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Al calar della sera, si accamparono nel luogo più asciutto che riuscirono a trovare. Mentre mangiavano. Brom commentò: «Dovresti montare Cadoc finché non arriviamo a Teirm, È probabile che incontreremo altri viaggiatori, ora che abbiamo lasciato la Dorsale, ed è meglio se rimani con me. Un vecchio che viaggia da solo suscita sospetti. Con te al mio fianco, nessuno farà domande. E poi non voglio arrivare in città e incontrare qualcuno che mi ha visto da solo sulla strada, pronto a chiedersi da dove sei spuntato.»

«Useremo i nostri nomi?» disse Eragon.

Brom riflette un istante. «Non potremo ingannare Jeod. Lui conosce già il mio nome, e credo che possiamo fidarci a dirgli il tuo. Ma per gli altri, io sarò Neal, e tu mio nipote Evan. Se qualche volta ci sfugge lo stesso la verità, probabilmente non farà differenza, ma non voglio che i nostri nomi restino impressi a qualcuno. La gente ha la fastidiosa abitudine di ricordarsi le cose che non dovrebbe.»

24

Teirm

Dopo due giorni di viaggio verso nord, verso l’oceano, Saphira fu la prima ad avvistare Teirm. Una pesante cappa di nebbia aleggiava sul terreno, impedendo a Brom ed Eragon di vedere in lontananza, finché da ovest non prese a soffiare una brezza sostenuta che dissipò il velo grigio. Eragon rimase a bocca aperta quando finalmente comparve Teirm, la cittadina bagnata dal mare scintillante, dove fiere navi erano ormeggiate con le vele imbrogliate. In lontananza si udiva il sordo fragore della risacca.

La città era cinta da una muraglia bianca alta cento piedi e spessa trenta, con file di feritoie rettangolari e un camminamento in cima per i soldati e le sentinelle. La superficie liscia della muraglia era interrotta da due saracinesche di ferro, una che affacciava a ovest, sul mare, l’altra che si apriva a sud, sulla strada. Al di sopra della muraglia, addossata alla sua sezione settentrionale, si ergeva un’enorme fortezza fatta di pietre gigantesche e torrette. Nella torre più alta riluceva la lanterna di un faro. Il castello era l’unica cosa visibile al di là della fortificazione.

C’erano alcuni soldati a guardia del cancello sud, ma reggevano le lance con noncuranza. «Questo è il nostro primo esame» disse Brom. «Speriamo che non abbiano ancora ricevuto nostre notizie dall’Impero e che non ci arrestino. Qualunque cosa accada, non farti prendere dal panico e non comportarti in maniera sospetta.»

Eragon si rivolse a Saphira. Adesso atterra da qualche forte e nasconditi. Noi entriamo.

Per andare a ficcare in naso dove non dovreste. Di nuovo, commentò lei, acida.

Lo so. Ma Brom e io godiamo di certi vantaggi che la maggior parte della gente non possiede.

Andrà tutto bene.

Se qualcosa va storto, ti inchioderò al mio dorso e non ti lascerò più andare.

Anch’io ti voglio bene.

Ti legherò stretto.

Eragon e Brom avanzarono verso il cancello con aria disinvolta. Sull’ingresso sventolava un vessillo giallo con la figura di un leone rampante e una mano che stringeva un giglio. Mentre si avvicinavano alla muraglia, Eragon domandò, stupito: «Quanto è grande questo posto?»

«È più grande di qualunque città tu abbia mai visto» rispose Brom.

Due sentinelle sorvegliavano l’ingresso a Teirm, le lance in pugno. «Nome!» disse una di loro in tono annoiato.

«Io sono Neal» rispose Brom con voce arrochita, le spalle curve, un’espressione di beata idiozia sul volto.

«E quest’altro chi è?» chiese la guardia.

«Be’, ci stavo arrivando, È mio nipote, Evan, il figlio di mia sorella, non...»

La guardia annuì impaziente. «Sì, sì, ho capito. Che cosa siete venuti a fare qui?»

«Andiamo a trovare un suo vecchio amico» intervenne Eragon, adeguandosi al linguaggio spiccio.

«Io lo accompagno perché magari si perde, se capite cosa intendo. Non è più tanto giovane, e ha preso un sacco di sole quando lo era. È rimasto un po’ tocco per via della febbre, sapete.»

Brom dondolò la testa come un vecchio rimbambito «Mmm, passate» disse la guardia, abbassando la lancia. «Ma tu bada che il vecchio non combini qualche pasticcio.»

«Oh, non temete» promise Eragon. Spronò Cadoc, e i due entrarono a Teirm. Gli zoccoli dei cavalli sul selciato facevano uno schiocco di nacchere.

Una volta lontani dallo sguardo delle sentinelle. Brom raddrizzò la schiena e borbottò: «Un po’ tocco, eh?»

«Non potevo lasciare a te tutto il divertimento» lo canzonò Eragon. Brom distolse lo sguardo e mormorò qualcosa fra i denti. Le case erano grigie, tristi. Piccole finestre incassate lasciavano entrare rari raggi di luce. Gli usci erano stretti, i tetti piatti, circondati da ringhiere di metallo e coperti da lastre di ardesia. Eragon notò che le case più vicine alla muraglia di Teirm erano le più basse, mentre diventavano più alte via via che si procedeva verso l’interno. Quelle vicine alla fortezza erano le più alte, ma sempre insignifi canti rispetto alla sua mole.

«Questo posto sembra pronto alla guerra» commentò Eragon. Brom annuì. «La storia dì Teirm è un susseguirsi di attacchi da parte dei pirati, degli Urgali e di altri nemici. Questa città è stata a lungo il crocevia di intensi commerci, e c’è sempre battaglia, dove si accumulano tante ricchezze. Gli abitanti sono stati costretti a prendere misure straordinarie per difendersi. E aggiungi il fatto che Galbatorix ha mandato i suoi soldati per aiutarli a difendere la città.»

«Perché certe case sono più alte?»

«Guarda la fortezza» disse Brom, indicandola. «Da lassù si ha una vista completa di Teirm. Se qualcuno riuscisse ad aprire una breccia nella muraglia esterna, sui tetti verrebbero disposti gli arcieri. Poiché le case davanti, accanto alla muraglia, sono più basse, gli uomini più indietro potrebbero scoccare tranquillamente i loro dardi, senza paura di colpire i compagni, E se il nemico riuscisse a impossessarsi delle prime case e disporvi i propri arcieri, sarebbe uno scherzo abbatterli dall’alto.»

«Non ho mai visto una fortezza progettata in questo modo» disse Eragon, affascinato.

«Sì, ma questo accadde solo dopo che Teirm fu quasi rasa al suolo da un’incursione pirata» disse Brom. Al loro passaggio, la gente li osservava incuriosita, ma senza eccessivo interesse.

In confronto a come ci hanno accolti a Darei, qui ci ricevono a braccia aperte. Forse Teirm è sfuggita all’attenzione degli Urgali, pensò Eragon. Ma cambiò subito parere quando un.uomo di corporatura robusta li superò, con una lunga spada appesa alla cintura. Altri piccoli indizi alludevano a tempi turbolenti: non c’erano bambini che giocavano per strada, la gente aveva l’espressione torva e molte case erano deserte, con le erbacce che crescevano dalle fessure nei cortili lastricati. «Pare che se la passino male» disse Eragon.

«È uguale dappertutto» disse Brom, cupo. «Dobbiamo trovare Jeod.» Guidarono i cavalli verso una taverna dall’altro lato della strada e li legarono ai pali di posta. «La Castagna Verde... splendido» mormorò Brom, osservando l’insegna sbiadita che pendeva sulle loro teste. Entrarono.

Il locale era squallido e aveva ben poco di rassicurante. Il fuoco languiva nel caminetto, ma nessuno si prendeva la briga di aggiungere altra legna. I pochi avventori seduti negli angoli tenevano lo sguardo fisso sui propri boccali con espressione triste. Un uomo a cui mancavano due dita era seduto a un tavolo lontano e studiava i propri moncherini deformi. L’oste aveva una smorfia amara sulle labbra e teneva in mano un bicchiere che puliva in modo ossessivo, malgrado fosse rotto. Brom si appoggiò al bancone e chiese: «Sai dove posso trovare un uomo che si chiama Jeod?»

Eragon, al suo fianco, giocherellava con la punta dell’arco che teneva a tracolla. Ma si sarebbe sentito più sicuro se l’avesse potuto impugnare.

L’oste si rivolse loro a voce molto alta. «E perché dovrei sapere una cosa del genere? Non è che sto dietro a tutti gli zotici di questo posto dimenticato dagli dei!» Eragon si fece piccolo piccolo quando tutti gli sguardi si appuntarono su di loro.