Capii che non scherzava. Avevamo parlato della faccenda… quando le comunità fuggono di corsa, o quando sono colpite da un disastro, spesso abbandonano gli animali domestici. I branchi di cani inselvatichiti erano stati un guaio, durante la rivolta nell’Artiglio Meridionale, su Aquila. La Guardia Nazionale aveva dovuto sparare a vista agli ex animali domestici.
— Significa che hanno avuto il tempo di portarli con sé — commentai.
Aenea si girò verso di me e incrociò le braccia. — Lasciando invece qui i vestiti? E i computer, i comlog, i diari privati, le olografie di famiglia… tutte le cianfrusaglie personali?
— E in quella roba non c’è traccia dell’accaduto? Nessuna ultima annotazione sui diari? Nessuna registrazione di telecamera a circuito chiuso? Nessun frenetico messaggio dell’ultimo minuto nei comlog?
— No. Sulle prime ero riluttante a curiosare nei comlog personali. Ma ormai li ho ascoltati decine di volte. Nell’ultima settimana c’erano le solite notizie di combattimenti nelle vicinanze. La Grande Muraglia distava meno di un anno luce e le navi della Pax riempivano il sistema. Non scendevano spesso sul pianeta, ma era evidente che alla fine Hebron avrebbe dovuto entrare nel Protettorato della Pax. Poi ci sono state le ultime trasmissioni per comunicare che gli Ouster erano penetrati nelle linee… poi più niente. Noi pensiamo che la Pax abbia fatto evacuare tutta la popolazione e che poi siano sopraggiunti gli Ouster, ma nei notiziari non ci sono accenni all’evacuazione; neppure nei computer, né da qualsiasi parte. Pare che tutti siano semplicemente svaniti. — Si strofinò le braccia. — Ho alcuni dischi dei notiziari, se vuoi vederli.
— Dopo, forse. — Ero molto stanco.
— A. Bettik tornerà domattina — disse Aenea, tirandomi la coperta fin sotto il mento. Il sole era tramontato, ma le alture ardevano, alla lettera, di luce immagazzinata. Era l’effetto-crepuscolo delle pietre di quel mondo, un effetto che non mi sarei mai stancato di guardare. Ma al momento non riuscivo a tenere gli occhi aperti.
— Hai la doppietta? — borbottai. — La carabina al plasma? Bettik non c’è… qui da sola…
— Sono sulla zattera — disse Aenea. — Ora dormi.
Il primo giorno in cui ero pienamente cosciente cercai di ringraziare Aenea e A. Bettik per avermi salvato. Loro si schermirono.
— Come m’avete trovato? — domandai.
— Non è stato difficile — rispose Aenea. — Hai lasciato aperto il microfono, che ha continuato a funzionare finché il tenente della Pax non ti ha colpito, guastando la ricetrasmittente. Abbiamo ascoltato tutto. E col binocolo riuscivamo a vederti.
— Non dovevate lasciare la zattera tutt’e due. Troppo pericoloso.
— Non eccessivamente, signor Endymion — disse A. Bettik. — Oltre a preparare l’ancora galleggiante che ha rallentato notevolmente la corsa della zattera, la signorina Aenea ha pensato di gettare in acqua un piccolo tronco legato con una fune, rimorchiato a un centinaio di metri. Eravamo sicuri che, se non avessimo raggiunto la zattera, avremmo potuto arrivare facilmente con lei alla fune, prima che fosse fuori portata. E gli eventi ci hanno dato ragione.
Scossi la testa. — In ogni caso è stata una sciocchezza.
— Non c’è di che — disse Aenea.
Il decimo giorno provai a stare in piedi. Fu una breve vittoria, ma sempre vittoria. Il dodicesimo giorno riuscii a percorrere il corridoio fino al gabinetto in fondo. Quella fu una vittoria importante. Il tredicesimo giorno la rete elettrica smise di funzionare in tutta la città.
Nell’ospedale subentrarono i generatori d’emergenza posti nel seminterrato, ma capimmo di non avere più molto tempo.
— Mi piacerebbe portare con noi il robochirurgo — dissi quell’ultima sera, mentre ce ne stavamo seduti sulla terrazza dell’ottavo piano a guardare i viali coperti d’ombra.
— Sulla zattera ci starebbe — riconobbe A. Bettik. — Ma la prolunga sarebbe un problema.
— Senza scherzi — dissi, cercando di non sembrare l’infermo paranoide e demoralizzato che mi sentivo in quel momento — dobbiamo controllare le farmacie locali e rifornirci della roba che ci occorre.
— Già fatto — disse Aenea. — Tre nuovi medipac migliorati. Un’intera borsa di cartucce di plasma sanguigno. Un’apparecchiatura diagnostica portatile. Ultramorfina… ma non chiederla, oggi non ne avrai.
Protesi la sinistra. — Vedi? Oggi pomeriggio ha smesso di tremare. Non chiederò tanto presto altra morfina.
Aenea annuì. In alto, nuvole vaporose rosseggiavano per l’ultima luce della sera.
— Quanto resisteranno secondo te i generatori d’emergenza? — domandai all’androide. L’ospedale era uno dei pochi edifici ancora illuminati.
— Alcune settimane, forse — rispose A. Bettik. — La griglia energetica ha continuato ad autoripararsi e a funzionare per mesi, ma questo è un pianeta aspro… avrà notato anche lei le tempeste di sabbia che giungono dal deserto ogni mattina… e per quanto la tecnologia sia abbastanza avanzata per un mondo che non appartiene alla Pax, sono necessari tecnici umani per la manutenzione.
— L’entropia è una puttana — sospirai.
— Su, su — disse Aenea, appoggiata alla parete della terrazza. — L’entropia può esserci amica.
— Quando?
Aenea si girò in modo da stare appoggiata sul gomito. Dietro di lei, l’edificio era un rettangolo scuro che metteva in rilievo lo splendore della sua pelle abbronzata. — Logora gli imperi — disse Aenea. — E manda in rovina i dispotismi.
— Facile a dirsi — replicai. — Di quali dispotismi parliamo?
Aenea fece quel tipico gesto di noncuranza e per un momento pensai che non avrebbe aggiunto altro; poi invece disse: — Gli Unni, gli Sciti, i Visigoti, gli Ostrogoti, gli Egizi, i Macedoni, i Romani, gli Assiri.
— Sì, ma…
— Gli Avar e i Wei del Nord — continuò Aenea — e i Juan-Juan, i Mamelucchi, i Persiani, gli Arabi, gli Abbasidi, i Seljuk.
— Certo, ma non vedo…
— I Curdi e i Ghaznavidi — continuò, ora sorridendo. — Per non parlare di Mongoli, Sui, Tang, Buminidi, Crociati, Cosacchi, Prussiani, Nazisti, Sovietici, Giapponesi, Giavanesi, Ammeri del Nord, Cinesi Uniti, Colombo-peruviani e Nazionalisti Antartici.
Alzai la mano. Aenea smise. Guardando A. Bettik, dissi: — Non conosco nemmeno quei pianeti. E tu?
— Ritengo che si riferiscano tutti alla Vecchia Terra, signor Endymion — rispose l’androide con espressione neutra.
— Niente stronzate.
— Niente stronzate mi pare corretto, in questo contesto — replicò A. Bettik, in tono piatto.
Tornai a guardare Aenea. — Allora è questo, il nostro piano per rovesciare la Pax e far contento il vecchio poeta? Nasconderei da qualche parte e aspettare che l’entropia pretenda il suo scotto?
Aenea incrociò di nuovo le braccia. — No no — disse. — In condizioni normali sarebbe stato un buon piano… starsene accucciati per qualche millennio e lasciare che il tempo segua il suo corso… ma quei maledetti crucimorfi complicano l’equazione.
— E allora? — dissi, in tono serio.
— Anche se volessimo rovesciare la Pax… cosa che, tra parentesi, non voglio: è compito tuo… anche se volessimo rovesciare la Pax, l’entropia ormai non è più dalla nostra parte, con quel parassita che può rendere la gente quasi immortale.
— Quasi immortale — mormorai. — Mentre ero moribondo, ho pensato al crucimorfo, lo confesso. Sarebbe stato molto più facile… e molto meno doloroso delle operazioni chirurgiche e della convalescenza… morire e lasciare che quell’affare mi risuscitasse.
Aenea ora mi fissava. Alla fine disse: — Proprio per questo Hebron aveva il miglior servizio sanitario nell’ambito della Pax e fuori.
— Ossia? — Avevo ancora la mente annebbiata dai medicinali e dalla stanchezza.
— I suoi abitanti erano… sono… ebrei. Pochissimi hanno accettato la croce. Avevano a disposizione una vita sola.
Restammo in silenzio per un poco, quella sera, mentre le ombre riempivano i canyon di Nuova Gerusalemme e l’ospedale ronzava di vita elettrica, finché era possibile.