Eragon assentì. «Però abbiamo ancora bisogno di rifornimenti. C’è un’altra città o un villaggio vicino?»
Brom scosse il capo. «No, ma Saphira può cacciare per noi, se dobbiamo sopravvivere mangiando solo carne. Questa striscia d’alberi ti può sembrare piccola, ma è piena di animali. Il fiume è l’unica fonte d’acqua nel raggio di parecchie miglia, e così gran parte degli animali delle pianure vengono qui ad abbeverarsi. Non moriremo di fame.»
Eragon tacque, soddisfatto dalla risposta di Brom. Mentre cavalcavano, uccelli ciarlieri volavano intorno a loro e il fiume mormorava placido. Era un luogo rumoroso, pieno di vita ed energia, Eragon chiese: «Come ha fatto quell’Urgali a sorprenderti? È successo tutto così in fretta che non ho visto.»
«Un colpo di sfortuna» borbottò Brom. «Ero in vantaggio su di lui, così ha dato un calcio a Fiammabianca. Quello stupido cavallo si è impennato e mi ha fatto perdere l’equilibrio. Così l’Urgali ha potuto colpirmi con l’ascia.» Si grattò il mento. «Immagino che tu non abbia ancora esaurito la tua scorta di domande sulla magia. Il fatto che tu l’abbia scoperta ci pone di fronte a un problema spinoso. Pochi lo sanno, ma ogni Cavaliere poteva usare la magia, anche se a diversi livelli. Essi tennero segreta questa loro capacità, anche al culmine del loro potere, perché dava loro un vantaggio sui nemici. Se tutti l’avessero saputo, trattare con la gente comune sarebbe stato difficile. Molti pensano che i poteri magici del re derivino dal fatto che è un mago, o uno stregone. Non è vero; è perché è un Cavaliere.»
«Che differenza fa? Il fatto che io abbia usato la magia non mi rende automaticamente uno stregone?»
«Nient’affatto! Uno stregone, come uno Spettro, usa gli spiriti per realizzare il proprio volere. Ed è una cosa completamente diversa dal tuo potere. Né sei un illusionista, i cui poteri non hanno niente a che fare con gli spiriti o i draghi. Così come non sei un fattucchiere, che usa pozioni e incantesimi..
«Il che ci riporta al punto di partenza: il problema che hai posto. I giovani Cavalieri come te seguivano un rigido periodo di addestramento per irrobustire il corpo e rafforzare il controllo della mente. Questo periodo durava parecchi mesi, a volte addirittura anni, finché il Cavaliere non veniva giudicato abbastanza responsabile da poter usare la magia. Fino ad allora, nessun allievo sapeva di possedere quei poteri. Se uno di loro scopriva la magia per caso, veniva immediatamente allontanato dagli altri per ricevere un’istruzione privata. Era un caso molto raro» aggiunse, e fece un cenno verso Eragon. «anche se nessuno aveva mai subito le tue stesse pressioni.»
«E come venivano addestrati a usare la magia, alla fine?» chiese Eragon. «Non vedo come si possa insegnare una cosa del genere. Se tu avessi tentato di spiegarmela un paio di giorni fa, non avrei capito niente.»
«Gli allievi venivano sottoposti a una serie di inutili esercizi ideati al solo scopo di frustrarli. Per esempio, ordinavano loro di spostare un cumulo di pietre usando soltanto i piedi, oppure di riempire d’acqua dei secchi bucati, o altre cose impossibili. Alla fine, si arrabbiavano abbastanza da usare la magia. La maggior parte delle volte funzionava.
«Il che significa» proseguì Brom «che ti troverai in svantaggio, dovessi mai incontrare un nemico che ha ricevuto questo tipo di addestramento. C’è ancora qualcuno in vita che è così vecchio: il re, tanto per cominciare, e ovviamente gli elfi. Chiunque di loro potrebbe farti a pezzi con facilità.»
«E allora che cosa posso fare?»
«Non è il momento per un’istruzione formale, ma possiamo fare qualcosa durante il viaggio» disse Brom. «Conosco diverse tecniche a cui potrai ricorrere per sviluppare forza e controllo, ma non puoi conquistare la disciplina dei Cavalieri dal giorno alla notte. Tu» scoccò a Eragon uno sguardo divertito «dovrai seguire un corso lampo. Sarà dura al principio, ma la ricompensa sarà enorme. Ti farà piacere sapere che nessun Cavaliere della tua età ha mai usato la magia come hai fatto tu ieri con quei due Urgali.»
Eragon sorrise, lusingato. «Grazie. Questa lingua di cui parli ha un nome?»
Brom rise. «Certo, ma nessuno lo conosce. Sarebbe una parola di un potere incredibile, qualcosa che ti permetterebbe di controllare la lingua e coloro che la usano. Da tempo immemorabile la gente lo cerca, ma nessuno l’ha mai scoperto.»
«Ancora non capisco come funziona la magia» disse Eragon. «Come faccio a usarla?»
Brom aggrottò la fronte, stupito. «Non è chiaro?»
«No.»
Il vecchio trasse un profondo respiro e disse: «Per adoperare la magia, devi possedere un certo potere innato, che di questi tempi è molto raro nelle persone. Devi anche essere in grado di evocare questo potere con la volontà. Una volta evocato, devi usarlo o lasciarlo dissolvere. Capito? Ora, se desideri usare il potere, devi pronunciare la parola o la frase dell’antica lingua che descrive le tue intenzioni. Per esempio, se ieri non avessi detto brisingr, non sarebbe successo niente.»
«Perciò sono limitato dalla mia conoscenza di questa lingua?» .
«Proprio così» esclamò Brom. «E sappi che nell’usarla è impossibile mentire.»
Eragon scosse il capo. «Non può essere. La gente mente sempre. I suoni dell’antica lingua non possono impedire a nessuno di farlo.»
Brom inarcò un sopracciglio e disse: «Fethrblaka, eka weohnata néiat haina ono. Blaka eom iet lam.» All’improvviso un uccello volò da uh ramo e atterrò sulla sua mano. Cinguettò allegramente e guardò entrambi con i suoi occhietti rotondi. Dopo un istante Brom disse «Eitha» e l’uccello volò via.
«Come ci sei riuscito?» disse Eragon, colmo di meraviglia.
«Ho promesso di non fargli del male. Forse non conosceva di preciso le mie intenzioni, ma nella lingua del potere, il significato delle mie parole era evidente. L’uccello si è fidato di me perché sa quello che sanno tutti gli animali, ossia che coloro che usano questa lingua sono vincolati alla parola data.»
«Anche gli elfi la parlano?»
«Certo.»
«Quindi non mentono mai?»
«Non proprio» ammise Brom. «Loro sostengono di non farlo, e in un certo senso è vero, ma col tempo hanno perfezionato l’arte di dire una cosa e intenderne un’altra. Non sai mai qual è il loro intento, o se lo hai interpretato correttamente. Il più delle volte rivelano soltanto una parte della verità e tacciono il resto. Occorre una mente raffinata e sottile per comunicare con la loro cultura.»
Eragon riflette. «Che cosa significano i nomi propri in questa lingua? Conferiscono potere?»
Gli occhi di Brom s’illuminarono di compiacimento. «Per l’appunto. Coloro che parlano la lingua hanno due nomi. Il primo è per l’uso quotidiano e ha poca autorità. Ma il secondo è il loro vero nome, che condividono con poche persone fidate. C’era un tempo in cui nessuno nascondeva il proprio vero nome, ma l’epoca attuale non lo consente. Chiunque conosca il tuo vero nome ha un enorme potere su di te. È come affidare la tua vita nelle mani di qualcun altro. Tutti abbiamo un nome segreto, ma pochi sanno quale sia.»
«Come si fa a scoprire il proprio vero nome?» chiese Eragon.
«Gli elfi lo conoscono per istinto. Nessun altro possiede questo dono. I Cavalieri umani intraprendevano una missione per scoprirlo... oppure trovavano un elfo che lo rivelava loro, ma era un’occasione rara, perché gli elfi non sono prodighi di conoscenza» rispose Brom.
«Mi piacerebbe conoscere il mio» disse Eragon, pensoso.
Brom si accigliò. «Bada. Potrebbe essere una conoscenza terribile. Sapere chi sei senza illusioni o compassione è un momento di rivelazione che nessuno sperimenta restando indenne. Alcuni impazziscono davanti alla pura verità. Quasi tutti cercano di dimenticarla. Ma per quanto il nome dia potere agli altri, anche tu conquisti potere su di te, se la verità non ti spezza.»
E io sono sicura che non lo farà, disse Saphira.
«Eppure vorrei tanto conoscerlo» disse Eragon, risoluto.