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Eragon uscì dal negozio e si fermò sulla strada, socchiudendo gli occhi per riabituarsi alla luce. Passarono parecchi minuti prima che riuscisse a ripensare con calma a quanto aveva appreso. Cominciò a camminare, a passi ignari ma sempre più veloci, finché non si ritrovò a correre fuori da Teirm, verso il nascondiglio di Saphira.

La chiamò dalla base della rupe. Dopo un minuto la dragonessa planò su di lui, lo afferrò al volo e risalì in cima alla rupe. Una volta tornato a terra, Eragon le raccontò quello che era successo nella bottega dell’erborista. E così, concluse, immagino che Brom abbia ragione: sembra che mi trovi sempre dove ci sono guai.

Dovresti tenere a mente quello che ti ha detto il gatto mannaro. È importante.

Che cosa ne sai? domandò lui, curioso.

Non ne sono sicura, ma i nomi che ha usato suonano potenti.

Kuthian, disse lei, assaporando la parola. No, non dovremmo dimenticare quello che ha detto.

Credi che dovremmo dirlo a Brom?

È una tua scelta, ma pensa una cosa: lui non ha il diritto di conoscere il tuo futur.. Raccontargli di Solembum e delle sue parole solleverebbe domande a cui potresti non voler rispondere. E se decidi di chiedergli soltanto che cosa significano quelle parole. Brom potrebbe voler sapere dove le hai sentite. Credi di potergli mentire in modo convincente?

No, ammise Eragon. Forse non gli dirò niente. Eppure ho l’impressione che siano cose troppo importanti per tenerle nascoste. Continuarono a parlare di tutto quanto nel dettaglio, con minuzia, tra domande e risposte, e alla fine rimasero in silenzio a guardare gli alberi fino al tramonto. Eragon tornò di corsa a Teirm e bussò subito alla porta di Jeod. «Neal è tornato?» chiese al maggiordomo. «Sì, signore. Credo che si trovi nello studio, adesso.»

«Grazie» disse Eragon. Si avviò verso la stanza e fece capolino dalla porta. Brom era seduto davanti al fuoco, intento a fumare la pipa. «Com’è andata?» chiese Eragon.

«Un fiasco totale» ringhiò Brom, la pipa stretta fra i denti.

«Hai parlato con Brand?»

«Non è servito a niente. L’amministratore dei commerci è il peggior burocrate che abbia mai incontrato. Si attiene scrupolosamente a ogni minima regola, godendo nel crearne di nuove se solo possono provocare problemi ad altri, e allo stesso tempo è convinto di far bene.»

«Vuoi dire che non ci lascerà guardare i registri?» disse Eragon..

«Già!» sbottò Brom, esasperato. «Non c’è stato niente da fare. Pensa che ha rifiutato perfino un sostanzioso omaggio in denaro. Credevo che non avrei mai conosciuto un nobile incorruttibile. Adesso che l’ho incontrato, ho scoperto che preferisco quando sono degli avidi bastardi.» Sbuffò con violenza il fumo della pipa e si lanciò in una sfilza d’imprecazioni.

Quando parve aver ripreso la calma, Eragon osò chiedere: «E adesso?»

«Adesso passerò tutta la prossima settimana a insegnarti a leggere.»

«D’accordo, ma dopo?»

Un ghigno affiorò sulle labbra di Brom. «Dopo, faremo a Brand una gran brutta sorpresa.» Eragon insistette per conoscere i dettagli, ma Brom si rifiutò di aggiungere altro.

La cena ebbe luogo in una sontuosa sala da pranzo. Jeod sedette a capotavola, sua moglie Helen all’estremità opposta. Brom ed Eragon presero posto fra loro, una posizione che Eragon ritenne pericolosa, a giudicare dall’espressione arcigna della padrona di casa. Ai suoi lati c’erano delle sedie vuote, ma questo almeno lo proteggeva dagli sguardi furenti della donna.

La cena fu servita in silenzio, e Jeod ed Helen cominciarono a mangiare senza dire una parola, Eragon li imitò, pensando: Ho partecipato a pranzi più allegri dopo un funerale. Ricordò le volte che gli era successo a Carvahalclass="underline" lì almeno la tristezza era giustificata. Qui invece la situazione era diversa, ma per tutta la cena si sentì bersaglio della collera repressa di Helen.

27

Letture e complotti

Brom scrisse una runa sulla pergamena con un carboncino, poi la mostrò a Eragon. «Questa è la lettera A» disse. «Imparala.»

Così Eragon iniziò la sua carriera di letterato. Era difficile, strana e impegnativa, ma gli piaceva. Non avendo niente di meglio da fare e con un valido seppur qualche volta impaziente maestro, i suoi progressi furono enormi.

Tutti i giorni Eragon si alzava presto, faceva colazione in cucina e poi andava nello studio per le lezioni, dove imparava il suono delle lettere e le regole della scrittura. Arrivò al punto che quando chiudeva gli occhi, lettere e parole gli davanzano dietro le palpebre. In quel periodo non pensò ad altro.

Prima di cena, lui e Brom andavano dietro la casa di Jeod per l’addestramento. I domestici, insieme a una piccola folla di bambini curiosi, li andavano a vedere. Poi, se restava tempo, Eragon si chiudeva in camera sua con le tende ben tirate a esercitarsi nella magia.

Il suo unico cruccio era Saphira. Andava a trovarla ogni sera, ma per entrambi il tempo che passavano insieme non bastava. Durante la giornata, Saphira si allontanava di parecchie leghe in cerca di cibo; non poteva cacciare vicino a Teirm per non destare sospetti. Eragon faceva il possibile per lei, ma sapeva che l’unica soluzione per la sua solitudine e la fame era partire al più presto da Teirm.

Ogni giorno in città arrivavano notizie sempre più nere.

I mercanti di passaggio parlavano di terribili attacchi lungo la costa. Si diceva che parecchi personaggi influenti fossero scomparsi da casa durante la notte, per essere ritrovati massacrati la mattina dopo. Eragon udì spesso Brom e Jeod parlarne sottovoce, ma si interrompevano sempre quando compariva lui.

Passò in fretta una settimana. Le capacità di Eragon erano rudimentali, ma sapeva leggere intere pagine senza chiedere l’aiuto di Brom. Leggeva adagio, certo che col tempo sarebbe andato più veloce. Brom lo incoraggiava. «Non importa, andrà benissimo per quello che ho in mente.»

Era pomeriggio quando Brom convocò Jeod ed Eragon nello studio. Brom fece un cenno al ragazzo.

«Ora che sei in grado di aiutarci, è tempo di agire.»

«Qual è il tuo piano?» domandò Eragon.

Sul volto di Brom si dipinse un sorriso feroce. Jeod gemette. «Conosco quello sguardo: significa guai.»

«Andiamo, non esagerare» disse Brom. «D’accordo, ecco cosa faremo...»

Partiremo stanotte, o al più tardi domattina, disse Eragon a Saphira dalla sua stanza.

Non me l’aspettavo. Sei sicuro che non ti succederà niente?

Eragon si strinse nelle spalle. Non lo so. Magari finiremo per fuggire da Teirm con i soldati alle calcagna. Avvertì la preoccupazione della dragonessa e cercò di rassicurarla. Andrà tutto, bene.

Brom e io sappiamo usare la magia, e siamo dei bravi combattenti.

Si distese sul letto a fissare il soffitto. Gli tremavano le mani e aveva un nodo in gola. Mentre il sonno lo coglieva, si sentì pervadere da una profonda confusione. Non voglio lasciare Teirm, si scoprì a pensare. Il periodo che ho trascorso qui è stato... quasi normale. Che cosa non darei per mettere di nuovo radici, restare qui e vivere come tutti gli altri. Poi un altro pensiero lo colse. Ma non posso, se voglio, restare con Saphira. Non posso.

La sua coscienza fu invasa dai sogni, che la guidarono a proprio capriccio A volte Eragon gridò di paura; altre rise di gusto. Poi qualcosa cambiò, come se avesse aperto gli occhi, e fece il sogno più vivido che gli fosse mai capitato.

Vide una giovane donna, sofferente, incatenata in una cella fredda e buia. Un raggio di luna filtrò fra le sbarre di un’alta finestrella e le illuminò il viso. Una lacrima, una sola, le cadde lungo la guancia come un diamante liquido.

Eragon si svegliò di soprassalto e si scoprì scosso da violenti singhiozzi. Poi ricadde in un sonno tormentato.