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Non ridemmo. Aenea gli toccò la guancia e mi guardò. Lo Shrike rimase dov’era apparso: faville accese gli passavano davanti agli occhi ardenti e la fuliggine gli si depositava sul carapace.

A. Bettik chiuse gli occhi e le spie luminose ripresero a palpitare. — Dobbiamo trovargli un aiuto valido — mormorai a Aenea — altrimenti lo perderemo.

Aenea annuì. Pensai che m’avesse bisbigliato una risposta, ma non era la sua voce.

Alzai il braccio sinistro, senza badare ai brandelli di camicia e ai lividi rossastri. I peli erano bruciati fino all’ultimo.

Ascoltammo insieme. Il comlog parlava con la voce di un uomo che conoscevamo.

56

Il Padre Capitano de Soya rimane sorpreso, quando finalmente rispondono sulla banda comune. Pensava che l’antiquato comlog non fosse in grado di trasmettere sul raggio compatto che la nave tiene puntato su di loro. C’è perfino un display visivo… la confusa immagine olografica di due facce ustionate e sporche di fuliggine, librata sopra il monitor principale.

Il caporale Kee guarda de Soya. — Be’, che io sia dannato, Padre.

— Anch’io — dice de Soya. Si rivolge alle due facce in attesa. «Sono il Padre Capitano de Soya della Raffaele…»

«Mi ricordo di lei» dice la bambina. De Soya si rende conto che la nave trasmette immagini olografiche e che i due lo vedono… senza dubbio una faccia spettrale in miniatura sopra un solino da prete, il tutto librato sopra il comlog al polso dell’uomo.

«Anch’io mi ricordo di te» dice de Soya: è tutto ciò che riesce a pensare. La ricerca è stata lunga. Guarda gli occhi scuri e la pelle bianca sotto la fuliggine e le ustioni superficiali. C’è mancato davvero molto poco…

L’immagine di Raul Endymion parla: «Chi era quella? Cos’era?».

Il Padre Capitano de Soya scuote la testa. «Non lo so. Si chiamava Rhadamanth Nemes. Ci è stata assegnata solo qualche giorno fa. Ha dichiarato di far parte di una nuova Legione in addestramento…» Si ferma. Sono tutte informazioni coperte da segreto. E lui parla al nemico. Guarda il caporale Kee. Nel suo pallido sorriso vede la loro situazione. In ogni caso sono condannati. «Ha detto d’appartenere a una nuova legione di guerrieri della Pax» riprende «ma non credo che fosse vero. Non credo che fosse umana.»

«Amen» dice l’immagine di Raul Endymion. La faccia distoglie lo sguardo dal comlog per un minuto, poi ritorna. «Il nostro amico è in fin di vita, Padre Capitano de Soya. Può aiutarlo?»

Il prete-capitano scuote la testa. «Non possiamo raggiungervi. Quella creatura, Nemes, ha preso la nostra navetta e ha soppiantato il pilota automatico. Non possiamo neppure metterci in contatto con il radarfaro. Ma se riuscite a trovarla, ha un robochirurgo.»

«Dov’è?» domanda la bambina.

Il caporale Kee si sporge nel campo dell’immagine. «Il nostro radar indica che si trova a circa un chilometro e mezzo a sudest rispetto a voi» dice. «Ha una sorta di mimetizzazione da quattro soldi, riuscirete a trovarla. Vi guideremo da qui.»

«Era sua, la voce del comlog!» dice Raul Endymion. «Quella che ci ha spinto verso le rocce.»

«Be’, sì» dice Kee. «Avevamo deviato tutta l’energia della nave nel sistema di controllo tattico del fuoco… potevamo scaricare attraverso l’atmosfera una potenza di circa ottanta gigawatt… ma l’acqua si sarebbe vaporizzata e vi avrebbe uccisi. Ci pareva meglio puntare sulle lastre di roccia.»

«Quella ci ha preceduti» dice Raul, con un sorriso storto.

«L’idea era questa» replica il caporale Kee.

«Grazie» dice Aenea.

Kee annuisce, imbarazzato, ed esce dal campo d’immagine. «Come ha detto il buon caporale» prosegue il Padre Capitano de Soya «vi guideremo alla navetta.»

«Perché?» replica la confusa immagine di Raul. «E perché avete ucciso la vostra stessa creatura?»

De Soya scuote la testa. «Quella non era una mia creatura.»

«Della Chiesa, allora» insiste Raul. «Perché?»

«Mi auguro che non fosse neppure una creatura della Chiesa» risponde piano de Soya. «Se lo era, allora la mia Chiesa è diventata il mostro.»

Segue il silenzio, rotto solo dal sibilo del raggio compatto. «Fareste meglio a muovervi» dice infine de Soya. «Si fa buio.»

Le due facce nell’immagine olografica si guardano intorno, in maniera quasi comica, come se avessero dimenticato dove si trovano. «Già» dice Raul. «E i vostri raggi al plasma o che diavolo erano hanno ridotto a scorie la mia torcia.»

«Potrei illuminarvi la via» dice de Soya, senza sorridere. «Ma dovrei riattivare il sistema d’armamento principale.»

«Lasci perdere» dice Raul. «Ce la faremo. Ora spengo il video, ma terrò aperto l’audio finché non avremo trovato la navetta.»

57

Impiegammo più di due ore per percorrere quel chilometro e mezzo. Le alture di lava erano davvero accidentate. Fra quei rivoli e quei crepacci sarebbe stato facile rompersi una caviglia, anche senza il peso di A. Bettik sulla schiena. La notte era buia… erano giunte le nuvole a oscurare le stelle… e non credo che ce l’avremmo fatta, se Aenea non avesse trovato nell’erba la torcia laser, mentre facevamo i bagagli e ci preparavamo a partire.

— Come diavolo è finita lì? — dissi. Ricordavo d’essere stato sul punto di premere il pulsante del piccolo laser, mirando agli occhi di quella donna infernale. Poi la torcia laser era sparita. "Oh, al diavolo!" pensai. Era stata una giornata di misteri. Ce ne andammo, lasciandoci alle spalle un ultimo mistero: la sagoma muta dello Shrike, sempre impietrito dov’era comparso. Non tentò di seguirci.

Con Aenea a fare strada tenendo al massimo dell’ampiezza il raggio della torcia laser, avanzammo a fatica nel campo di lava e fra gli instabili mucchi di cenere e ci addentrammo fra le alture. Avremmo impiegato metà del tempo, se A. Bettik non avesse richiesto cure costanti.

Il medipac aveva esaurito la scarsa provvista di antibiotici, stimolanti, analgesici, plasma sanguigno e fleboclisi. A. Bettik era vivo grazie al medipac, ma era sempre sul filo del rasoio. Nel fiume aveva perduto troppo sangue, ecco tutto: la mia cintura usata come laccio emostatico era servita a qualcosa, ma non era stata abbastanza stretta da fermare completamente la perdita di sangue. Quando occorreva, praticavamo all’androide il massaggio cardiaco, solo per fare in modo che il sangue continuasse ad arrivare al cervello e quando l’allarme del medipac cominciava a starnazzare, ci fermavamo. Il comlog, con la voce del caporale, ci manteneva nella giusta direzione; anche se era solo un trucco per catturare Aenea, pensai, avevamo nei confronti di quei due militari della Pax un debito davvero grosso. E mentre ci arrabbattavamo nel buio, con il raggio che giocava sulla lava nera e sugli scheletri d’albero, m’aspettavo che la mano cromata di quella donna infernale scattasse fuori della roccia e m’afferrasse la caviglia.

Trovammo la navetta esattamente dove avevano detto che si trovava. Aenea iniziò a salire la scaletta metallica, ma l’afferrai per i calzoni sbrindellati e la tirai giù.

— Non ti voglio nella nave, ragazzina — dissi. — Abbiamo solo la loro parola che non possono farla funzionare mediante il telecomando. Se entri e loro possono intervenire da lassù, sei bell’e catturata.

Lei si accasciò contro la scaletta. Non l’avevo mai vista così esausta. — Mi fido di loro — replicò. — Hanno detto…

— Già, ma se non sei dentro, non possono prenderti. Tu resti qui, mentre porto su A. Bettik e vedo se c’è un robochirurgo.

Nel salire la scaletta ebbi un pensiero che mi torse le viscere. E se il portello metallico era chiuso e la chiave si trovava nella tasca della tuta di quella donna infernale?