Secondo tutt’e due le storie, padre Lenart Hoyt era andato su Hyperion per cercare l’amico ed ex mentore Duré. Secondo i blasfemi Canti, Hoyt aveva accettato su di sé il crucimorfo di Duré oltre al proprio, ma poi era tornato su Hyperion, negli ultimi giorni prima della Caduta, per supplicare il malefico Shrike di liberarlo di quel fardello. La Chiesa metteva in evidenza la falsità di questa versione e spiegava come padre Hoyt fosse coraggiosamente tornato per affrontare il demone nel suo stesso covo. Quale che sia l’interpretazione, i fatti registrano che Hoyt morì durante l’ultimo pellegrinaggio su Hyperion, che Duré fu risuscitato e portò il crucimorfo di padre Hoyt oltre al proprio: e che poi tornò, durante il caos della Caduta, per diventare il primo antipapa della storia moderna. Gli otto anni di eresia sotto Duré/Teilhard I sono stati per la Chiesa un momento oscuro; ma dopo la morte del falso papa, avvenuta per incidente, la risurrezione dal corpo condiviso con Duré ha portato padre Hoyt alla gloria di Giulio VI, alla scoperta della natura sacramentale di quel simbionte che Duré aveva definito un parassita, alla rivelazione divina (avuta da Giulio stesso e tuttora compresa solo dal sancta sanctorum della Chiesa) del modo per effettuare con successo la risurrezione, al susseguente sviluppo della Chiesa da setta secondaria a religione ufficiale dell’uomo.
Il Padre Capitano Federico de Soya guarda il Papa… magro, pallido… sollevare sopra l’altare l’Eucarestia e rabbrividisce di puro e semplice stupore.
Padre Baggio gli ha spiegato che l’opprimente senso di novità e di meraviglia, effetto secondario della Santa Risurrezione, diminuirà fino a un certo punto, nei giorni e nelle settimane a venire; ma ha detto che l’essenziale sensazione di benessere permarrà sempre e anzi diventerà più intensa a ogni risurrezione in Cristo. De Soya capisce perché la Chiesa ritenga il suicidio uno dei più gravi peccati mortali, punibile con la scomunica immediata, dal momento che il fuoco della vicinanza di Dio è molto più intenso, dopo che si sono assaggiate le ceneri della morte. Ci si potrebbe assuefare alla risurrezione come a una droga, se la pena per il suicidio non fosse così terribile.
Ancora sofferente per il dolore della morte e della rinascita, con la mente e i sensi letteralmente in bilico sull’orlo della vertigine, il Padre Capitano de Soya guarda la messa celebrata dal Papa avvicinarsi al punto culminante della Comunione, mentre la basilica di S. Pietro si riempie della stessa esplosione di suoni e di splendore con cui il servizio è iniziato; e sapendo che fra un momento assaggerà il corpo e il sangue di Cristo transustanziati dallo stesso Santo Padre, il guerriero piange come un bimbetto.
Dopo la messa, nel fresco della sera, sotto un cielo simile a chiara porcellana, il Padre Capitano de Soya cammina con i suoi nuovi amici nelle ombre dei Giardini Vaticani.
— Federico — dice padre Baggio — l’incontro che stiamo per avere è molto importante. Importantissimo. Si sente abbastanza lucido per capire ciò di cui si parlerà?
— Sì — dice de Soya. — Sono lucidissimo.
Monsignor Luca Oddi tocca la spalla del giovane ufficiale della Pax. — Federico, figlio mio, ne è sicuro? Possiamo aspettare un altro giorno, se occorre.
De Soya scuote la testa. Si sente ancora stordito per la bellezza e la solennità della messa a cui ha appena assistito, sulla lingua ha ancora il sapore dell’Eucarestia e del Vino, ha l’impressione che Cristo gli mormori in quello stesso momento, ma pensa con lucidità. — Sono pronto — dice. Il capitano Wu è un’ombra silenziosa alle spalle di Oddi.
— Molto bene. — Il monsignore rivolge un cenno a padre Baggio. — Non abbiamo più bisogno dei suoi servigi, Padre. Grazie.
Baggio annuisce, fa un lieve inchino e se ne va senza dire altro. De Soya capisce con perfetta chiarezza che non rivedrà l’amabile capitano che ha assistito alla sua risurrezione e in un impeto di puro amore ha gli occhi bagnati di nuove lacrime. Ringrazia l’oscurità che le nasconde; sa d’avere bisogno d’autocontrollo, per l’incontro. Si domanda dove si terrà l’importante abboccamento: nelle leggendarie Sale Borgia? Nella Cappella Sistina? Negli uffici vaticani della Santa Sede? Forse negli uffici di collegamento della Pax, in quella che un tempo era chiamata la Torre Borgia.
Monsignor Luca Oddi si ferma in fondo ai giardini e segnala agli altri d’accomodarsi su di una panchina di pietra dove un’altra persona è in attesa; padre de Soya si rende conto che l’uomo seduto sulla panchina è il cardinale Lourdusamy e che l’incontro avrà luogo lì, negli odorosi giardini. Piega il ginocchio sulla ghiaia, davanti al cardinale, e gli bacia l’anello.
— Si alzi — dice il cardinale Lourdusamy. È un uomo massiccio, con viso rotondo e mascelle forti; ha una voce tonante che per de Soya suona come quella di Dio. — E si accomodi.
De Soya si siede sulla panchina, mentre gli altri rimangono in piedi. Alla sinistra del cardinale, un altro uomo siede nell’ombra. Nella fioca luce de Soya distingue l’uniforme della Pax, ma non le mostrine. Si rende conto vagamente della presenza di varie persone, almeno una seduta, le altre in piedi, nella fitta ombra di un padiglione sulla sinistra.
— Padre de Soya — comincia il cardinale Simon Augustino Lourdusamy. Indica con un cenno l’uomo seduto alla sua sinistra. — Mi permetta di presentarle l’ammiraglio William Lee Marusyn.
De Soya si alza subito in piedi e saluta, rigido sull’attenti. — Le mie scuse, ammiraglio — riesce a dire, malgrado serri le mascelle. — Non l’avevo riconosciuta, signore.
— Riposo — dice Marusyn. — Si sieda, Capitano.
De Soya torna a sedersi, ma con prudenza, ora: la consapevolezza della compagnia in cui si trova brucia come sole ardente la gioiosa nebbia della risurrezione.
— Siamo molto soddisfatti di lei, Capitano — dice l’ammiraglio Marusyn.
— Grazie, signore — mormora de Soya, con un’altra occhiata alle ombre: ora è sicuro che nel padiglione ci sono degli spettatori.
— Tanto quanto noi — tuona il cardinale Lourdusamy. — Per questo abbiamo scelto lei per questa missione.
— Missione, Eccellenza? — dice de Soya. Si sente turbinare la mente, teso e confuso.
— Come sempre, servirà la Pax e la Chiesa insieme — dice l’ammiraglio, sporgendosi nella fioca luce. Il pianeta Pacem non ha luna, ma la luce delle stelle è vivida e gli occhi di de Soya si sono adattati. Da qualche parte una piccola campana chiama al Vespro i frati. La luce che proviene dagli edifici del Vaticano si riflette debolmente sulla cupola di S. Pietro.
— Come sempre — interviene il cardinale — farà rapporto alla Chiesa e alle autorità militari. — Esita e lancia un’occhiata all’ammiraglio.
— Qual è la missione, Eccellenza? Ammiraglio? — De Soya non sa bene a chi rivolgersi. Marusyn è il suo più alto superiore, ma in genere gli ufficiali della Pax si rimettono ad alti ufficiali della Chiesa.
Nessuno dei due risponde, però Marusyn rivolge un cenno al capitano Marget Wu, ferma ad alcuni metri di distanza, accanto a una siepe. L’ufficiale della Pax si fa avanti rapidamente e porge a de Soya un olocubo.
— Lo attivi — dice l’ammiraglio Marusyn.
De Soya tocca la parte inferiore del piccolo blocco di ceramica. Sopra il cubo si forma l’immagine di una bambina. De Soya fa ruotare l’immagine, nota i capelli scuri, gli occhi grandi, lo sguardo intenso. La testa e il collo, privi di corpo, sono le cose più luminose nell’oscurità dei Giardini Vaticani. Padre de Soya alza gli occhi e vede il bagliore dell’ologramma riflettersi negli occhi del cardinale e dell’ammiraglio.
— Il suo nome… be’, non siamo sicuri del suo nome… — dice il cardinale Lourdusamy. — Secondo lei, padre, quanti anni dimostra?
De Soya guarda l’immagine, calcola l’età, la converte in anni standard. — Dodici, forse? — prova a indovinare. Non ha avuto molto a che fare con i bambini, dal tempo in cui era anche lui bambino. — Undici? Standard.