Il terzo o quarto giorno, proprio prima dell’ora di pranzo, mi unii agli altri che chiacchieravano nello studio del vecchio prete. Avevo già dato un’occhiata ai libri negli scaffali: volumi di filosofia e di teologia, romanzi polizieschi, testi d’astronomia, studi d’etnologia, tomi di neoantropologia, romanzi d’avventura, manuali di carpenteria, testi di medicina, libri di zoologia…
«Il motivo di maggiore tristezza per la perdita della vista, trent’anni fa» aveva detto padre Glauco, quel primo giorno, quando ci aveva mostrato con orgoglio la biblioteca «fu l’impossibilità di leggere i miei amati libri. Sono Prospero al contrario. Non potete immaginare il tempo che impiegai a trasportare quassù, dalla libreria cinquanta piani più sotto, questi tremila volumi!»
Nei pomeriggi, mentre io andavo in esplorazione e A. Bettik leggeva per suo conto, Aenea leggeva ad alta voce per il vecchio prete. Una volta entrai senza bussare e vidi le lacrime sulle guance del vecchio missionario.
Quel giorno, quando mi unii a loro, sentii che padre Glauco parlava di Teilhard… il gesuita storico, non l’antipapa deposto da Giulio VI.
— Era un portaferiti nella Prima guerra mondiale — diceva in quel momento padre Glauco. — Poteva fare il cappellano militare e stare lontano dalla prima linea, ma preferì fare il portaferiti. Per il suo coraggio gli conferirono delle medaglie, compresa l’onorificenza detta Legion d’Onore.
A. Bettik si schiarì educatamente la voce. — Mi scusi, Padre — disse sottovoce. — Sbaglio nel presumere che la Prima guerra mondiale sia stato un conflitto pre-Egira limitato alla Vecchia Terra?
Il prete sorrise. — Non sbaglia, non sbaglia, mio caro amico. Primi anni del XX secolo. Terribile conflitto. Terribile. E Teilhard era nel cuore degli scontri. L’odio per la guerra restò in lui tutta la vita.
Molto tempo prima padre Glauco si era costruito una sedia a dondolo e ora si dondolò davanti al fuoco di pastiglie acceso in un caminetto costruito alla buona. Le braci dorate gettavano lunghe ombre ed emanavano più calore di quanto non avessimo goduto dal momento in cui avevamo varcato l’arcata del teleporter. — Teilhard era geologo e paleontologo — riprese padre Glauco. — Nel 1930, mentre si trovava in Cina, una nazione della Vecchia Terra, elaborò la teoria in base alla quale l’evoluzione era un processo incompleto, tuttavia un processo fondato su di un disegno. Egli vide l’universo come un progetto di Dio per riunire in una singola entità consapevole il Cristo dell’Evoluzione, il Personale e l’Universale. Teilhard de Chardin vide ogni passo dell’evoluzione come un segno pieno di speranza… perfino le estinzioni di massa, come motivo di gioia… la cosmogenesi, parola sua, come conseguenza dell’umanità divenuta centrale all’universo, la noogenesi come il passo seguente dell’evoluzione della mente umana, l’umanizzazione e l’ultraumanizzazione come gli stadi dell’Homo sapiens che si evolveva verso la vera umanità.
— Mi scusi, Padre — dissi, con mia sorpresa, solo in piccola parte consapevole dell’incongruità di quella discussione astratta nel cuore della città sepolta, sotto l’atmosfera congelata, in un ambiente di feroci spettri artici e di gelo — ma l’eresia di Teilhard non sosteneva che l’umanità si poteva evolvere in Dio?
Padre Glauco scosse la testa, con espressione sempre amabile. — In vita sua, figliolo, Teilhard non fu mai tacciato d’eresia. Nel 1962 il Sant’Uffizio… qualcosa di molto diverso, a quel tempo, ve l’assicuro… emanò un monitum…
— Un cosa? — intervenne Aenea, che era seduta sul tappeto davanti al fuoco.
— Un monitum, cioè un avvertimento contro l’accettazione acritica delle sue idee — spiegò padre Glauco. — E Teilhard non disse che gli esseri umani sarebbero divenuti Dio. Disse che l’intero universo consapevole era parte di un processo evolutivo verso il giorno… lo chiamò Punto Omega… in cui tutto il creato, umanità inclusa, sarebbe diventato tutt’uno con la Divinità.
— Teilhard avrebbe incluso il TecnoNucleo in questa evoluzione? — domandò piano Aenea. Si stringeva le ginocchia.
Padre Glauco smise di dondolarsi e con le dita si pettinò la barba. — Gli studiosi di Teilhard hanno dibattuto con vigore per secoli questo argomento, mia cara. Non sono uno studioso, ma sono sicuro che nel suo ottimismo Teilhard avrebbe incluso il Nucleo.
— Ma le Intelligenze Artificiali discendono dalle macchine — obiettò A. Bettik. — E il loro concetto d’Intelligenza Finale è totalmente diverso da quello cristiano: una mente fredda e spassionata, una capacità di previsione in grado di contemplare tutte le variabili.
Padre Glauco annuiva. — Ma le IA pensano, figliolo. I primi loro progenitori dotati di consapevolezza furono progettati dal DNA vivente…
— Progettati dal DNA per calcolare - intervenni, atterrito al pensiero che, parlando di anima, alle macchine del Nucleo si concedesse il beneficio del dubbio.
— E per cos’era progettato il nostro DNA, nei primi cento milioni di anni, figliolo? Mangiare? Uccidere? Procreare? Eravamo, agli inizi, meno ignobili delle Intelligenze Artificiali pre-Egira basate su silicio e DNA? Come avrebbe detto Teilhard, è la coscienza ciò che Dio ha creato per accelerare la consapevolezza dell’universo come mezzo per capire la Sua volontà.
— Il TecnoNucleo — dissi — voleva usare la razza umana come parte del progetto per l’Intelligenza Finale e poi distruggerci.
— Ma non ci ha distrutti — replicò padre Glauco.
— Non grazie al Nucleo.
— L’umanità si è evoluta, fino al punto in cui si è evoluta, senza ringraziamenti ai suoi predecessori né a se stessa — disse il vecchio prete. — L’evoluzione porta esseri umani. Gli esseri umani, attraverso un procedimento lungo e doloroso, portano umanità.
— Empatia — mormorò Aenea.
Padre Glauco girò nella sua direzione gli occhi ciechi. — Esatto, mia cara. Ma noi non siamo la sola incarnazione della razza umana. Appena raggiunta la consapevolezza, le nostre macchine calcolatrici sono diventate parte di questo disegno. Potranno opporre resistenza. Potranno cercare di disfarlo per i loro complessi fini. Ma l’universo continua a intessere il proprio disegno.
— Lei fa in modo che l’universo e i suoi processi sembrino una macchina — dissi. — Programmata, inarrestabile, inevitabile.
Il vecchio prete scosse lentamente la testa. — No, no… una macchina, mai. E mai inevitabile. La venuta di Cristo ci ha insegnato almeno una cosa: niente è inevitabile. Il risultato è sempre in dubbio. Siamo sempre noi a decidere per la luce o per le tenebre. Noi… e qualsiasi entità consapevole.
— Ma Teilhard pensava che la consapevolezza e l’empatia avrebbero vinto? — domandò Aenea.
Padre Glauco mosse la mano ossuta in direzione della scaffalatura alle spalle di Aenea. — Là dovrebbe esserci un libro… nel terzo ripiano… aveva un segnalibro azzurro, l’ultima volta che l’ho visto, trenta e passa anni fa. Lo vedi?
— Diari, appunti e corrispondenze di Teilhard de Chardin? — disse Aenea.
— Sì, sì. Aprilo dove c’è il segnalibro. Vedi il brano sottolineato? Una delle ultime cose che questi vecchi occhi hanno visto prima che scendessero le tenebre…
— L’annotazione datata 12 dicembre 1919? — domandò Aenea.
— Sì. Leggila, per favore.
Aenea accostò il libro alla luce del fuoco.
— "Si noti bene" — lesse. — "Non attribuisco alcun valore definitivo e assoluto alle varie costruzioni dell’uomo. Credo che scompariranno, riplasmate in un nuovo intero che ancora non possiamo concepire. Nello stesso tempo riconosco che hanno avuto un ruolo provvisorio essenziale: sono fasi necessarie, inevitabili, che noi (noi o la razza) dobbiamo percorrere nel corso della nostra metamorfosi. Ciò che amo in esse non è la loro forma particolare, ma la loro funzione, che è quella di costruire, in modo misterioso, prima qualcosa che possa essere reso divino, e poi, tramite la grazia di Cristo che illumina i nostri sforzi, qualcosa di divino."