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Lasciarono il sentiero e smontarono sulla riva dell’Anora. Mentre toglievano le selle ai cavalli. Brom indicò il baio. «Dovresti dargli un nome.»

Eragon ci pensò mentre legava il cavallo a un picchetto. «Be’, non ho niente di nobile come Fiammabianca, ma forse questo può andare.» Posò una mano sul fianco del baio e disse: «Ti chiamerai Cadoc. Era il nome di mio nonno, perciò rendigli onore.» Brom annuì in segno di approvazione, ma Eragon si sentì un po’ sciocco.

Quando Saphira atterrò, lui le chiese: Che aspetto hanno le pianure?

Monotono. Non ci sono altro che conigli ed erbacce da tutte le parti.

Dopo la cena. Brom si alzò e gridò: «Prendi!» Eragon fece appena in tempo ad alzare il braccio per afferrare il bastone. prima che lo colpisse in testa. Si lasciò sfuggire un gemito alla prospettiva di un altro duello.

«Non di nuovo» protestò, ma Brom si limitò a sorridere : a fargli un cenno con la mano. Eragon si alzò, riluttante. Presero a piroettare l’uno intorno all’altro fra urti violenti li legno contro legno, finché Eragon non si vide costretto ad arretrare, con un braccio formicolante e intorpidito per colpi dati e ricevuti.

La lezione durò meno della prima, ma abbastanza a lungo perché Eragon accumulasse una nuova collezione di lividi. Quando ebbero finito il duello, scagliò via il bastone con disgusto e si allontanò dal fuoco per leccarsi le ferite.

17

Tuoni, fulmini e saette

Il mattino dopo, Eragon evitò di ripensare agli ultimi avvenimenti; i ricordi erano ancora troppo dolorosi. Cercò piuttosto di concentrarsi su come scovare e uccidere i Ra’zac. Lo farò col mio

arco, decise, immaginando di trafiggere con le frecce le figure avvolte nei mantelli.

Si alzò a fatica; ogni movimento gli procurava fitte acute, e aveva un dito gonfio, bollente. Quando furono pronti a ripartire, montò in sella a Cadoc e disse in tono acido; «Di questo passo, mi ridurrai in poltiglia.»

«Non ci andrei così pesante se non fossi convinto che sei abbastanza forte da resistere» disse Brom.

«Una volta tanto, non mi dispiacerebbe se mi sottovalutassi» borbottò il ragazzo.

Cadoc scalpitò irrequieto quando Saphira si avvicinò. La dragonessa scrutò il cavallo con un’espressione di vago orrore e disse: Non c’è posto dove nascondermi nelle pianure, perciò è inutile che voli tanto in alto. D’ora in poi resterò sopra dì voi.

Si alzò in volo, mentre i due viaggiatori iniziavano la discesa. A tratti il sentiero scompariva, costringendoli a trovare da soli la via. A volte dovevano smontare di sella e condurre i cavalli a mano, reggendosi agli alberi per non scivolare. Il terreno disseminato di ciottoli era scivoloso e infido. La fatica li lasciò accaldati e irritati, malgrado il freddo.

Intorno a mezzogiorno raggiunsero il fondo della valle e si fermarono a riposare. L’Anora curvava alla loro sinistra e proseguiva verso nord. Un vento pungente spazzava l’arida pianura, sollevando mulinelli di terra polverosa che finiva loro negli occhi.

Eragon provò un senso di inquietudine davanti alla piattezza del paesaggio, privo di dune o alture. Aveva trascorso tutta la vita circondato da colline e montagne, e senza di esse si sentiva esposto, vulnerabile come un topolino sotto lo sguardo famelico di un’aquila.

A valle, il sentiero si divideva in tre. Il primo ramo procedeva verso nord, in direzione di Ceunon, una delle maggiori città del nord; il secondo tagliava le pianure; il terzo portava a sud. Esaminarono tutte e tre le diramazioni in cerca di tracce dei Ra’zac, e alla fine trovarono le loro impronte che puntavano verso le praterie.

«Pare che siano andati verso Yazuac» disse Brom con aria perplessa.

«Dove si trova?»

«A est, a quattro giorni di viaggio se tutto va bene. È un piccolo villaggio sul fiume Ninor.» Indicò l’Anora che si allontanava verso nord. «Questa è la nostra ultima possibilità di rifornirci d’acqua. Dobbiamo riempire gli otri prima di tentare di attraversare la pianura. Non ci sono altre sorgenti o corsi d’acqua fra qui e Yazuac.»

Eragon sentì montare in sé l’eccitazione della caccia. Tempo qualche giorno, forse anche meno di una settimana,. e avrebbe usato le sue frecce per vendicare la morte di Garrow. E poi... Non riusciva a pensare a che cosa sarebbe potuto accadere dopo.

Riempirono gli otri, fecero abbeverare i cavalli, e bevvero anche loro il più possibile. Anche Saphira si dissetò al fiume. Rinvigoriti, puntarono a est per intraprendere la traversata delle pianure. Eragon decise che sarebbe stato il vento a farlo impazzire per primo; era il colpevole di tutto ciò che lo tormentava: le labbra screpolate, la lingua secca, gli occhi lacrimosi. Le raffiche incessanti li seguirono per tutto il giorno, e la sera il vento aumentò invece di placarsi.

In mancanza di un qualunque tipo di riparo, furono costretti ad accamparsi all’aperto. Eragon trovò un cespuglio secco, una pianta bassa e resistente che prosperava in condizioni estreme, e lo sradicò. Con i rami fece una piccola catasta e cercò di accenderla, ma i rametti produssero soltanto un fumo acre. Deluso, scagliò la scatola con l’acciarino a Brom. «Non ci riesco, con questo dannato vento. Vedi se ci riesci tu; altrimenti avremo una cena fredda.»

Brom s’inginocchiò davanti al mucchietto di sterpi e lo guardò con aria polemica. Dispose qualche rametto in modo diverso e poi soffregò l’acciarino, provocando una cascata di scintille. Ancora fumo e nient’altro. Brom si accigliò e provò di nuovo, ma non ebbe miglior fortuna di Eragon.

«Brisingr!» imprecò furente, soffregando di nuovo l’esca. All’improvviso comparvero delle fiamme, e il vecchio si ritrasse con un’espressione soddisfatta. «Ci siamo. Probabilmente covava all’interno.»

Si esercitarono con le spade finte mentre il cibo cuoceva, ma erano così stanchi che smisero presto. Dopo aver mangiato, si distesero accanto a Saphira e si addormentarono confortati dal suo tepore. Lo stesso vento gelido li salutò il mattino dopo, spazzando la spaventosa desolazione. Le labbra di Eragon si erano spaccate durante la notte; ogni volta che sorrideva o parlava, si coprivano di minute goccioline di sangue. Leccarle non faceva che peggiorare le cose. Lo stesso era per Brom. Lasciarono che i cavalli bevessero dalle loro scorte d’acqua prima di montarli. La giornata trascorse monotona, in un’estenuante, ininterrotta cavalcata.

Il terzo giorno Eragon si svegliò riposato. Quello, e il fatto che il vento era calato, lo mise di buonumore. Ma la sua allegria si spense quando vide che il cielo davanti a loro era nero di nubi pesanti.

Brom guardò le nuvole e fece una smorfia. «Di norma non mi andrei a ficcare in una tempesta come quella, ma dato che ci colpirà qualunque cosa facciamo, credo che sia meglio fare ancora un po’ di strada.»

L’aria era ancora quieta quando raggiunsero il fronte temporalesco. Mentre entravano nella sua ombra, Eragon alzò lo sguardo. L’enorme nuvola aveva una forma strana: assomigliava a una cattedrale con il vasto soffitto a volta. Con uno sforzo d’immaginazione, vide anche i pilastri, le vetrate, i banchi e i gargoyle ghignanti, Era di una bellezza selvaggia.

Mentre Eragon abbassava lo sguardo, un’onda gigantesca spazzò l’erba davanti a loro e la appiattì. Gli ci volle un secondo per realizzare che l’onda era una formidabile raffica di vento. Anche Brom la vide, e incurvarono le spalle, preparandosi alla tempesta.

Il fortunale era quasi su di loro quando Eragon ebbe un pensiero terribile e si voltò sulla sella, gridando sia con la voce che con la mente; «Saphira! Atterra!» Brom si fece pallido. La videro scendere in picchiata verso il terreno. Non ce la farà mai!

Saphira volò dalla parte da cui erano venuti, per guadagnare tempo. Mentre la guardavano, l’ira della tempesta si abbattè su di loro come un maglio. Eragon annaspò e strinse con forza la sella, mentre un ululato selvaggio gli invadeva le orecchie. Cadoc vacillò e piantò gli zoccoli nel terreno, con la criniera che svolazzava. Il vento artigliava i vestiti di Eragon con dita invisibili, mentre l’aria si oscurava di nuvole gonfie di polvere.