«Buon giorno,» disse una voce.
Ryan si voltò e vide un tizio in piedi sul marciapiede accanto all’auto. Indossava dei pantaloni militari verdi consunti e una maglietta grigia. Aveva il sole alle spalle, era abbronzato, i capelli erano tagliati corti e indossava un paio di occhialini rotondi. Aveva l’aria di uno di quei musicisti di strada che potresti vedere a qualche incrocio oppure a Venice Beach. Sicuramente non sembrava il tipo da compiere il gesto che fece, vale a dire tirare fuori una grande pistola da dietro la schiena e sparare due colpi in testa a Steve Ryan.
Quando Nina arrivò sul posto la strada era già stata chiusa e si era già raccolta una discreta folla di curiosi composta da molti civili, ma anche da molti poliziotti. Formavano dei gruppetti, arrabbiati e impotenti, che si tenevano alla larga dalla panchina dove c’era, seduto a fissare il marciapiede, un poliziotto alto e coi capelli rossi. Altri due agenti, un uomo e una donna, erano accanto al poliziotto. La donna aveva la mano poggiata sulla sua spalla, mentre l’uomo stava dicendo qualcosa. Ma era difficile credere che qualcuno di questi gesti benevoli avrebbe potuto far sentire meglio l’agente di pattuglia Peterson in merito al fatto che il suo compagno era stato ucciso mentre lui era dall’altra parte della strada a ingozzarsi.
Nina parcheggiò e attraversò velocemente la strada. Monroe era già sul posto e sotto assedio. Un paio di poliziotti le fecero segno di fermarsi mentre si avvicinava, ma lei aveva già il distintivo a portata di mano.
«Nina Baynam,» disse. «Fed.»
A volte diceva «Federali» o «Fed» piuttosto che «FBI», e in qualche caso il fatto di pronunciare cordialmente un nome più colloquiale o che loro stessi potevano usare faceva la differenza. Non era il caso di quella mattina, evidentemente, e quelle tre lettere non erano state una sorta di lasciapassare per il rispetto. Il linguaggio corporale dei due poliziotti trasmetteva un’unica domanda: «Che cazzo ci fai tu qui?»
Anche Nina se lo stava chiedendo. Si diresse verso Monroe, che lasciò perdere i due poliziotti, e senza altri preamboli cominciò a parlare rapidamente e a voce alta.
«Abbiamo due testimoni. Uno ha visto la scena dalla stanza al secondo piano lì dentro» — puntò il dito dall’altra parte della strada in direzione di un malandato edificio dalle insegne sbiadite che offrivano affitti settimanali a prezzi dubbiosamente bassi — «e l’altro era al chiosco del caffè. Ryan e Peterson sono arrivati circa alle sette e mezzo; Peterson attraversa la strada, lasciando Ryan in macchina. Ryan di tanto in tanto chiude gli occhi. Non si accorge di un uomo bianco con i capelli corti, gli occhiali, longilineo, vestito o di marrone e verde o di marrone e grigio, che arriva da quella parte e si avvicina al veicolo con una mano dietro la schiena.»
Monroe puntò di nuovo il dito, questa volta verso un parcheggio leggermente sopraelevato che portava all’ingresso del Knights, un motel a due piani con cortile. «Il tizio viene diritto qui e si piazza di fianco alla macchina di pattuglia. Dice qualcosa e subito dopo spara. Bang, bang. Poi sparisce.»
«Come fa a sparire?» disse Nina, girandosi per guardare intorno. «Il compagno di Ryan è a non più di dieci metri di distanza.»
Monroe fece cenno con la testa verso un vicolo un po’ più in là lungo la strada. «Alla velocità della luce. Abbiamo trovato la pistola laggiù. Nel momento in cui Peterson sente gli spari, si accorge di Ryan e comincia a correre, è troppo tardi. L’assassino è già sparito.»
Monroe cominciò a camminare in direzione del motel. Nina gli tenne dietro.
«Nessuno sa dire niente su Ryan eccetto che era un bravo poliziotto. Non dei migliori, di quelli che portano l’uniforme per tutta la vita, ma comunque uno che faceva un buon lavoro. Non ci sono elementi che facciano pensare che fosse stato corrotto o che si sia in qualche modo sporcato. Quindi l’impressione iniziale è stata che ci fosse un ammazza-sbirri a zonzo, fino a che qualcuno non ha parlato con il direttore di questo motel.»
L’ingresso del Knights era abbastanza largo da poterci entrare in macchina. In ogni caso, non ci sarebbe stato nessun motivo per farlo perché all’interno c’erano solo un piccolo cortile fatiscente con i resti di una fontana in cemento, e qualche pianta emaciata che cercava senza troppa convinzione di dimostrare che la vita può prosperare ovunque. Sulla destra avevano trovato alloggio una macchina per il ghiaccio e un distributore di Coca-Cola. I poliziotti, che circondavano l’altro lato, si tirarono indietro di malavoglia quando Monroe condusse Nina sulla destra nell’ufficio con la vetrata. Avevano l’aria di qualcuno a cui sia stato impedito di fare un lavoro che ritiene di propria competenza. Dentro l’ufficio c’erano altri quattro poliziotti insieme a un tizio grasso con jeans sformati e una T-shirt immacolata.
«Raccontaci quello che hai detto a loro,» disse Monroe al ciccione. Alto, i capelli tagliati intorno a un’incipiente stempiatura, e con le spalle di uno che al college aveva praticato la boxe, Monroe era uno cui la gente tendeva a rispondere quando lui faceva una domanda.
«Non so niente,» piagnucolò il tipo, per l’ennesima volta. «So solo quello che mi ha detto la pollastrella della 12 quando se n’è andata. Ha raccontato di aver sentito dei rumori provenire dalla porta accanto, ma questo un paio di giorni fa. L’ho detto all’agente solo perché dicono che il tizio che ha sparato al poliziotto aveva i capelli corti e gli occhiali, e così mi sono detto che in effetti la sua descrizione corrispondeva al tipo della 11.»
Nina annuì. I suoi occhi caddero su una rivista seminascosta sotto il bancone. Il direttore colse il suo sguardo e la cosa sembrò dargli un brivido. «Io adoro questa roba,» disse Nina, volgendo lo sguardo verso l’uomo. «Mi fa venire voglia di scopare con ogni uomo sulla faccia della terra. Vuoi fartene una qui, ora?»