Выбрать главу

Nemes annuisce e lascia cadere a terra il prete. Si mette a cavalcioni sul petto del vecchio, punta l’indice contro l’occhio e spara nel cervello un microfilamento di ricerca: la sonda trova la strada verso una regione precisa della corteccia cerebrale.

— Ora, Padre — dice Rhadamanth Nemes — riproviamo. Dov’è la bambina? Chi è con lei? Dove sono?

Le risposte cominciano a fluire nel microfilamento, sotto forma di raffiche codificate d’energia neurale morente.

46

I nostri giorni in compagnia di padre Glauco furono memorabili per le comodità, per il loro lento trascorrere dopo tante settimane di frettolosi spostamenti a destra e a manca, per le conversazioni. Li ricordo soprattutto, credo, per le conversazioni.

Poco prima del ritorno dei Chitchatuk venni a sapere una delle ragioni per cui A. Bettik aveva intrapreso con me quel viaggio.

— Lei ha fratelli, signor Bettik? — domandò padre Glauco, rifiutandosi di usare il prefisso, Androide.

Con mia sorpresa, A. Bettik rispose: — Sì. — Com’era possibile? Gli androidi erano progettati e biocostruiti assiemando elementi genetici, crescevano in vasche di coltura… come gli organi per i trapianti, avevo sempre pensato.

— Durante la biocostruzione — continuò A. Bettik, sollecitato dal vecchio prete — gli androidi erano per tradizione donati in gruppi di cinque unità… in genere quattro maschi e una femmina.

— Cinque gemelli — disse padre Glauco, dalla sedia a dondolo. — Quindi lei ha tre fratelli e una sorella.

— Sì — rispose l’uomo dalla pelle azzurra.

— Ma di sicuro non siete stati… — cominciai, fermandomi subito. Mi strofinai il mento. Nell’insolita casa di padre Glauco mi ero rasato (m’era parsa la cosa da fare, per tornare civile) e quasi mi sorpresi per la sensazione di pelle liscia. — Ma di sicuro non siete cresciuti insieme — mi corressi. — Voglio dire, gli androidi non erano…

— Biocostruiti già adulti? — terminò per me A. Bettik, con lo stesso lieve sorriso. — No. Il processo di crescita era accelerato… noi abbiamo raggiunto la maturità a circa otto anni standard… ma c’era un periodo d’infanzia e di fanciullezza. Era questa, una delle ragioni per cui la biocostruzione di androidi aveva costi quasi proibitivi.

— Come si chiamano i suoi fratelli e sua sorella? — domandò padre Glauco.

A. Bettik chiuse il libro che stava sfogliando. — Era tradizione dare al quintetto nomi in ordine alfabetico — rispose. — I miei fratelli si chiamano A. Anttibe, A. Corresson, A. Darria e A. Ewik.

— Chi è tua sorella? — domandò Aenea. — Darria?

— Sì.

— Com’era la vostra infanzia?

— Soprattutto istruzione, addestramento ai compiti e definizione dei parametri di servizio — rispose A. Bettik.

Aenea se ne stava distesa sul tappeto, mento fra le mani. — Andavate a scuola? Giocavate?

— Abbiamo ricevuto lezioni, nella fabbrica, ma la massa delle nostre conoscenze ci è giunta mediante trasferimento RNA. — Guardò Aenea. — E se per "giocare" intende trovare il tempo per rilassarmi con i miei fratelli, la risposta è sì.

— Cos’è accaduto ai tuoi fratelli?

A. Bettik scosse lentamente la testa. — Entrammo in servizio tutti insieme, ma poco dopo fummo separati. Fui acquistato dal Regno di Monaco-in-esilio e spedito su Asquith. Da quanto ne sapevo a quel tempo, ognuno di noi avrebbe fatto servizio in parti diverse della Rete o della Frontiera.

— E non hai mai più sentito nessuno di loro? — domandai.

— No. Dopo il trasferimento su Hyperion della colonia di Re William XXIII, fu importato un gran numero di operai androidi per la costruzione della Città dei Poeti; molti erano stati in servizio su Asquith prima di me, ma nessuno di loro aveva incontrato i miei fratelli.

— Ai tempi della Rete — dissi — era facile fare ricerche sugli altri mondi mediante teleporter e sfera dati.

— Sì, ma agli androidi era proibito per legge e per inibitori RNA viaggiare tramite teleporter e accedere direttamente alla sfera dati. E poi, poco dopo la mia creazione, fu illegale biocostruire o possedere androidi nell’ambito dell’Egemonia.

— E così sei stato impiegato nella Periferia — dissi. — Su mondi remoti, come Hyperion.

— Esattamente, signor Endymion.

— Per questo volevi fare il viaggio? Per trovare uno dei tuoi fratelli… o tua sorella?

A. Bettik sorrise. — Le probabilità d’incontrare per caso un mio fratello clone sono davvero astronomicamente basse, signor Endymion. Non solo la coincidenza sarebbe poco probabile, ma la possibilità che uno di loro sia sopravvissuto alla distruzione totale degli androidi a seguito della Caduta è molto remota. Però… — S’interruppe e allargò le braccia, quasi a chiedere scusa per una speranza così campata in aria.

Quell’ultima sera, che precedette il ritorno dei Chitchatuk, sentii per la prima volta Aenea esprimere la propria teoria sull’amore. Fu una conseguenza di alcune sue domande sui Canti di Martin Sileno.

— D’accordo — disse — appena subentrò la Pax, il poema fu incluso nell’Indice dei Libri Proibiti. Ma quei mondi non ancora inghiottiti dalla Pax al momento della pubblicazione del libro? Zio Martin ebbe la tanto desiderata acclamazione della critica?

— Ricordo che in seminario c’erano discussioni sui Canti - ridacchiò padre Glauco. — Sapevamo che il libro era all’indice, ma questo lo rendeva solo più affascinante. Rinunciammo a leggere Virgilio, ma facemmo a turno per leggere la malconcia copia di quei versi zoppicanti, i Canti.

— Erano versi zoppicanti? — domandò Aenea. — Ho sempre pensato che zio Martin fosse un grande poeta, ma solo perché era lui a dirmelo. Mia mamma diceva sempre che zio Martin era una spina nel piede.

— I poeti possono essere l’uno e l’altra — disse padre Glauco. Ridacchiò di nuovo. — A dire il vero, pare che lo siano spesso. Per quanto ricordo, nei pochi circoli letterari esistenti prima che la Chiesa li assorbisse, quasi tutti i critici bocciarono i Canti. Alcuni presero sul serio Martin Sileno… come poeta, non come cronista di ciò che avvenne realmente su Hyperion poco prima della Caduta. Ma molti misero in ridicolo la sua apoteosi dell’amore, verso la fine del secondo volume…

— Questo lo ricordo — dissi. — Sol, il vecchio studioso la cui figlia ringiovanisce col passare del tempo, scopre che l’amore è la risposta a quello che lui aveva definito il Dilemma di Abramo.

— E io ricordo un critico dalla penna al cianuro, che recensì il poema nella nostra capitale — ridacchiò padre Glauco. — Citò una scritta trovata in un muro di una città della Vecchia Terra riportata alla luce prima dell’Egira: "Se amore è la risposta, qual era la domanda?"

Aenea mi lanciò un’occhiata che era una richiesta di spiegazioni.

— Nei Canti - dissi — lo studioso scopre a quanto pare che ciò che le IA del Nucleo hanno chiamato Vuoto Legante è l’amore. L’amore è una forza basilare dell’universo, come la gravità e l’elettromagnetismo, come i legami nucleari deboli e forti. Nel poema, Sol scopre che l’Intelligenza Finale del Nucleo non sarà mai in grado di capire che l’empatia è inseparabile da quella fonte… dall’amore. Martin Sileno descrive l’amore come "l’impossibilità subquantica che trasportò dati / da fotone a fotone…".

— Teilhard sarebbe stato d’accordo — notò padre Glauco — ma avrebbe espresso con parole diverse il concetto.

— Comunque — continuai — la reazione quasi universale al poema… secondo Nonna… fu di ritenerlo indebolito dal sentimentalismo.

Aenea scuoteva la testa. — Zio Martin aveva ragione — disse. — L’amore è davvero una delle forze basilari dell’universo. Sol Weintraub pensava davvero d’averlo scoperto. Lo disse a mia mamma, prima di scomparire con la figlia nella Sfinge verso il futuro della piccina.

Padre Glauco smise di dondolarsi e si sporse in avanti, gomiti puntati sulle ginocchia ossute: la sua tonaca rattoppata sarebbe parsa buffa, in una persona dotata di minore dignità. — È tanto più complicato dire che Dio è amore?