Le tre Guardie Svizzere rimangono in silenzio. Ciascuno pare pensare alla morte nella morte che quell’evento comporterebbe… la distruzione senza preavviso di distruzione. Andrebbero a dormire come sempre nella loro cuccetta e non si risveglierebbero, semplicemente… non in questa vita, almeno. Il sacramento del crucimorfo è davvero miracoloso, può riportare in vita cadaveri maciullati ed esplosi, riformare la sagoma e l’anima di cristiani rinati che siano stati colpiti, bruciati, affamati, annegati, asfissiati, pugnalati, schiacciati o rovinati dalla malattia… ma ha i suoi limiti: è impotente di fronte a un lungo periodo di decomposizione, come lo sarebbe in caso d’esplosione termonucleare del motore interplanetario della nave.
— Siamo con lei, credo — dice infine il sergente Gregorius, sapendo che il Padre Capitano de Soya ha intavolato questa discussione perché a lui non piace dare un semplice ordine e imporre ai propri uomini un simile rischio di vera morte.
Kee e Rettig si limitano ad annuire.
— Bene — dice de Soya. — Programmerò la Raffaele in questo modo: se non avrà la possibilità di fuggire prima di risuscitarci, farà esplodere i motori a fusione. E starò ben attento a stabilire i parametri che determinano "l’impossibilità di fuga". Ma non credo che ci siano molte possibilità che la situazione si verifichi. Ci sveglieremo in… oddio, non ho neppure controllato qual è il primo mondo del Teti occupato dagli Ouster. Tai Zhin?
— Negativo, signore — dice Gregorius, chino sopra la mappa stellare che riporta lo schema di ricerca della Raffaele. Punta il dito sopra una zona fuori della Pax, segnata con un circoletto. — Hebron. Il pianeta degli ebrei.
— D’accordo, allora — dice il prete-capitano. — Entriamo nelle cuccette e dirigiamoci al punto di traslazione. L’anno prossimo a Nuova Gerusalemme!
— L’anno prossimo, signore? — si meraviglia il lanciere Rettig, sospeso sopra la mappa, prima di darsi lo slancio per tornare nella cuccetta.
De Soya sorride. — Un modo di dire che ho appreso da alcuni amici ebrei. Non so cosa significhi.
— Non sapevo che in giro ci fossero ancora degli ebrei — dice il caporale Kee, librato sopra la cuccetta. — Pensavo che se ne stessero tutti nella Periferia.
De Soya scuote la testa. — Nell’università, quando seguivo corsi esterni al seminario, c’erano alcuni ebrei convertiti. Non pensateci. Fra poco su Hebron ne incontrerete alcuni. Allacciare le cinture.
Appena si sveglia, il prete-capitano capisce subito che qualcosa è andato storto. Alcune volte, da giovane, nei suoi giorni più sfrenati, Federico de Soya si è ubriacato con i colleghi seminaristi e in una di quelle occasioni si è svegliato in un letto estraneo… da solo, grazie a Dio… ma in un letto sconosciuto, in una sconosciuta parte della città, senza il minimo ricordo del padrone di quel letto né di come lui vi fosse finito. Questo risveglio gli ricorda le vecchie bravate.
Anziché aprire gli occhi e vedere le compatte culle automatizzate della Raffaele, sentire gli odori d’ozono e di sudore riciclato della nave, provare il terrore di svegliarsi-e-cadere dovuto all’assenza di gravità, de Soya si trova in un comodo letto e in una graziosa stanza, in un campo gravitazionale ragionevolmente normale. Alle pareti sono appese icone religiose: la Vergine Maria, un grande crocifisso con il Cristo sofferente che leva al cielo gli occhi, un quadro raffigurante il martirio di S. Paolo. Dalle tendine di merletto penetrano deboli raggi di sole.
Lo stupefatto de Soya trova vagamente familiari l’ambiente e il viso grassoccio e gentile del prete che gli porta brodo e gli rivolge le solite frasi. Alla fine le sinapsi che si ricollegano nel cervello del Padre Capitano de Soya compiono la connessione: riconosce padre Baggio, il cappellano di risurrezione che ha visto ultimamente nei Giardini Vaticani e che era convinto di non rivedere mai più. Sorseggiando il brodo, de Soya guarda dalla finestra del rettorato il cielo azzurro chiaro e pensa: "Pacem". Si sforza di ricordare gli eventi che l’hanno condotto lì, ma come ultima cosa ricorda solo la conversazione con il sergente Gregorius e i suoi uomini, la lunga risalita dal pozzo gravitazionale di Mare Infinitum e di 70 Ophiuchi A, poi la scossa della traslazione.
— Come? — borbotta, afferrando per la manica il prete. — Perché… come?
— Su, su — dice padre Baggio — pensi a riposare, figliolo. Più tardi ci sarà tempo per parlare. Tempo per tutto.
Calmato dalla voce gentile, dalla luce intensa e dall’aria ricca d’ossigeno, de Soya chiude gli occhi e s’addormenta. Fa sogni minacciosi e sinistri.
Durante il pasto di mezzogiorno (ancora brodo) de Soya si convince che il gentile, grassoccio padre Baggio non risponderà a nessuna delle sue domande: non gli spiegherà come mai si trova su Pacem, non gli dirà dove sono e come stanno i suoi uomini… e non gli spiegherà per quale motivo non gli darà risposte.
— Presto sarà qui padre Farrell — dice padre Baggio, come se questo spiegasse ogni cosa. De Soya raccoglie le forze, si lava e si veste, cerca di riprendere lucidità e aspetta padre Farrell.
Padre Farrell arriva a metà pomeriggio. Alto, ascetico (un comandante dei Legionari di Cristo, viene a sapere presto e con poca sorpresa de Soya) parla con tono spiccio e pratico, anche se pacato. Ha occhi grigi, gelidi.
— La sua curiosità è comprensibile — dice padre Farrell. — Ma nella sua mente c’è ancora una certa confusione. Cosa normale, per chi è appena rinato.
— Conosco bene gli effetti collaterali — dice de Soya, con un lieve sorriso ironico. — Ma sono curioso. Come mai mi sono svegliato su Pacem? Cos’è accaduto nel sistema di Hebron? E come stanno i miei uomini?
Padre Farrell non batte ciglio. — Cominciamo dall’ultima domanda, Padre Capitano. Il sergente Gregorius e il caporale Kee stanno bene… in questo momento si riprendono dalla risurrezione nella cappella delle Guardie Svizzere.
— Il lanciere Rettig? — domanda de Soya. La sensazione d’infausto presagio che dal risveglio lo tormenta ora si agita, muove ali tenebrose.
— Morto, purtroppo — risponde Farrell. — Della vera morte. Gli è stata somministrata l’estrema unzione e il corpo è stato consegnato alle profondità dello spazio.
— Come ha fatto a morire… della vera morte, intendo — riesce a domandare de Soya. Avrebbe voglia di piangere, ma si trattiene perché non è sicuro se sia effetto del dispiacere o della risurrezione.
— Non sono al corrente dei particolari — risponde padre Farrell. Lui e de Soya sono nel piccolo salotto del rettorato, di cui ci si serve per incontri e per importanti discussioni. Sono soli, a parte gli occhi di santi, martiri, Cristo e Sua madre. — Pare che ci sia stato un guasto nella culla automatizzata di risurrezione, al ritorno della Raffaele dal sistema di Hebron — continua padre Farrell.
— Ritorno da Hebron? — si stupisce de Soya. — Non capisco, Padre. Avevo programmato la nave in modo che restasse nel sistema, a meno che non fosse minacciata da forze Ouster. È questo, il caso?
— Evidentemente — replica il Legionario. — Come le ho detto, non conosco i particolari tecnici… né sono competente in materia. Ma da quanto ho capito, lei ha programmato la sua nave Arcangelo per entrare nello spazio controllato dagli Ouster…
— Dovevamo continuare su Hebron la nostra missione — lo interrompe il Padre Capitano de Soya.
Padre Farrell non si spazientisce né cambia l’espressione neutra, ma de Soya guarda quei freddi occhi grigi ed evita d’interromperlo ancora.
— Come dicevo, Padre Capitano… da quanto ho capito, lei ha programmato la sua Arcangelo per entrare nello spazio controllato dagli Ouster e, se non ci fossero state minacce, stabilirsi in orbita intorno al pianeta Hebron.