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— Precisamente — disse il vecchio. — Perché? Perché prendersi la briga di falsificare la tua esecuzione e di trasportare la tua fottuta carcassa per mezzo fottuto continente? Già, perché?

Le parolacce non parvero particolarmente crude sulle labbra del vecchio, come se avessero costellato il suo modo d’esprimersi per tanto di quel tempo da perdere un’enfasi particolare. Aspettai che proseguisse.

— Voglio affidarti un incarico, Raul Endymion — disse il vecchio, con respiro sibilante. Un liquido chiaro scorreva nelle cannule endovenose.

— Ho scelta?

Il vecchio sorrise di nuovo, ma i suoi occhi erano immutabili come la pietra delle pareti. — Abbiamo sempre una scelta, caro ragazzo. Nel caso specifico, puoi ignorare l’eventuale debito che potresti sentire nei miei confronti perché ti ho salvato la vita e lasciar perdere tutto… puoi andartene, semplicemente. I miei servitori non ti fermeranno. Con un po’ di fortuna potrai uscire da questa zona vietata, trovare la strada per regioni più civili ed evitare le pattuglie della Pax, con le quali la tua identità e la mancanza di documenti potrebbero rivelarsi… ah… imbarazzanti.

Annuii. Probabilmente a quell’ora i miei abiti, il cronometro, il permesso di lavoro e la carta d’identità della Pax erano in fondo alla baia Toschahi. Il lavoro di guida nelle paludi mi aveva fatto dimenticare con quanta frequenza nei centri abitati le autorità controllavano i documenti. L’avrei riscoperto subito, se fossi tornato in una delle città costiere o nei paesi dell’interno. Perfino i lavori rurali, come il pastore o la guida, richiedevano la carta d’identità della Pax, per le tasse e le imposte. Non mi rimaneva che passare la vita nascosto nell’interno, vivendo dei prodotti della terra ed evitando contatti con la gente.

— Oppure — proseguì il vecchio — puoi svolgere per me un incarico e diventare ricco. — Mi ispezionò come avevo visto fare a cacciatori professionisti con i cuccioli che potevano o no rivelarsi buoni cani da caccia.

— Sentiamo — dissi.

Il vecchio chiuse gli occhi e trasse un respiro rauco e sibilante. Non si prese la briga di riaprire gli occhi. — Sai leggere, Raul Endymion?

— Sì.

— Hai letto il poema noto come i Canti?

— No.

— Ma ne conosci qualche brano? Sei nato in un clan di pastori nomadi del nord, perciò il cantastorie avrà di sicuro citato i Canti, no? — C’era un tono bizzarro, nella sua voce querula. Umiltà, forse.

Mi strinsi nelle spalle. — Ne ho sentito qualche verso. Il mio clan preferiva l’Epica di Garden o la Saga di Glennon-Height.

Il vecchio sorrise, con quella sua aria da satiro. — Ah, sì, l’Epica di Garden. Sì. Raul era l’eroe centauro del poema, vero?

Rimasi in silenzio. Nonna aveva amato quel personaggio, il centauro Raul. Mia madre e io eravamo cresciuti ascoltando i racconti che lo riguardavano.

— Credi nelle storie? — domandò bruscamente il vecchio. — Le storie dei Canti, voglio dire.

— Che siano cose davvero avvenute? I pellegrini e lo Shrike e tutto il resto? — Esitai qualche secondo. C’era chi credeva a tutte le storie narrate nei Canti. E c’era chi non credeva a nessuna di esse, chi pensava che fossero miti e farneticazioni messe insieme per aggiungere mistero all’orrenda guerra e alla confusione che era stata la Caduta. — A dire il vero, non ci ho mai pensato — risposi francamente. — Ha importanza?

Il vecchio parve soffocare; poi capii che quel suono gorgogliante era una risatina. — No, in realtà — rispose infine. — Ora, ascolta. Ti spiegherò gli elementi essenziali del… dell’incarico. Quando parlo, spendo energia, perciò non fare domande finché non avrò terminato. — Batté le palpebre e con la mano simile a un artiglio maculato indicò il lettino coperto da un lenzuolo bianco. — Vuoi sederti?

Scossi la testa e rimasi in piedi.

— Bene — disse il vecchio. — La mia storia inizia duecentosettanta e passa anni fa, durante la Caduta. Uno dei pellegrini di cui si parla nei Canti era una mia amica. Si chiamava Brawne Lamia. Era una persona reale. Dopo la Caduta, dopo la morte dell’Egemonia e l’apertura delle Tombe del Tempo, Brawne Lamia mise al mondo una figlia. L’aveva chiamata Diana, ma la bambina era ostinata e appena fu in grado di parlare, cambiò nome. Per un poco fu conosciuta come Cynthia, poi come Cate, diminutivo di Ecate, e poi, quando ebbe dodici anni, pretese che amici e familiari la chiamassero Temis. L’ultima volta che la vidi, si chiamava Aenea…

Il vecchio si fermò e mi scrutò a occhi socchiusi. — Pensi che questo non abbia importanza… ma i nomi sono importanti! Se tu non portassi il nome di questa città, a sua volta battezzata col nome di un antico poema, non saresti mai stato notato da me e adesso non ti troveresti qui. Saresti morto. Cibo per i vermisquali del Grande Mare Meridionale. Capisci, Raul Endymion?

— No — risposi.

Scosse la testa. — Non importa. Dov’ero rimasto?

— L’ultima volta la bambina si chiamava Aenea.

— Ah, sì. — Chiuse di nuovo gli occhi. — Non era particolarmente bella, ma era… unica. Chiunque l’avesse conosciuta, sentiva che era diversa. Speciale. Non viziata, malgrado la stupida faccenda del nome cambiato di continuo. Solo… differente. — Sorrise, mettendo in mostra le gengive rosee. — Hai mai incontrato qualcuno che sia profondamente diverso, Raul Endymion?

Esitai solo un secondo. — No — risposi. Ma non era vero. Quel vecchio era diverso. Però sapevo che la domanda non riguardava lui.

— Cate… Aenea… era diversa — proseguì. — Sua madre lo sapeva. Brawne sapeva che sua figlia era speciale, prima ancora che la bambina nascesse… — Si fermò e socchiuse gli occhi quanto bastava a scrutarmi. — Hai sentito questa parte dei Canti?

— Sì — risposi. — Un’entità cìbrida aveva predetto che la donna di nome Lamia avrebbe generato una figlia conosciuta come Colei Che Insegna.

Pensai che il vecchio stesse per sputare. — Un appellativo stupido — disse. — Per il periodo in cui la conobbi, nessuno la chiamò in quel modo. Aenea era solo una bambina. Brillante e ostinata, ma bambina. Ciò che aveva di unico, esisteva solo potenzialmente. Ma poi…

Lasciò morire la frase e i suoi occhi parvero velarsi. Come se avesse perduto il filo del discorso. Aspettai in silenzio.

— Ma poi Brawne Lamia morì — disse il vecchio dopo alcuni minuti, con voce più forte, come se non ci fosse stata interruzione nel monologo. — Aenea scomparve. Aveva dodici anni. Tecnicamente ero il suo tutore, ma lei non mi chiese il permesso di scomparire. Un giorno se ne andò e da lei non ebbi più notizie. — S’interruppe di nuovo: pareva una macchina che di tanto in tanto si esauriva e doveva essere ricaricata.

— A che punto ero? — disse dopo un poco.

— Non ha più avuto sue notizie.

— Sì, da lei non ho più avuto notizie, ma so dove andò e so quando ricomparirà. Ora le Tombe del Tempo sono zona vietata, chiusa al pubblico dai militari della Pax posti lì di guarnigione; ma tu, Raul Endymion, ricordi il nome e la funzione d’ogni tomba?

Emisi un borbottio. Nonna soleva tormentarmi allo stesso modo sui particolari delle storie. Pensavo che Nonna fosse molto anziana. A confronto di quel vecchio appassito e raggrinzito, era una bimbetta. — Credo di ricordare le tombe — risposi. — C’erano la Sfinge, la Tomba di Giada, l’Obelisco, il Monolito di Cristallo dove fu sepolto il soldato…

— Il colonnello Fedmahn Kassad — borbottò il vecchio. Tornò a guardarmi. — Continua.