«Portateli su» ordina de Soya, mediante il collegamento a cavo.
«Gli stivali?» domanda il capitano del sommergibile. «Tutti?»
«Tutti» conferma de Soya.
I monitor mostrano sul fondo marino una profusione di robaccia: cose perdute dalla guarnigione della piattaforma in quasi duecento anni di sbadataggine, effetti personali dei pescatori di frodo e dei marinai annegati, spazzatura metallica e plastica gettata via da pescatori e da altri. Molti oggetti sono corrosi e deformati dai crostacei di profondità e dall’inimmaginabile pressione, ma alcuni sono abbastanza recenti e resistenti da essere riconoscibili.
«Raccoglieteli e portateli su» ordina de Soya, mentre guarda oggetti luccicanti che potrebbero essere un coltello, una forchetta, una fibbia di cintura, una…
«Cos’è quello?» domanda de Soya.
«Quale?» dice il capitano del sommergibile. Guarda i telemanipolatori e non i monitor.
«Quell’oggetto luccicante… pare una pistola.»
L’immagine sui monitor cambia, mentre il sommergibile si gira. I potenti fari frugano il fondo, si spostano, illuminano l’oggetto e la telecamera lo avvicina. «È una pistola» conferma il capitano. «Ancora pulita. Un po’ danneggiata dalla pressione, ma in pratica intatta.» De Soya può udire lo scatto della telecamera a inquadratura singola che cattura dal monitor l’immagine. «Ora la raccolgo» dice il capitano.
De Soya sta per ammonirlo… "con prudenza!"… ma si trattiene. Negli anni al comando di una nave torcia ha imparato a lasciare che ciascuno faccia il suo lavoro. Guarda comparire sul monitor il braccio prensile e il telemanipolatore che con delicatezza solleva l’oggetto luccicante.
— Potrebbe essere la pistola a fléchettes del tenente Belius — dice Sproul. — Non è mai stata ritrovata.
— Si trova piuttosto lontano dalla piattaforma — riflette de Soya, guardando il monitor, dove l’immagine si muove e cambia.
— Qui le correnti sono forti e capricciose — replica il giovane ufficiale. — Ma devo ammettere che non pareva una pistola a fléchettes. Troppo… come dire… squadrata.
— Già — dice de Soya. I fari sottomarini brillano sullo scafo incrostato di un sommergibile affondato da decenni. De Soya pensa agli anni nello spazio e a quanto quell’ignoto e differente abisso sia vuoto rispetto a un qualsiasi oceano di qualsiasi mondo, brulicante di vita e di storia. Pensa agli Ouster e al loro bizzarro tentativo di adattarsi allo spazio come quei vermotubi e quei gigacanti e quelle altre creature abbarbicate al fondale si sono adattate al buio eterno e alla terribile pressione. Forse, pensa, gli Ouster capiscono, del futuro della razza umana, qualcosa che noi nella Pax abbiamo solo negato.
"Eresia" si rimprovera. Scaccia quei pensieri e guarda il giovane ufficiale di collegamento. — Fra poco sapremo cos’è — dice. — Nel giro di un’ora avranno portato su il carico.
Gregorius ritorna dopo quattro giorni. È morto. La Raffaele invia col radiofaro il suo triste segnale; una nave torcia si presenta all’appuntamento, a venti minuti luce dal pianeta, e il corpo del sergente viene rimosso e portato nella cappella di risurrezione a Santa Teresa. De Soya non aspetta che il sergente sia risuscitato. Si fa subito portare la borsa dei documenti.
Gli archivi della Pax su Hyperion hanno riconosciuto con certezza il DNA prelevato sul tappeto hawking e hanno identificato anche l’impronta parziale trovata sulla tazza di caffè. DNA e impronta appartengono allo stesso uomo: Raul Endymion, nato su Hyperion, a.D. 3099, non battezzato, arruolato nella Guardia Nazionale nel mese di Tommaso, a.D. 3115, in azione di guerra con il 23° Reggimento di Fanteria Semovente durante la rivolta di Ursus (tre encomi per atti d’eroismo, in un caso il recupero di un commilitone sotto il fuoco nemico) di stanza a Forte Benjing nell’Artiglio Meridionale del continente Aquila per otto mesi standard, completamento del servizio militare nella Stazione 9 del fiume Kans su Aquila, a pattugliare la giungla e a montare la guardia contro l’attività terroristica dei ribelli nelle vicinanze delle piantagioni di fibroplastica. Grado finale, sergente. Congedato con onore il 15 del mese di Lent, a.D. 3119, luogo di residenza sconosciuto fino a meno di dieci mesi standard fa, quando, il 23 del mese dell’Ascensione, a.D. 3126, è stato arrestato, processato e incarcerato a Port Romance (continente Aquila) per l’omicidio di tale Dabil Herrig, cristiano rinato di Vettore Rinascimento. Gli atti riportano che Raul Endymion ha rifiutato l’offerta della croce ed è stato giustiziato mediante neuroverga una settimana dopo l’arresto, il 30 del mese dell’Ascensione, a.D. 3126. Il cadavere è stato sepolto in mare. Il certificato di morte e l’autopsia sono stati autenticati dall’Ispettore Generale della Pax a Port Romance.
Il giorno seguente si controllano le impronte latenti sull’antica rivoltella cal. 45 ripescata dal fondo dell’oceano: appartengono a Raul Endymion e al tenente Belius.
I frammenti di filo del tappeto hawking non sono identificati con altrettanta facilità dagli archivi della Pax su Hyperion, ma l’impiegato che si è occupato della ricerca ha incluso un appunto manoscritto nel quale dice che un simile tappeto riveste molta importanza nei leggendari Canti composti da un poeta vissuto su Hyperion all’incirca fino al secolo scorso.
Dopo la risurrezione, il sergente Gregorius riposa per alcune ore e vola alla Stazione Tre-due-zero-sei Mediolitorale per fare rapporto. De Soya gli riferisce le varie scoperte. Gli dice pure che venti ingegneri della Pax, impegnati per tre settimane a esaminare il teleporter, non hanno trovato segno che l’antico portale sia entrato in funzione, anche se diversi pescatori, sulla piattaforma quella notte, hanno scorto un vivido lampo. Gli ingegneri riferiscono pure che non c’è modo di mettere le mani nell’antica arcata costruita dal TecnoNucleo, né di stabilire dove il teleporter abbia trasferito eventuali utilizzatori.
— Come su Vettore Rinascimento — commenta Gregorius. — Ma almeno lei ha un’idea di chi ha collaborato alla fuga della bambina.
— Forse — dice de Soya.
— Quell’uomo ne ha fatta, di strada, per venire qui a morire — dice il sergente.
Il Padre Capitano de Soya si lascia andare contro la spalliera. — È proprio morto qui, sergente?
Gregorius non ha risposte.
— Credo — riprende de Soya — che su Mare Infinitum abbiamo terminato. O avremo terminato fra un paio di giorni.
Il sergente annuisce. Dalla fila di finestre, lì nell’ufficio del direttore, vede il vivido bagliore che precede il sorgere delle lune. — Dove andiamo ora, Capitano? Riprendiamo il vecchio schema di ricerca?
Anche de Soya guarda a oriente, aspetta che la gigantesca luna arancione compaia sopra l’orizzonte oscurato. — Non so, sergente — risponde. — Intanto rimettiamo tutto a posto, consegnarne il capitano Powl alla Giustizia della Pax in Orbita Sette e lisciamo le piume al vescovo Melandriano…
— Se possibile — dice il sergente Gregorius.
— Se possibile — conviene de Soya. — Poi salutiamo l’arcivescovo Kelley, torniamo sulla Raffaele e decidiamo dove balzare. Forse sarebbe ora d’elaborare qualche teoria sulla destinazione della bambina, per cercare d’anticiparla, e non limitarsi a seguire lo schema della Raffaele.
— Sissignore — dice Gregorius. Saluta, va alla porta, esita un momento. — E lei ha una teoria, signore? Basata sulle poche cose trovate qui?
De Soya continua a guardare le tre lune che si levano. Non gira la poltrona per guardare in viso il sergente. — Forse — dice. — Solo forse.
36
Facendo forza sulle pertiche fermammo la zattera prima che andasse a sbattere contro la parete di ghiaccio. Avevamo acceso tutte le lanterne e le lampadine elettriche mandavano fasci di luce nell’algida tenebra della caverna di ghiaccio. Volute di nebbia si levavano dalle acque nere e rimanevano sospese sotto il frastagliato soffitto come minacciosi spiriti d’annegati. Sfaccettature di cristallo distorcevano e poi riflettevano i fiochi raggi luminosi, rendendo più fitta l’oscurità delle zone buie.