Caccia, per la prima volta dopo secoli, e trasformare il vecchio Eltargrim in un cervo per poi abbatterlo! E avremo un nuovo Coronal! Oh, che eccitazione!» Nella sua esuberanza, Duilya afferrò una caraffa e la vuotò senza usare il bicchiere.
Barcollando, si lasciò ricadere nella piscina, tremando e gorgogliando. «Per tutti gli dei, cara, non affogare qui», mormorò Phuingara, tenendole la testa fuori dall’acqua, «altrimenti i nostri signori s’infurieranno per il fatto che parliamo alle casate rivali senza la loro autorizzazione!»
Ithrythra provò un gran piacere nel battere vigorosamente la mano sulla schiena di Duilya in preda a un eccesso di tosse. Alcune gemme schizzarono via e tintinnarono contro un vassoio fluttuante.
Alaglossa sorrise ermeticamente alla regnante di Casa Mornmist, facendo intendere a Ithrythra che la padrona di casa sapeva benissimo che la forza impressa al suo colpo non era stata involontaria e che il suo silenzio sulla questione avrebbe avuto un prezzo, più tardi.
«È tutto a posto, cara», la rassicurò Alaglossa premurosamente, mettendole un braccio attorno alle spalle tremanti. «Va meglio ora? La dolcezza del nostro vino talora inganna, e fa pensare che non bruci, ma è persino più forte di quello, ah, “sherry triplo” tanto decantato dai nostri mariti!»
«Oh», mormorò Phuingara, «quindi l’hai assaggiato, vero?»
Alaglossa voltò la testa e lanciò uno sguardo alla signora di Casa Lhoril, silenzioso ma tagliente come un pugnale; Phuingara si limitò a sorridere e chiese: «Dunque? Com’era?»
«Vorresti sapere che cosa fa sì che i nostri mariti sbattano contro le colonne, sghignazzino come ragazzini e ululino mentre giacciono sul pavimento e tentano di stringersi la mano?» domandò improvvisamente Cilivren, ridendo. «Be’, quella cosa ha un gusto orribile!»
«Tu hai bevuto sherry triplo?», domandò Phuingara, incredula.
Cilivren offrì a Lady Lhoril un sorriso felino e rispose: «Alcuni signori non escludono le mogli da tutti i divertimenti».
Tutte le altre donne, persino Duilya, che ancora tossiva, guardarono Lady Doedance come se improvvisamente le fossero spuntate sei teste.
«Cilivren», esclamò Duilya scioccata, quando riuscì di nuovo a parlare. «Non avrei mai pensato…»
«Questo è il problema», sbottò Ithrythra, «tu non pensi mai!»
Tutte le bagnanti spalancarono la bocca, sbalordite, ma prima che Duilya potesse infuriarsi per l’insulto, Lady Mornmist si protese, gli occhi seri e il volto vicino a quello dell’amica, e cominciò, «Ascoltami, Lady Evendusk. Come pensi che faccia Cormanthor a scegliere un Coronal? Sei eccitata al solo pensiero, hai detto? Proveresti le stesse sensazioni se ti dicessi che nominare un nuovo re implica probabilmente avvelenamenti, duelli nelle strade, e maghi che lavorano di notte nelle loro torri per sferrare incantesimi mortali ai loro rivali in tutta la città? Umano o non umano, che Eltrargrim sia un’idiota o meno, desideri morire, o vedere i tuoi figli uccisi, e assistere alla nascita di ostilità che distruggeranno Cormanthor per sempre, e che permetteranno a tutti gli uomini di calpestare le nostre ossa nella città in guerra?»
Fece una pausa per riprendere fiato, i pugni serrati per la paura e la rabbia, e guardò con occhio truce le quattro facce che la stavano fissando. Possibile che non capissero?
«Che gli dei non me ne vogliano», continuò Lady Mornmist con voce tremante, «trovo rivoltante l’idea che un uomo cammini nel nostro regno. Ma lo accoglierei come un fratello se fosse necessario, lo bacerei e lo servirei giorno e notte, per impedire al nostro regno di sfaldarsi!»
Strinse i pugni, il petto palpitante, e quasi gridò: «Pensate che Cormanthor sia tanto splendida e potente che nessuno possa toccarla? Com’è possibile? I nostri mariti camminano impettiti, sogghignano e narrano storie delle imprese eroiche dei loro padri, quando il mondo era giovane e noi combattevamo i draghi a mani nude col buio o con la luce. E i nostri figli si vantano del loro coraggio, e non riescono nemmeno a trangugiare un boccale di sherry triplo senza cadere per terra! Ogni anno le asce degli uomini rosicchiano i margini delle nostre incantevoli foreste, e i loro maghi diventano sempre più forti. Ogni anno gli avventurieri diventano più audaci e un numero sempre minore delle nostre pattuglie giunge alla fine della stagione senza aver subito perdite!»
Alaglossa Tornglara annuì lentamente, il viso pallido, mentre Ithrythra prendeva fiato, deglutiva, e aggiungeva in un sussurro: «Io non mi aspetto di vedere le torri della nostra città ancora in piedi quando morirò. Qualcuna di voi si preoccupa mai di ciò?»
Nel silenzio che seguì le sue parole, Lady Mornmist afferrò in modo provocatorio una caraffa di vino piena e se la scolò, lentamente e deliberatamente, mentre le altre la fissavano attonite.
«In verità», affermò Duilya, sorridendo un po’ a disagio, mentre osservava Ithrythra Mornmist, apparentemente inalterata dal vino, posare la caraffa vuota e sollevarne un’altra per riempire delicatamente il bicchiere, «credo che tu abbia molta fantasia, Ithrythra, come al solito. Cormanthor in pericolo? Suvvia. Chi può minacciarci? Conosciamo incantesimi in grado di trasformare un’orda di barbari in… in funghi per lo sherry!
Rise allegramente per la battuta, ma l’allegria sfumò in un silenzio pensieroso. Allora si voltò per cercare il sostegno di Phuingara. «Non lo pensi anche tu?»
«Io credo», rispose Phuingara lentamente, «che noi spettegoliamo e cianciamo tutto il giorno perché non abbiamo il coraggio di parlare di tali cose. Duilya, ora ascoltami: non condivido tutti i timori di Ithrythra, ma il fatto che nessuno ne parli apertamente, o che noi non desideriamo sentire, non prova che lei abbia torto. Se non hai udito verità nelle sue parole, ti suggerisco di darle un bacio e di pregarla molto gentilmente di ripeterle, e di ascoltare più attentamente questa volta».