Dopo qualche minuto sentii un rumore provenire da dietro la porta, e poi qualcuno aprì. Nell’ombra si stagliava una figura minuta.
«Mrs. Campbell?» domandai.
Lei non disse nulla, ma si sporse lentamente verso la porta intermedia e la aprì leggermente. Attraverso la fessura vidi una donna intorno ai settanta, con i capelli ancora curati, ma con un viso grigio e gonfio; c’era anche un’espressione di profonda sorpresa su quel volto. Mi guardò negli occhi, poi dall’alto in basso e poi di nuovo negli occhi.
«Mio Dio,» disse alla fine, continuando a fissarmi. «Allora era vero.»
Capitolo sei
Quando il telefono squillò Nina era sulla sua cosiddetta sdraio. «Cosiddetta» perché il termine «sdraio» suggerisce un grado di rilassamento e confort che lei semplicemente non poteva permettersi. In teoria era lì fuori per pensare; ma a dire il vero stava dormendo. In ufficio non riusciva a seguire il filo dei suoi pensieri per via del rumore degli uomini che andavano avanti e indietro, che urlavano al telefono, che erano sempre attivi e ostentavano un atteggiamento professionale. Aveva già notato che una delle principali implicazioni dell’essere uomo consisteva nel fatto che dimostrarsi all’altezza, compiere il proprio dovere, non era abbastanza. Doveva essere ben presente agli occhi di tutti che tu eri lì, e che stavi facendo bene il tuo lavoro. Nina trovava che la sua terrazza fosse un posto ideale per pensare, molto meglio del resto della casa. Doveva andarsene, lo sapeva; soprattutto dopo che le cose non avevano funzionato con John, sentiva che quella casa era come infastidita e stanca di lei, e lasciava a desiderare da qualsiasi punto di vista. Era sulle colline di Malibu, il che era fantastico, ma lei poteva permettersi l’affitto solo perché l’edificio cadeva a pezzi. Il pavimento in cemento del soggiorno era spaccato al centro e la fessura era abbastanza larga da infilarci dentro tre dita. La piscina era stata distrutta in un incendio molto tempo prima che lei si trasferisse lì. Una bella scossa di terremoto, e la veranda sarebbe finita nel Pacifico; altre due scosse, e la casa l’avrebbe seguita. Per qualche motivo, la prospettiva non l’aveva mai inquietata eccessivamente. Alcuni fumavano. Nina invece se ne stava seduta in veranda.
Aveva passato il resto della giornata per strada e negli uffici, al telefono, esaminando accuratamente informazioni irrilevanti e ascoltando rapporti sui risultati di una serie di esami del medico legale. Non era emerso niente di utile. Il pigiama era stato acquistato da «Wal-Mart, il che non è mai un buon segno quando si cerca di ricostruire la storia di un oggetto. Quelli della Scientifica stavano ancora esaminando il l’hard disk estratto dalla bocca della donna; una foto del suo volto veniva mostrata in giro per la città da investigatori e agenti di pattuglia. Poteva volerci una vita prima che trovassero qualche corrispondenza. Una donna, un tempo attraente e ora morta. Gli archivi della polizia del paese erano pieni di casi come questo.
Rientrò in casa e trovò un messaggio sulla segreteria. Schiacciò il pulsante, pensando che potesse essere Zandt con una risposta più costruttiva alla sua telefonata di prima. Invece era la sua amica Meredith, una sua ex compagna di studi, che si diceva d’accordo: era il momento che si incontrassero, che cenassero insieme e si facessero una bella chiacchierata. Nina non si ricordava di cosa dovessero discutere, ma convenne che fosse giunto il momento. Era passato almeno un anno da quando il suo sfilacciato gruppo di vecchi amici si era ricostituito. Merry viveva nella Silicon Valley, con un marito e tre bambini, apparentemente senza che la cosa le pesasse, come se avesse vinto un concorso. Ora si preoccupava un sacco per cose che Nina reputava inutili, incomprensibili o semplicemente insignificanti, e per di più la sua acconciatura diventava sempre più indifendibile. Presto sarebbe stato impossibile guardarla al di sotto dei capelli e ripensare ai tempi in cui Nina si era spanciata dalle risate mentre lei vomitava in una serie di gabinetti in occasione di non meglio precisate feste organizzate da alcuni professori nei loro minuscoli alloggi stipati di libri. La ragazza di allora se ne era andata da qualche parte, rispondendo al richiamo dell’happy hour di qualche bar perso in un passato lontano, e aveva mandato al suo posto la Meredith Jackson mamma perfetta per partecipare agli incontri. A sua volta questa donna doveva essere sicuramente sconcertata dalla più recente incarnazione di Nina, che continuava a sembrare una donna senza la minima idea di cosa significasse lavorare. Nina sapeva di dovere mantenere i legami con le vecchie amiche, ma spesso si chiedeva perché queste lo volessero. Forse a Meredith piaceva conoscere un agente dell’FBI o forse a Nina piaceva credere di avere ancora qualche legame con la vita reale, credere che al di là dell’universo che la circondava, costituito da assassini, scrivanie, uomini in giacca e cravatta e notti in bianco, ci fosse ancora qualcuno che non voleva altro da lei che un po’ di conversazione, qualche pettegolezzo e un sorriso. Non aveva avuto il coraggio di fare il grande passo e rispondere al messaggio, e così si mise a pensare. Finì col chiedersi quale era la differenza tra Merry, o lei stessa, e la giovane trovata al Knights quella mattina; a che livello di deriva della vita si dovesse giungere per finire ammazzata in un motel, impregnata del fumo delle sigarette degli uomini arrivati a prendere nota dei tuoi ultimi istanti, le tue orecchie ormai sorde riempite di discorsi confusi sui più recenti eventi sportivi e almeno un’osservazione sulle tue tette. John Zandt — che aveva fatto il poliziotto nella Omicidi della città prima che il Ragazzo delle Consegne rapisse sua figlia — le aveva fatto notare, molto tempo prima, quanto velocemente a Hollywood la vita di una teenager potesse passare dalla A alla B e poi dalla B alla Z; poi c’era il salto dalla Z al cartellino di «Sconosciuta» dell’obitorio. E nessuna di loro sa quanto tutto accadrà velocemente e senza ostacoli. Non si tratta di anni, ma di mesi, forse settimane. Potenzialmente, potrebbe accadere nell’arco di una sola notte. Cominci una sera come la bambina viziata e coccolata di qualcuno e ti svegli il sudicio mattino dopo già privata di tutto ciò che non hai ancora imparato ad apprezzare di te stessa. Tutte pensano di essere delle star, ma in realtà non sono altro che carne da cannone in attesa di vedere amici, amanti e destino infrangere le loro promesse.
Nina entrò in casa e si versò un bicchiere di vino. Quindici minuti dopo stava dormendo. Si svegliò di soprassalto e quando finalmente le giunse il suono del telefono, si alzò barcollando dalla poltrona convinta di arrivare in ritardo: l’impressione era che stesse suonando da molto, come se si sforzasse di strapparla a un sogno in cui un vecchio stava tentando di violentarla in una stanza buia.
Nell’andare a rispondere sbatté sia contro la porta a vetri sia contro il bancone ed era pronta a dirne quattro a Zandt. Ma anche questa volta non era John.
Era Monroe. «Faresti meglio a tornare qui,» disse senza preamboli. «Abbiamo trovato qualcosa.»
Incontrò Monroe nell’ufficio di Doug Olbrich. Olbrich era un tenente della sezione Speciale 1 — la divisione Rapine e Omicidi — che si occupava della raccolta dati per gli identikit e dei casi che presentavano legami tra omicidi e riciclaggio del denaro. Era alto, slanciato e con i capelli a spazzola.
«Ciao, Doug.»
«Ciao, Nina. Come vanno le cose?»
«Come al solito. In realtà è un po’ che non parlo con John, ma se lo avessi fatto, sono sicura che ti avrebbe mandato i suoi saluti.»
Davanti a Olbrich c’era un piccolo fascicolo di carte e qualcosa di chiuso in una busta di plastica trasparente. Sullo sfondo c’erano tre poliziotti che confabulavano attorno a una scrivania. Dal lato della scrivania di Olbrich vicino alla porta stava appollaiato un tipo magro di colore, in maniche di camicia, che Nina ebbe l’impressione di conoscere.