— Di cosa parla? — domandai, senza alzare gli occhi dal romanzo di Delmore Deland che leggiucchiavo in quel momento. Tutt’e due mangiavamo delle mele, mentre leggevamo e parlavamo. A. Bettik era sceso di sotto.
— Gli ultimi giorni della Vecchia Terra — disse Aenea. — In realtà parla dell’infanzia troppo viziata di Martin, nella vasta tenuta di famiglia nella Riserva Nordamericana.
Posai il libro. — Secondo te, cos’è accaduto alla Vecchia Terra?
Aenea smise di mangiucchiare la mela. — Ai miei tempi tutti pensavano che il Grande Errore del buco nero del ’38 l’avesse divorata. Che fosse scomparsa. Kaput.
Annuii. — Molti lo credono ancora adesso, ma i Canti del vecchio poeta insistono a dire che il TecnoNucleo ha rubato la Vecchia Terra e l’ha trasferita da qualche parte…
— Nell’Ammasso Ercole o nella Nube di Magellano — disse Aenea e diede un altro morso alla mela. — Lo scoprì mia madre, quando indagava con mio padre sull’omicidio di cui lui era stato vittima.
Mi sporsi in avanti. — Ti va di parlare di tuo padre?
Aenea sorrise lievemente. — Perché non dovrei parlarne? Sono una sorta di mezzosangue, credo, figlia di una lusiana e di un clone cìbrido, ma la cosa non mi ha mai dato fastidio.
— Hai ben poco dei lusiani — dissi. I nativi di quel mondo ad alta gravità, Lusus, sono sempre di bassa statura e di costituzione massiccia; la bambina era piccola, ma d’altezza normale per un mondo a gravità standard; aveva capelli striati di biondo ed era snella. Solo i suoi occhi, castani e luminosi, mi ricordavano la Brawne Lamia descritta nei Canti.
Aenea rise, una risata piacevole. — Ho preso da mio padre — disse. — John Keats era basso, biondo e pelleossa.
Esitai un momento. — Hai detto d’avere parlato con tuo padre…
Aenea mi lanciò uno sguardo, con la coda dell’occhio. — Sì; e sai già che il Nucleo assassinò il suo corpo prima che io nascessi. Ma sapevi che mia madre portò per mesi la sua personalità in un disco d’iterazione Schrön impiantato dietro l’orecchio?
Annuii. Era nei Canti.
Aenea scrollò le spalle. — Ricordo d’avere parlato con lui.
— Ma non eri…
— …ancora nata — terminò Aenea. — Giusto. Quale conversazione può esserci fra la personalità di un poeta e un feto? Però abbiamo parlato. La sua personalità era ancora collegata al TecnoNucleo. Lui mi ha mostrato… be’, è una faccenda complessa, Raul. Credimi,
— Ti credo — dissi. Guardai in giro la biblioteca. — Sai cosa dicono i Canti? Che la personalità di tuo padre, dopo avere lasciato l’iterazione Schrön, stazionò per qualche tempo nell’IA di questa nave.
— Già — sorrise Aenea. — Ieri, prima d’andare a letto, ho chiacchierato con la nave per un’oretta. Papà era qui, è vero. La sua personalità è coesistita con la mente della nave, mentre il Console tornava nella Rete per controllare cos’era avvenuto dopo la Caduta. Ma non è qui, ora, e la nave non ricorda molto della sua permanenza qui e non ricorda niente della sua sorte… se lasciò la nave dopo la morte del Console o cosa… perciò non so se lui esiste ancora.
— Be’ — dissi, cercando di scegliere parole diplomatiche — il Nucleo non esiste più, quindi non vedo come possa esistere una personalità cìbrida.
— Chi lo dice, che il Nucleo non esiste?
Confesso d’essere rimasto turbato. — L’ultimo atto di Meina Gladstone e dell’Egemonia fu quello di distruggere i collegamenti teleporter, le sfere dati, l’astrotel e l’intera dimensione in cui esisteva il Nucleo — dissi alla fine. — Anche i Canti lo ammettono.
Aenea sorrideva ancora. — Oh, hanno fatto a pezzi i teleporter di base nello spazio e tutti gli altri hanno smesso di funzionare, d’accordo. E anche ai miei tempi le sfere dati erano svanite. Ma chi dice che il Nucleo è morto? Se hai spazzato via un paio di ragnatele, non per questo il ragno è di sicuro morto.
Confesso d’essermi guardato alle spalle per un attimo. — Quindi sei convinta che il TecnoNucleo esiste ancora? Che quelle IA tramano ancora contro di noi?
— Di trame non so niente, ma so che il Nucleo esiste.
— Come?
Aenea alzò un dito. — Per prima cosa, la personalità cìbrida di mio padre esisteva ancora dopo la Caduta, no? La base di quella personalità era una IA del Nucleo da loro fabbricata. Questo dimostra che il Nucleo si trovava ancora… da qualche parte.
Riflettei su queste parole. Come già ho accennato, i cìbridi, al pari degli androidi, per me erano essenzialmente una specie mitica. Sarebbe stata la stessa cosa se avessimo discusso delle caratteristiche fisiche dei leprecauni.
— In secondo luogo — proseguì Aenea, alzando due dita — mi sono messa in comunicazione con il Nucleo.
— Prima di nascere? — dissi, stupito.
— Sì — confermò Aenea. — E quando vivevo con mia madre a Jacktown. E dopo la morte di mamma. — Prese i libri e si alzò. — E stamattina.
La fissai, senza parole.
— Ho fame, Raul — disse lei, già sulla scala. — Vieni a vedere cosa riesce a mettere insieme per pranzo la cambusa di questa vecchia nave?
In breve tempo adottammo un programma quotidiano basato più o meno sui giorni e sulle notti di Hyperion. Cominciai a capire perché al tempo della Rete fosse stata così importante l’usanza della vecchia Egemonia di mantenere il sistema di ventiquattro ore della Vecchia Terra: da qualche parte avevo letto che quasi il novanta per cento dei mondi della Rete, di tipo terrestre o terraformati, aveva avuto giorni che rientravano con un’approssimazione di tre ore nel giorno standard della Vecchia Terra.
A Aenea piaceva ancora far uscire all’esterno la loggia e suonare il piano sotto il cielo dello spazio-Hawking; a volte uscivo anch’io e ascoltavo per qualche minuto, ma preferivo il senso di protezione che mi offriva l’interno della nave. Nessuno di noi si lamentava degli effetti dell’ambiente C-più, anche se li sentivamo: l’occasionale sbalzo d’emotività e d’equilibrio, il costante senso d’essere osservati da qualcuno e i sogni molto bizzarri. I miei sogni mi facevano svegliare col batticuore, con la bocca secca e con le lenzuola fradice di sudore, come farebbero solo i peggiori incubi. Ma non li ricordavo mai. Avrei voluto chiedere agli altri, ma A. Bettik non parlava mai dei suoi sogni (in realtà non sapevo nemmeno se gli androidi sognassero) e Aenea, pur ammettendo di fare sogni bizzarri e di ricordarli, non li descrisse mai.
Il secondo giorno, mentre eravamo in biblioteca, Aenea suggerì di "sperimentare" il viaggio spaziale. Le domandai come avremmo potuto sperimentarlo più di quanto già non facessimo (pensavo ai frattali Hawking), ma lei si limitò a ridere e chiese alla nave di annullare il campo di contenimento interno. All’istante ci ritrovammo privi di peso.
Da bambino, sognavo di trovarmi a g-zero. Nuotando nel salatissimo mare Meridionale, da soldato, chiudevo gli occhi, mi tenevo a galla senza sforzo e mi domandavo se ai vecchi tempi i viaggi spaziali dessero una sensazione analoga.
Vi garantisco che è del tutto diversa.
L’assenza totale della forza di gravità, soprattutto se si verifica all’improvviso, come accadde a noi per la richiesta di Aenea, è terrificante. In parole semplici, ci si sente cadere.
Questa, almeno, è la prima impressione.
M’aggrappai alla sedia, ma anche la sedia cadeva. Era l’identica sensazione che avremmo provato se ci fossimo trovati in una delle grandi cabine di teleferica della Briglia e il cavo si fosse spezzato. Il mio orecchio medio protestò, cercando una linea d’orizzonte che fosse giusta. Non ce n’erano.