Oggi, a soli quattro giorni dal fatale congedo dalla task force MAGI e a un giorno dalla risurrezione, il Padre Capitano de Soya è accompagnato da padre Baggio, dal capitano Marget Wu e da monsignor Luca Oddi: Baggio, grassoccio e amabile, è il cappellano della risurrezione di de Soya; Wu, snella e silenziosa, è l’aiutante di campo dell’ammiraglio Marusyn della Flotta della Pax; Oddi, che ha ottantasette anni standard ma è tuttora vispo e arzillo, è lo stretto collaboratore del potente segretario di stato del Vaticano, cardinale Simon Augustino Lourdusamy. Si dice che il cardinale Lourdusamy sia la seconda persona più potente della Pax, l’unico membro della Curia romana cui Sua Santità presti orecchio, e individuo d’intelligenza incredibilmente vivace e pronta. Il potere del cardinale si riflette anche nel fatto che ricopre la carica di Prefetto della Sacra Congregano pro Gentium Evangelizatione vel de Propaganda Fide, il leggendario istituto per l’evangelizzazione delle genti, noto come Propaganda Fide.
Per il Padre Capitano de Soya la presenza di quelle due persone tanto potenti non è più sorprendente della luce del sole sull’alta facciata, mentre lui e gli altri tre salgono i larghi gradini verso la Basilica. La folla, già silenziosa, si zittisce del tutto, mentre i quattro sfilano nell’ampio sagrato, oltrepassano altre Guardie Svizzere sia in uniforme da parata sia in divisa da combattimento ed entrano nella navata. Lì anche il silenzio echeggia e de Soya si commuove fino alle lacrime davanti alla bellezza della grande chiesa e alle eterne opere d’arte che oltrepassa per andare ai banchi: la Pietà di Michelangelo, nella prima cappella a destra; l’antico bronzo di Arnolfo di Cambio, raffigurante san Pietro, il cui piede destro è quasi consumato da secoli di baci; e, vividamente illuminata dal basso, l’impressionante figura di Giuliana Falconieri vergine e santa, scolpita da Pietro Campi nel XVI secolo, più di millecinquecento anni fa.
Il Padre Capitano de Soya piange senza ritegno, quando con l’acqua santa si fa il segno di croce e segue padre Baggio nel banco a loro riservato. I tre preti e l’ufficiale della Pax s’inginocchiano in preghiera, mentre gli ultimi rumori si spengono. Ora la basilica è quasi buia: solo minuscoli faretti alogeni illuminano di luce dorata i tesori artistici e architettonici. De Soya guarda, fra le lacrime, i pilastri scanalati e le colonne barocche bronzo scuro di un’altra opera del Bernini, il baldacchino dorato e riccamente ornato sopra l’altare centrale dove solo il Papa può celebrare messa, e contempla le meraviglie delle ultime ventiquattro ore dalla propria risurrezione. Ha provato dolore, certo, e confusione, come se si riprendesse dallo stordimento causato da un forte colpo alla testa; e il dolore era in tutto il corpo, più penoso di qualsiasi emicrania, come se ogni cellula ricordasse l’indegnità della morte e ancora adesso vi si ribellasse; ma ha provato anche meraviglia. Meraviglia e stupore reverenziale per le cose più insignificanti: il sapore del brodo che padre Baggio gli ha fatto sorbire; la prima occhiata, dalla finestra del presbiterio, al cielo azzurro chiaro di Pacem; l’opprimente essenza umana delle facce viste quel giorno, delle voci udite. Il Padre Capitano de Soya, pur sensibile, non ha più pianto da quand’era bambino e aveva cinque o sei anni standard, ma oggi piange, piange apertamente e senza vergogna. Gesù Cristo gli ha fatto per la seconda volta dono della vita, il Signore ha condiviso con lui, fedele e onorato figlio di poveri genitori su di un pianeta arretrato, il sacramento della risurrezione e le singole cellule di de Soya ora sembrano ricordare il sacramento della rinascita, oltre al dolore della morte. De Soya è soffuso di gioia.
La messa ha inizio in un’esplosione di splendore: note di tromba tagliano come lame d’oro il silenzio dei fedeli in attesa, cori si levano in un canto trionfale, note d’organo salgono a echeggiare nella grande cupola e poi una serie di vivide luci si accende per illuminare il Papa e il suo seguito che vengono a celebrare messa.
La prima impressione di de Soya è che il Santo Padre sia molto giovane: Giulio XIV ha superato da poco la sessantina, malgrado sia stato Papa quasi di continuo per 250 anni, a parte i brevi periodi in cui è morto e risuscitato, per nove incoronazioni, la prima col nome di Giulio VI (dopo gli otto anni di regno dell’antipapa Teilhard I) e poi, a ogni successiva reincarnazione, sempre col nome di Giulio. Mentre de Soya guarda il Santo Padre celebrare messa, pensa alla storia dell’ascendenza di Giulio, appresa sia dalla storia ufficiale della Chiesa, sia dal poema all’indice, i Canti, che ogni giovane di cultura legge a rischio della propria anima, ma che comunque legge.
Secondo tutt’e due le versioni, Papa Giulio era, nella vita precedente la prima risurrezione, un giovane di nome Lenart Hoyt, giunto al clero nell’ombra di Paul Duré, un carismatico archeologo e teologo gesuita. Duré era un sostenitore degli insegnamenti di san Teilhard secondo cui la razza umana ha il potenziale per evolversi verso l’essenza divina… anzi, secondo Duré, salito al trono di Pietro dopo la Caduta, per evolversi nell’essenza divina. Un’eresia, questa, che padre Lenart Hoyt, divenuto Papa Giulio VI, dopo la prima risurrezione si è impegnato a spazzare via.
Tutt’e due le versioni, la storia della Chiesa e i Canti, convengono che fu padre Duré, durante l’esilio su Hyperion, pianeta della Periferia, a scoprire il simbionte detto crucimorfo. A questo punto le versioni divergono completamente. Secondo i Canti, Duré aveva ricevuto il crucimorfo da una creatura aliena, lo Shrike. Secondo la dottrina della Chiesa, lo Shrike (la più emblematica rappresentazione di Satana) non ebbe niente a che fare con la scoperta del crucimorfo, ma più tardi tentò sia padre Duré sia padre Hoyt. La storia della Chiesa riporta che solo Duré cedette alla perfidia di quella creatura. I Canti narrano, nella loro confusa mistura di mitologia pagana e di storia arruffata, che Duré si crocifisse da solo nella foresta di fuoco sull’altopiano Punta d’Ala, su Hyperion, per non riportare alla Chiesa il crucimorfo. Secondo il poeta pagano Martin Sileno, agì in questo modo per salvare la Chiesa dal totale affidamento in un parassita anziché nella fede. Secondo la storia della Chiesa, cui de Soya crede, Duré si crocifisse per porre termine alla sofferenza causata dal simbionte e, in combutta col demone Shrike, per impedire alla Chiesa (ritenuta da Duré suo personale nemico, dopo la scomunica per la falsificazione di reperti archeologici) di riguadagnare vitalità mediante la scoperta del sacramento della risurrezione.