— Troppo liscio — dice Gregorius. — Non credo che le neuroverghe possano uccidere la creatura Shrike. E ho fatto una cazzata, con il tipo nel ponte di navigazione… Aveva solo un libro.
De Soya annuisce. — Però hai fatto la cosa giusta. Meglio eliminarlo, che correre rischi.
— Due uomini disarmati? — dice il caporale Kee. — Ho i miei dubbi. Mi sembra poco realistico, come la decina di uomini armati della terza prova. Dovremmo rivedere altri incontri Ouster… Mortalità a livello marines, come minimo.
— Non so — borbotta Rettig. Gli altri lo guardano e aspettano.
— Continuiamo a catturare la bambina senza che le venga alcun danno — dice infine Rettig.
— Nella quinta simulazione… — comincia Kee.
— Sì, sì — lo interrompe Rettig. — L’abbiamo uccisa accidentalmente, lo so. Ma in quella simulazione l’intera nave era minata ed è esplosa. Non credo che questo si verificherà… Chi ha mai sentito dire che una nave da cento milioni di marchi abbia un pulsante d’autodistruzione? Sarebbe da stupidi.
I tre si scambiano un’occhiata e si stringono nelle spalle.
— L’idea è davvero stupida — dice il Padre Capitano de Soya — ma ho programmato il simulatore tattico perché includa i più ampi parametri…
— Sì — lo interrompe il lanciere Rettig, il cui viso affilato è minaccioso come lama di coltello. — Intendo solo dire che, se si giunge a uno scontro a fuoco, le possibilità di colpire la bambina sono molto più alte di quanto il nostro stim-sim non suggerisca. Tutto qui.
È il discorso più lungo che abbiano sentito fare a Rettig in quelle settimane di prove nella piccola nave corriere.
— Hai ragione — dice de Soya. — Per la prossima simulazione, alzerò il valore del livello di rischio per la bambina.
Gregorius scuote la testa. — Capitano, suggerisco di lasciar perdere le simulazioni e di tornare alle prove fisiche. Voglio dire… — Guarda il cronometro da polso. Il ricordo dell’ingombrante tuta da combattimento gli rallenta il gesto. — Voglio dire — continua — che ci rimangono solo otto ore, prima che la faccenda diventi reale.
— Sì, sono d’accordo — dice il caporale Kee. — Preferisco essere all’esterno e muovermi come nella situazione reale, anche se in questo modo non possiamo simulare l’altra nave.
Rettig borbotta un assenso.
— D’accordo — dice de Soya. — Ma prima si mangia… doppia razione. Sono state solo simulazioni tattiche, ma nell’ultima settimana voi tre avete perduto quasi dieci chili a testa.
Il sergente Gregorius si sporge sul tavolo. — Potremmo vedere il tracciato della rotta, signore?
De Soya aziona il monitor. La traiettoria ellissoide, allungata, della Raffaele e il punto di traslazione della nave fuggiasca sono prossimi a intersecarsi. Il punto d’intersezione palpita di luce rossa.
— Ancora una prova in spazio reale — dice de Soya. — Poi voglio che facciamo tutti almeno due ore di sonno, che rivediamo l’equipaggiamento e che ce la prendiamo comoda. — Guarda il proprio cronometro, anche se il monitor segnala l’ora della nave e dell’intercettamento. — Escludendo incidenti o circostanze imprevedibili — dice — dovremmo avere in custodia la bambina fra sette ore e quaranta minuti… e saremo pronti a fare la traslazione per Pacem.
— Signore? — dice il sergente Gregorius.
— Sì, sergente?
— Non per mancarle di rispetto, signore — dice Gregorius — ma non c’è nessun modo, nel fottuto universo del Buon Dio, di escludere incidenti o circostanze imprevedibili.
23
— Allora — dissi — qual è il tuo piano?
Aenea alzò gli occhi dal libro. — Chi ti dice che ho un piano?
Mi accomodai a cavalcioni sulla sedia. — Fra meno di un’ora saltiamo fuori nel sistema di Parvati. Una settimana fa hai detto che ci occorreva un piano, nel caso sappiano che stiamo per arrivare… perciò, qual è il piano?
Con un sospiro Aenea chiuse il libro. A. Bettik era salito nella biblioteca e ora si unì a noi intorno al tavolo… addirittura si sedette con noi, cosa per lui molto insolita.
— Non sono sicura d’avere un piano — disse la bambina.
Era quel che temevo. La settimana era trascorsa in maniera abbastanza piacevole; tutt’e tre avevamo letto molto, chiacchierato molto, giocato molto (Aenea giocava benissimo a scacchi, benino a Go, da far paura a poker) e i giorni si erano susseguiti senza incidenti. Molte volte avevo cercato di farle rivelare i suoi piani… dove intendeva andare? perché scegliere Vettore Rinascimento? trovare gli Ouster faceva parte della sua ricerca?… ma le sue risposte, pur cortesi, erano sempre vaghe. Aenea aveva invece una grande abilità nel far parlare me. Non avevo conosciuto molti bambini (anche quand’ero piccolo, c’erano pochi altri bambini nel nostro gruppo di carrozzoni e di rado cercavo la loro compagnia perché trovavo di gran lunga più interessante quella di Nonna), ma i bambini e i ragazzi da me incontrati nel corso degli anni non avevano mai mostrato né la sua notevole curiosità né la sua capacità di ascoltare. Aenea riuscì a farmi descrivere i miei anni da pastore; mostrò un particolare interesse per il mio apprendistato come architetto di panorami; mi rivolse mille domande sul periodo da me trascorso a bordo delle chiatte fluviali e a fare da guida ai cacciatori… a dire il vero, non mostrò interesse solo per il periodo in cui militavo nella Guardia Nazionale. Mi era parsa soprattutto interessata al mio cane, anche se il solo parlare di Izzy, di come l’avevo allevata e addestrata per diventare cane da penna, poi di come era morta, mi turbava non poco.
Notai che Aenea riusciva persino a indurre A. Bettik a parlare dei suoi secoli di servizio e qui spesso mi unii a lei nel paziente ascolto: l’androide aveva visto e sperimentato cose sorprendenti: altri mondi, la colonizzazione di Hyperion sotto re Billy il Triste, le prime scorrerie dello Shrike nel continente Equus, il pellegrinaggio finale reso famoso dal vecchio poeta. Perfino i decenni al servizio di Martin Sileno risultarono affascinanti.
Ma Aenea parlava molto poco di sé. La quarta sera dopo la partenza da Hyperion ammise d’essere uscita dalla Sfinge nel proprio futuro non solo per sfuggire ai soldati della Pax che le davano allora la caccia, ma per cercare il suo stesso destino.
— In qualità di messia? — domandai, incuriosito.
Aenea si mise a ridere. — No — disse — in qualità d’architetto.
Rimasi sorpreso. Né i Canti, né il vecchio poeta in persona avevano accennato al fatto che la cosiddetta Colei Che Insegna si guadagnasse da vivere come architetto.
Aenea scrollò le spalle. — È ciò che voglio fare. Nei miei sogni, colui che potrebbe insegnarmi vive in questa epoca. Perciò qui sono venuta.
— Colui che potrebbe insegnarti? — dissi. — Pensavo che fossi tu, colei che insegna.
Aenea si lasciò cadere sui cuscini della piazzola olografica e con la gamba agganciò la spalliera del divano. — Raul, come potrei insegnare qualcosa a chicchessia? Ho dodici anni standard e non ho mai lasciato Hyperion prima d’ora… Diavolo, non avevo mai lasciato Equus, fino alla scorsa settimana. Cos’ho da insegnare?
A questa domanda non avevo risposta.
— Voglio diventare architetto — continuò Aenea. — E nel mio sogno, l’architetto che può addestrarmi è là fuori da qualche parte… — Mosse le dita in direzione dello scafo esterno, ma capii che si riferiva alla vecchia Rete dell’Egemonia.
— Chi è? — dissi. — Un uomo? Una donna?
— Un uomo — rispose Aenea. — Non so come si chiama.
— In quale mondo si trova?
— Non lo so.
— Sei sicura che questo sia il secolo giusto? — domandai, cercando di non sembrare irritato.
— Sì. Forse. Credo di sì. — Ben di rado, in quella settimana trascorsa insieme, si era mostrata irascibile, ma ora il suo tono parve pericolosamente vicino all’irascibilità.
— E tu hai solo sognato quel tale?
Si alzò a sedere sui cuscini. — Non solo sognato — disse allora. — I miei sogni sono importanti per me. In un certo senso, sono qualcosa di più che non semplici sogni… — S’interruppe. — Vedrai.