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Il ragazzo socchiuse gli occhi, cercando Saphira. La vide atterrare pesantemente e poi accovacciarsi, affondando gli artigli nel terreno. Il vento la raggiunse mentre cominciava a chiudere le ali, e con un violento strattone le riaprì e la trascinò in aria. Per un attimo rimase, sospesa, sorretta dalla forza della tempesta. Poi il vento la fece ricadere di schianto sul dorso.

Con uno sforzo sovrumano, Eragon costrinse Cadoc a voltarsi e a galoppare verso la dragonessa, spronandolo sia con i tacchi che con la mente. Saphira gridò. Cerca di restare a terra. Sto arrivando! Avvertì, un fiero sì in risposta. Mentre si avvicinavano a Saphira. Cadoc ricalcitrò; così Eragon smontò e corse da solo verso di lei.

L’arco lo colpì sulla testa. Una forte raffica gli fece perdere l’equilibrio e il ragazzo volò in avanti per ricadere sul petto. Scivolò, poi si rialzò con un ringhio, ignorando i graffi profondi che gli rigavano la pelle.

Saphira era a pochi metri da lui, ma Eragon non poteva avvicinarsi oltre senza rischiare di essere colpito dalle ali fluttuanti. La dragonessa lottava per richiuderle contro la tempesta furiosa. Il ragazzo corse verso la sua ala destra, deciso a trattenerla a terra, ma il vento afferrò la creatura e la fece capitombolare sopra di lui. Le aguzze punte dorsali mancarono la sua testa di un soffio. Saphira artigliò di nuovo il terreno nello sforzo di restare ancorata al terreno.

Le ali ripresero a gonfiarsi, ma prima che potessero trascinarla per aria, Eragon si gettò su quella sinistra. L’ala si accartocciò e Saphira la tenne saldamente chiusa contro il corpo. Eragon volteggiò sopra la sua schiena e cadde sull’altra. Ma all’improvviso l’ala si gonfiò, mandandolo a finire a terra. Eragon attuti l’impatto della caduta rotolando, poi balzò in piedi e afferrò di nuovo l’ala. Saphira cominciò a chiuderla, e lui spinse con tutte le sue forze. Il ventò lottò contro di loro per un momento, ma con un ultimo sforzo congiunto riuscirono a vincerlo.

Eragon si appoggiò a Saphira, ansante. Stai bene? La sentiva tremare,

Lei impiegò un istante per rispondere. Credo... credo dì sì. Sembrava scossa. Niente di rotto... Non riuscivo a far niente; il vento non mi lasciava andare, Ero in balia delle raffiche. Con un brivido, tacque.

Eragon la guardò, preoccupato. Non temere, sei al sicuro, adesso. Scorse Cadoc in lontananza, la schiena al vento. Con la mente, gli ordinò di tornare da Brom. Poi salì su Saphira, che cominciò ad arrancare lungo la strada, lottando contro la tempesta, mentre Eragon si teneva stretto al suo collo e teneva la testa bassa.

Quando ebbero raggiunto Brom, il vecchio urlò sopra il vento: «È ferita?»

Eragon fece un cenno di diniego e smontò. Cadoc gli trotterellò vicino con un nitrito. Mentre accarezzava la lunga guancia del baio. Brom indicò una nera cappa di pioggia che avanzava verso di loro in ondeggianti cortine grigie. «E poi, cos’altro ci aspetta?» gridò Eragon, stringendosi addosso i vestiti. Fece una smorfia quando il torrente li investì. La pioggia battente era fredda come ghiaccio; ben presto furono fradici e tremanti.

I lampi squarciavano il cielo, illuminando il mondo per poi lasciarlo ripiombare nel buio. L’orizzonte era solcato da fulmini azzurrini alti miglia, seguiti da tuoni che scuotevano la terra, Era uno spettacolo straordinario, ma anche di grande pericolo. Qua e là l’erba prese fuoco per i fulmini, piccoli incendi presto estinti dalla pioggia.

La furia degli elementi fu lenta a placarsi, ma con il trascorrere del giorno la tempesta si spostò altrove. Il cielo comparve di nuovo, nudo, imporporato dagli ultimi bagliori del sole morente. Il netto contrasto fra le zone in ombra e le nubi fulgide di colori attribuiva agli oggetti un nitore singolare: gli steli d’erba sembravano solidi come pilastri di marmo, le cose ordinarie assumevano una bellezza ultraterrena. Eragon aveva la sensazione di trovarsi dentro un dipinto.

La terra rinvigorita e odorosa di fresco schiarì le loro menti e risollevò i loro spiriti. Saphira si stiracchiò, tese il collo e ruggì, felice. I cavalli indietreggiarono spaventati, ma Eragon e Brom sorrisero davanti alla sua esuberanza.

Prima che la luce svanisse, si fermarono per la notte, scegliendo una piccola conca nel terreno. Troppo stanchi per giocare alla lotta, si addormentarono subito.

18

Yazuac, la città fantasma

Per quanto fossero riusciti a riempire in parte gli otri durante la tempesta, quella mattina terminarono la loro scorta d’acqua. «Spero che stiamo andando nella direzione giusta» disse Eragon, ripiegando la sacca di pelle vuota. «perché saremo nei guai, se non raggiungiamo Yazuac oggi stesso.»

Brom non sembrava preoccupato. «Ho, già viaggiato in queste lande prima d’ora. Yazuac sarà in vista prima di sera.»

Eragon diede in una risatina dubbiosa. «Forse tu vedi qualcosa che io non vedo. Come fai a sapere dove siamo, quando il paesaggio è tutto uguale per leghe e leghe e leghe?»

«Perché non mi faccio guidare dal paesaggio, ma dalle stelle e dal sole. Loro non ingannano mai. Forza! Rimettiamoci in marcia. È da stupidi temere, quando non c’è nulla da temere. Yazuac ci sarà.»

Le sue parole si rivelarono veritiere. Fu Saphira a individuare per prima il villaggio, ma soltanto nel pomeriggio anche loro riuscirono a scorgerla come una bassa gobba scura sull’orizzonte. Yazuac era ancora molto lontana; era visibile solo perché il resto era di una piattezza uniforme. Continuando a cavalcare, notarono una grigia linea sinuosa su entrambi i lati del villaggio, che spariva in lontananza.

«Il fiume Ninor» disse Brom, indicandolo.

Eragon Fece fermare Cadoc. «Qualcuno scoprirà Saphira, se resta con noi. Non credi che potrebbe nascondersi mentre noi entriamo a Yazuac?»

Brom si grattò il mento e guardò il villaggio.«Vedi quell’ansa del fiume? Falla aspettare lì. E’ abbastanza lontana da Yazuac perché nessuno la scopra, ma tanto vicina da poterc raggiungere in breve tempo. Noi andremo al villaggio, prenderemo ciò che ci serve e ci rivedremo più tardi.»

Non mi piace, disse Saphira, dopo che Eragon le ebbe spiegato il piano. È irritante doversi sempre nascondere come un criminale.

Sai che cosa succederebbe se ti vedessero. La dragonessa borbottò ancora, ma si arrese e si allontanò, sorvolando a bassa quota la pianura.

I due ripresero a trottare, pensando con sollievo al cibo e all’acqua che presto avrebbero trovato. Mentre si avvicinavano alle piccole case, videro fili di fumo levarsi da una decina di comignoli, ma non c’era anima viva per le strade. Un silenzio irreale regnavasul villaggio. In un atto di tacita intesa, si fermarono davanti alla prima casa. Eragon disse brusco:«Non ci sono cani che abbaiono.»

«No»

«Però non vuol dire niente.»

«…No.»

Eragon fece una pausa.«Ma oramai qualcuno avrebbe docuto vederci.»

«Sì»

«E perché non escono?»

Brom socchiuse gli occhi contro il riverbero del sole. «Forse hanno paura.»

«Forse» disse Eragon.Tacque per qualche istante. «E se fosse una trappola? E se i Ra’zac ci stessero aspettando?»

«Ci servono acqua e viveri.»

«C’è sempre il Ninor.»

«Ma ci mancano i viveri.»

«Giusto.» Eragon si guardò intorno. «Che cosa facciamo? Entriamo?»

Brom fece schioccare le redini. «Sì, ma non da sciocchi. Questo è l’ingresso principale di Yazuac. Se volessero tenderci un agguato, con ogni probabilità lo farebbero qui. Nessuno si aspetta che arriviamo da una direzione diversa.»