Brom inclinò la testa da un lato. «Non so... Mi hai chiarito molti aspetti di questa storia. Sono sicuro che nessuno, oltre a noi, ha visto Saphira. I Ra’zac dovevano avere una fonte di informazioni al di fuori di questa valle, una persona che probabilmente adesso è già morta... Hai passato momenti difficili e te la sei cavata egregiamente. Sono impressionato. »
Eragon fissò nel vuoto, poi chiese: «Che cosa ti è successo alla testa? Sembra che ti abbia colpito un sasso.»
«No, ma ci sei andato vicino.» Trasse una lunga boccata di fumo dalla pipa. «Mi aggiravo intorno all’accampamento dei Ra’zac quando è calata la sera, cercando di scoprire quello che potevo, ma mi hanno sorpreso nell’ombra. Era una buona occasione, ma mi hanno sottovalutato e sono riuscito a sfuggire al loro agguato. Tuttavia» aggiunse amareggiato. «ho dovuto pagare questo tributo alla mia stupidità. Stordito, sono caduto a terra e non ho ripreso i sensi se non il giorno dopo. A quel punto loro erano già arrivati alla tua fattoria. Era troppo tardi per fermarli, ma li ho cercati comunque. È stato quando ci siamo incontrati per la strada.»
Ma chi crede di essere, per poter affrontare i Ra’zac da solo? Gli hanno teso un agguato nel buio, e lui è rimasto solo stordito? Turbato, Eragon chiese con foga: «Quando hai visto il mio marchio, il gedwey ignasia, perché non mi hai detto chi erano i Ra’zac? Avrei avvertito Garrow invece di andare prima da Saphira, e tutti e tre saremmo potuti fuggire.»
Brom sospirò. «Non sapevo che cosa fare. Pensavo di poter tenere i Ra’zac lontani da te. Una volta che fossero partiti, ti avrei chiesto di Saphira. Ma loro mi hanno battuto in astuzia, È un errore di cui mi pento amaramente, un errore che ti è costato caro.»
«Chi sei?» esclamò Eragon indignato. «Come mai un semplice cantastorie di campagna possiede la spada di un Cavaliere? Come mai sai tante cose sui Ra’zac?»
Brom tamburellò le dita sulla pipa. «Mi sembrava di aver già detto che di questo non voglio parlare.»
«Mio zio è morto per questo. Morto!» gridò Eragon, tagliando l’aria con la mano. «Finora mi sono fidato di te perché Saphira ti rispetta. Ma adesso basta! Tu non sei la persona che ho conosciuto in tutti questi anni a Carvahall, Dimmi chi sei.»
Per un lunghissimo istante Brorri guardò il fumo dilatarsi fra loro, la fronte solcata da rughe sempre più profonde. Quando si mosse, fu solo per trarre un’altra boccata. Infine disse: «Probabilmente non ci hai mai pensato, ma ho trascorso gran parte della mia vita lontano dalla Valle Palancar, È stato solo a Carvahall che ho assunto il ruolo di cantastorie. Ho recitato diverse parti per diverse persone... il mio passato è complicato. È anche per il desiderio di sfuggirgli che sono venuto qui. E comunque hai ragione, non sono l’uomo che pensavi che fossi.»
«Ah!» sbuffò Eragon. «E allora chi sei?»
Brom sorrise con dolcezza. «Sono colui che è qui per aiutarti. Non disprezzare queste parole, perché sono le più sincere che abbia mai pronunciato. Ma non risponderò alla tua domanda. In questo momento non ti serve conoscere la mia storia, né ti sei guadagnato questo diritto. Sì, possiedo conoscenze che Brom il cantastorie non potrebbe mai avere, ma io sono più di lui. Dovrai imparare a convivere con questo, e con il fatto che non elargisco descrizioni della mia vita a chiunque me le chieda!»
Eragon lo guardò, corrucciato. «Vado a dormire» disse, e si allontanò dal fuoco.
Brom non parve sorpreso, ma nei suoi occhi comparve un’ombra di dolore. Distese la sua coperta accanto al fuoco, mentre Eragon si coricava al fianco di Saphira. Un silenzio glaciale calò sull’accampamento.
15
L’arte del sellaio
Quando Eragon aprì gli occhi, il ricordo di Garrow lo investì con tutto il suo dolore straziante. Si trasse le coperte sulla testa e pianse in silenzio nel buio tepore. Quanto avrebbe voluto restare così, nascondersi per sempre dal resto del mondo. Le lacrime cessarono di sgorgare. Maledisse Brom. Si asciugò le guance e si alzò a malincuore.
Brom stava preparando la colazione. «Buongiorno» disse. Eragon grugnì un saluto. S’infilò le mani ghiacciate sotto le ascelle e si accovacciò davanti al fuoco, in attesa che il cibo fosse pronto. Mangiarono in fretta, prima che si raffreddasse. Quando ebbero finito, Eragon lavò la sua ciotola con la neve, poi distese le pelli rubate sul terreno.
«Che cosa vuoi fare con quelle?» domandò Brom. «Non possiamo portarle con noi.»
«Voglio fare una sella per Saphira.»
«Mmm» disse Brom, avvicinandosi. «Sai, i draghi usavano due tipi di selle. Le prime erano dure, sagomate come una sella per cavalli. Ma per farle ci vogliono tempo e attrezzi adatti. Le altre erano più sottili, nient’altro che uno strato imbottito fra il Cavaliere e il suo drago. Si usavano quando era necessario essere rapidi e mobili, anche se non erano comode come quelle sagomate.»
«Sai com’erano fatte?» disse Eragon.
«Meglio: posso fartene una.»
«Allora prego» disse Eragon, facendosi da parte.
«D’accordo, ma sta’ attento. Un giorno potresti aver bisogno di fartela da solo.» Con il permesso di Saphira. Brom le prese le misure del collo e del torace. Poi ricavò cinque strisce da una delle pelli, e sulle altre disegnò e ritagliò una decina di sagome. Infine tagliò il resto in lunghe fettucce sottili. Usò le fettucce per cucire insieme i pezzi, ma per ogni punto servivano due buchi, ed Eragon lo aiutò a praticarli. Al posto delle borchie, usarono nodi complicati; ogni nastro di pelle era lungo più del necessario, affinchè la sella si adattasse alla dragonessa anche nei mesi a venire. La parte principale della sella era composta da tre parti identiche, cucite insieme e imbottite. Davanti era fissato un robusto cappio da infilare su una delle punte del collo di Saphira, mentre ampie strisce cucite su entrambi i lati avevano passare sotto il suo ventre per poi essere annodate. Al posto delle staffe c’era una serie di nodi scorsoi su entrambe le fasce. Una volta stretti, avrebbero fornito appoggio ai piedi di Eragon. Un’altra lunga fascia doveva issare davanti alle zampe anteriori di Saphira, divisa in due, per poi risalire e unirsi alla sella.
Mentre Brom lavorava, Eragon riparò il suo zaino e sistemò le provviste. La giornata volgeva al termine quando ebbero finito. Esausto. Brom posò la sella su Saphira e controllò tutte le cinghie. Fece qualche modifica, poi la tolse, soddisfatto.
«Hai fatto un ottimo lavoro» dovette ammettere Eragon.
Brom chinò il capo. «Ho cercato di fare del mio meglio, dovrebbe andarti bene; la pelle è abbastanza robusta.»
Non vuoi provarla? chiese Saphira.
Magari domani, disse Eragon, e ripose la sella con le coperte. Adesso è troppo tardi. In verità, non aveva molta voglia di volare di nuovo, non dopo il disastroso risultato della prima volta. Prepararonouna cena veloce, semplice ma gustosa. Mentre mangiavabo. Brom guardò Eragon oltre il fuocoe chiese: «Partiremo Domani?»
«Non c’è ragione per restare.»
«Suppongo di no.» Si dondolò , un po’ teso. «Eragon, mi rincresce davvero per come sono andate le cose. Non avrei mai voluto che accadesse. La tua famiglia non meritava una simile tragedia. Se potessi fare qualcosa per tornare indietro, lo farei. E’ una situazione drammatica per tutti noi.» eragon rimase in silenzi, evitando lo sguardo di Brom. Il vecchio disse: «Avremo bisogno di cavalli.»
«Tu, forse, ma io ho Saphira.»
Brom, scosse il capo. «Non esiste cavallo al mondo che possa tenere dietro a un drago volante, e Saphira è troppo giovane per portarci entrambi. E poi sarà più sicuro se viaggiamo insieme, e a cavallo faremo prima che a piedi.»