«Certo, questo è il mio lavoro» disse Jeod, illuminandosi. Parlò animatamente di prezzi e di negozi finché non furono in vista della sua casa. Allora disse: «Vi dispiace se andiamo a mangiare da qualche altra parte? Non credo sia opportuno farvi entrare adesso.»
«Come ritieni sia meglio. disse Brom.
Jeod parve sollevato. «Grazie. Potete lasciare i cavalli nella mia stalla.»
Fecero come aveva suggerito, e poi lo seguirono fino a una grande taverna. Al contrario della Castagna Verde, questa era pulita, rumorosa e affollata di gente chiassosa. Quando arrivò il cibo, un maialino da latte ripieno, Eragon addentò affamato la carne, ma gustò soprattutto il contorno di patate, carote, rape e mele dolci. Era tanto tempo che mangiava solo selvaggina.
Indugiarono davanti al pasto per ore, mentre Brom e Jeod si scambiavano racconti. A Eragon non dispiacque. Era al caldo, un allegro motivetto risuonava in sottofondo, e c’era abbondanza di cibo. Il parlottio vivace della taverna lo cullava.
Quando alla fine uscirono dalla taverna, il sole era vicino all’orizzonte. «Voi due andate avanti; io devo controllare una cosa» disse Eragon. Voleva vedere Saphira e assicurarsi che fosse ben nascosta.
Brom annuì con aria assente. «Sta’ attento. E non metterci troppo.»
«Aspetta» disse Jeod. «Hai intenzione di uscire da Teirm?» Eragon esitò, poi assentì. «Allora fa’ in modo di rientrare prima di sera, perché chiudono i cancelli, e le guardie non ti faranno rientrare se non al mattino.»
«Non farò tardi» promise Eragon. Si volse e corse lungo una via laterale che portava verso la muraglia di Teirm. Una volta uscito dalla città, respirò a fondo l’aria fresca. Saphira! chiamò. Dove sei? Lei lo guidò lontano dalla strada, ai piedi di una rupe muscosa circondata di aceri, Eragon vide la dragonessa fare capolino dagli alberi in cima e la salutò. Come faccio a salire lassù?
Se trovi una radura, vengo a prenderti.
No, disse lui, osservando la rupe, non sarà necessario. Mi arrampico io.
È troppo pericoloso.
E tu ti preoccupi troppo. Lascia che mi diverta un po’.
Eragon si sfilò i guanti e cominciò ad arrampicarsi. Gli piacevano le sfide fisiche. Trovò parecchi appigli che gli facilitarono l’ascesa e in breve tempo superò le chiome degli alberi. A metà strada, si fermò per riprendere fiato.
Una volta recuperate le forze, tese il braccio per afferrare l’appiglio successivo, ma si accorse di non arrivarci. Si guardò intorno in cerca di una fessura o una sporgenza dove posare la mano, ma non ne trovò. Allora provò a tornare indietro, ma l’ultimo punto in cui aveva poggiato i piedi era troppo lontano. Saphira lo fissava senza battere ciglio. Eragon si arrese e disse: Forse mi serve un aiuto.
È colpa tua.
Sì! Lo so. Allora, mi aiuti o no?
Se non ci fossi stata io, ti saresti trovato in una gran brutta situazione.
Eragon sgranò gli ocelli. Smettila.
Sicuro. In fin dei conti, come può un semplice drago dire a un uomo come te cosa fare? Dovrei limitarmi a lodare la tua straordinaria capacità di trovare l’unico vicolo cieco. Perché se avessi cominciato qualche metro più in là, avresti trovato il sentiero per salire. Avvicinò il muso, scrutandolo con i grandi occhi chiari.
D’accordo! Ho fatto un errore. Adesso, per favore, mi aiuti? la implorò. La dragonessa ritrasse la testa oltre il bordo della rupe. Dopo un momento, Eragon chiamò: «Saphira!» Sopra di lui non c’erano che alberi fruscianti. «Saphira! Torna qui!» ruggì.
Con uno schianto fragoroso. Saphira uscì dal folto degli alberi, librandosi a mezz’aria. Volò verso Eragon come un pipistrello enorme e gli afferrò la camicia con gli artigli, graffiandogli la schiena. Lui lasciò la presa sulla roccia, mentre lei lo sollevava. Dopo un breve volo, lo depose con delicatezza in cima alla rupe e sfilò gli artigli dalla camicia.
Pazzo che non sei altro, commentò Saphira bonaria.
Eragon contemplò il panorama. La rupe offriva una vista perfetta su tutto il circondario, specie sull’oceano spumeggiante, e anche protezione da occhi indiscreti. Soltanto gli uccelli avrebbero visto Saphira lì. Era il luogo ideale.
C’è da fidarsi dell’amico di Brom? chiese Saphira.
Non lo so. Eragon le raccontò gli eventi della giornata. Ci sono forze intorno a noi di cui non siamo consapevoli. A volte mi chiedo se possiamo mai capire le vere ragioni che muovono le persone che ci circondano. Sembra che tutti abbiano dei segreti.
Così va il mondo. Ignora ogni facile deduzione e confida nella natura di ciascuno. Brom è buono.
Non intende farci del male. Non dobbiamo temere i suoi piani.
Lo spero, disse lui, studiandosi le mani.
Questa ricerca dei Ra’zac attraverso gli scritti è uno strano rnodo di rintracciarli, commentò lei.
Non si potrebbe ricorrere alla magia per controllare i registri senza entrare nella stanza?
Non ne sono sicuro. Bisognerebbe combinare la parola vedere con la parola distanza... o magari luce e distanza. Comunque sìa, mi pare piuttosto difficile. Chiederò a Brom.
Buona idea. Cadde un quieto silenzio.Sai, potremmo restare a Teirm per un po’.
La risposta di Saphira fu tagliente. E come sempre, io sarò costretta ad aspettare lontano.
Non è così che volevo che andasse. Ben presto torneremo a viaggiare insieme.
Che quel giorno possa arrivare presto.
Eragon sorrise e la abbracciò. Notò allora che la luce svaniva rapida. Devo andare, altrimenti mi chiudono fuori falla città. Domani va’ a caccia, e la sera tornerò a trovarti.
La dragonessa dispiegò le ali. Vieni, ti porto giù. Eragon montò sul suo dorso squamoso e si resse forte, mentre lei si lanciava giù dalla rupe, sfiorava gli alberi e atterrava su una collinetta. Eragon la ringraziò e prese a correre verso Teirm,
Arrivò in vista della saracinesca proprio mentre questa cominciava ad abbassarsi. Urlando di aspettare, corse a perdifiato e s’infilò sotto il portale di ferro qualche istante prima che si sigillasse con un tonfo. «Appena in tempo» osservò una delle guardie.
«Non accadrà più» disse Eragon, piegandosi in due per riprendere fiato. Si addentrò nella città buia, in cerca della casa di Jeod. Una lanterna era appesa fuori dalla porta, come un faro. Bussò. Un florido maggiordomo gli venne ad aprire e lo accompagnò dentro senza una parola. Le pareti di pietra erano tappezzate di arazzi. Tappeti arabescati coprivano a tratti il lucido pavimento di legno, che rifletteva la luce emanata da tre lampadari d’oro. Il fumo delle candele si allargava nell’aria e si raccoglieva contro il soffitto.
«Da questa parte, signore. H vostro amico è nello studio.»
Passarono davanti a decine di porte, finché il maggiordomo non ne aprì una che dava sullo studio. Le pareti erano tappezzate di libri. Ma a differenza di quelli della stanza di Jeod nella cittadella, questi erano di ogni forma e dimensione. Un caminetto colmo di ciocchi ardenti riscaldava l’ambiente. Brom e Jeod erano seduti davanti a una scrivania ovale, a chiacchierare amabilmente. Brom alzò la pipa e disse con.voce gioviale: «Ah, eccoti, finalmente. Ci stavamo preoccupando. Com’è andata la passeggiata?»
Chissà cosa l’ha messo di buonumore. Perché non mi ha chiesto come sta Saphira? «Bene, ma per poco le guardie non mi chiudevano fuori dalla città, E Teirm è enorme. Ho fatto molta fatica a trovare questa casa.» Jeod ridacchiò. «Aspetta di vedere Dras-Leona. Gil’ead, o magari Kuasta, e questa piccola città costiera non ti sembrerà più tanto grande. Ma qui mi piace. Quando non piove. Teirm è davvero incantevole.»