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Lo Shrike ha sul torace una lunga lama ricurva. Nemes conosce le storie sulle vittime che quella creatura ha impalato e trascinato via per appenderle alle spine più lunghe dell’Albero del Dolore. Non s’impressiona. Mentre Aenea e lo Shrike sono spinti l’una addosso all’altro dalle cariche sagomate che esplodono intorno a loro, il campo di spiazzamento di Nemes piega su se stessa la spina toracica dello Shrike. La creatura spalanca mascelle simili a pale di bulldozer e lancia un ruggito ultrasonico. Nemes vibra il braccio contro il collo dello Shrike e scaglia la mostruosa creatura a quindici metri di distanza nel fiume.

Distoglie l’attenzione dallo Shrike e si gira verso Aenea e gli altri. Raul si è gettato sulla bambina per farle da scudo. "Davvero toccante" pensa Nemes e passa al modo temporapido, congelando perfino le lingue di fiamma arancione che si allargano dal punto dove c’è lei, al centro del fiore dell’esplosione.

Attraversa a passo svelto la muraglia semisolida dell’onda d’urto e si lancia di corsa verso la bambina e il suo amico. Taglierà la testa a tutt’e due e terrà per sé come ricordo quella dell’uomo, dopo avere consegnato quella della bambina.

Nemes è a meno d’un metro da Aenea, quando lo Shrike emerge dalla nube di vapore che l’attimo prima era un fiume e attacca l’avversaria dal lato cieco, dalla sinistra. Il braccio di Nemes fende l’aria a un centimetro dalla testa di Aenea e di Raul, mentre la donna e lo Shrike rotolano lontano dal fiume, tranciando il terreno fino al basamento roccioso e abbattendo alberi finché non urtano contro un’altra muraglia di roccia. Il carapace dello Shrike proietta scintille, mentre le enormi mascelle si spalancano e i denti si serrano sulla gola di Nemes.

— Ma… non… scherzare… maledizione — ansima Nemes da dietro la maschera di dislocamento. Non ha in programma di farsi azzannare a morte da un obsoleto cambia-tempo. Modifica in lama la mano e, mentre le file di denti traggono scintille e fulmini dalla sua gola schermata, la conficca profondamente nel torace dello Shrike. Sogghigna nel sentire le quattro dita trapassare armatura e carapace. Afferra una manciata di visceri e con uno strattone li strappa via, augurandosi di staccare gli schifosi organi, quali che siano, che tengono in vita quella belva mostruosa; si ritrova solo con una manciata di tendini affilati come rasoi e di schegge di carapace. Ma lo Shrike barcolla all’indietro, mulinando come falci le quattro braccia. Muove ancora le possenti mascelle, come se non riesca a credere di non azzannare più la vittima.

— Su, vieni! — dice Nemes, avanzando contro lo Shrike. — Vieni! — Vuole distruggerlo (il sangue le è andato alla testa, come solevano dire un tempo gli uomini), ma è abbastanza calma da sapere che il suo compito è un altro. Deve solo distrarre lo Shrike, oppure renderlo inoffensivo al punto che le sia possibile decapitare la bambina. Allora lo Shrike non avrà più importanza, per sempre. Forse Nemes e quelli della sua razza lo terranno in uno zoo per dargli la caccia nei momenti di noia. — Su, vieni — lo provoca, muovendo un altro passo avanti.

Lo Shrike è ferito, tanto da uscire dal modo temporapido senza staccare i campi di dislocamento. Nemes potrebbe distruggerlo con facilità, ma c’è sempre il campo di dislocamento: se ora gira intorno al campo, lo Shrike può passare al modo temporapido mentre lei gli dà le spalle. Allora lo segue in tempolento, contenta di risparmiare energia.

— Cristo! — esclamai, alzando gli occhi ma continuando a proteggere Aenea. Lei guardava dal cavo del mio braccio.

Accadeva tutto nello stesso tempo. L’allarme del medipac di A. Bettik strideva, l’aria era calda come l’alito di una fornace, la foresta dietro di noi esplodeva in fiamme e rumori, schegge d’albero scagliate dal vapore iperriscaldato riempivano l’aria sopra di noi, il fiume lanciava un geyser di vapore e all’improvviso lo Shrike e la cromata figura umana facevano finte e vibravano colpi a meno di tre metri da noi.

Aenea non badò al massacro, strisciò fuori dal riparo del mio corpo, si mosse a tentoni sul terreno fangoso per raggiungere A. Bettik. Le andai dietro, guardando le confuse sagome cromate lanciarsi una contro l’altra e scontrarsi. Elettricità statica schizzava dai due contendenti e balzava contro le rocce e il terreno rovinato.

— Massaggio cardiaco! — gridò la bambina e cominciò a comprimere il torace di A. Bettik. Balzai sull’altro lato dell’androide e lessi le spie del medipac. A. Bettik non respirava. Il cuore si era fermato da mezzo minuto. Eccessiva perdita di sangue.

Qualcosa d’argenteo e affilato saettò verso la schiena di Aenea. Mi mossi per tirare a terra la bambina, ma, prima di poterla raggiungere, un’altra forma metallica intercettò la prima e nell’aria esplose il fragore di metallo contro metallo. — Lascialo a me! — gridai, spingendo da parte Aenea e cercando di tenerla dietro di me, mentre premevo sul torace di A. Bettik e cercavo il giusto ritmo delle compressioni. Le spie luminose del medipac mostravano che i nostri sforzi spingevano il sangue nel cervello dell’androide. I polmoni ricevevano ed emettevano aria, ma non senza il nostro aiuto. Continuai le pressioni, guardando da sopra la spalla le due figure muoversi rumorosamente, rotolare, entrare in collisione a velocità quasi supersonica. L’aria puzzava d’ozono. Faville della foresta in fiamme volavano intorno a noi e nubi di vapore sibilavano e si gonfiavano.

— L’anno… prossimo… — gridò Aenea per superare il frastuono, battendo i denti malgrado il sudore provocato dall’aria caldissima — andiamo… in vacanza… da un’altra parte.

La fissai, pensando che fosse impazzita. Aveva occhi stralunati, ma non del tutto pazzi. Era la mia diagnosi. Il medipac mandò lo stridio d’allarme e continuai le compressioni.

Dietro di noi ci fu un’improvvisa implosione, chiaramente percettibile sopra lo scoppiettio delle fiamme, il sibilo del vapore e il fragore di scontri metallici. Girai la testa per guardare da sopra la spalla, senza mai smettere il massaggio cardiaco sul torace di A. Bettik.

L’aria tremolò e una sola figura comparve nel punto dove due si erano scontrate. Poi la superficie metallica s’increspò e scomparve. La donna era lì. Non aveva un capello fuori posto e non mostrava segni di fatica.

— Allora, a che punto eravamo? — disse. Avanzò senza fretta.

In quegli ultimi secondi di battaglia non è stato facile piazzare la trappola sfinge. Nemes usa tutta l’energia per ribattere alle lame turbinanti dello Shrike. Le pare di combattere contro parecchie eliche rotanti tutte insieme. È già stata su pianeti con velivoli spinti da eliche. Due secoli prima, su uno di quei pianeti ha ucciso il Console dell’Egemonia.

Adesso controbatte braccia mulinanti, senza mai staccare lo sguardo dagli occhi ardenti. "Il tuo tempo è trascorso" pensa, rivolgendosi allo Shrike, mentre braccia e gambe, protette dal dislocamento, menano fendenti e controfendenti, come falci invisibili. Penetrando nel campo meno focalizzato dello Shrike, Nemes afferra una giuntura del braccio superiore e strappa via spine e lame. Quel braccio ricade, ma cinque bisturi della mano inferiore penetrano nell’addome di Nemes e cercano di sventrarla.

— No no — dice Nemes, con un calcio alla gamba destra dello Shrike, sbilanciandolo per un millesimo di secondo. — Non correre troppo.

Lo Shrike barcolla e in quell’attimo di vulnerabilità Nemes toglie dalla fascia che porta al polso la scheda sfinge; sfruttando una breccia di cinque nanosecondi nel proprio campo di dislocamento, posiziona la scheda esattamente nel palmo della propria mano e la sbatte in una punta che sporge dal collo dello Shrike.

— Ecco fatto — grida, balzando indietro. Passa in temporapido per controbattere il tentativo dello Shrike di staccare la scheda e l’attiva pensando a un cerchio rosso.