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«Allora perché mi hai chiesto se avevano scoperto qualcosa?»

«Per cercare di distoglierti dall’idea di richiedere ulteriori informazioni.»

«Nina, quand’è che mi dirai che cosa è successo l’anno scorso?»

«Te l’ho già detto, capo,» disse, sorridendo dolcemente. Mentalmente, comunque, si ripeté di fare attenzione. Monroe era tante cose, ma non uno stupido.

In quel momento sulle scale comparve Olbrich con un mazzo di chiavi. «Zinman sta raccogliendo una deposizione,» disse, dirigendosi verso la porta dell’appartamento 7, «ma il tizio non ha niente di interessante da dirci. La ragazza era riservata, e cose di questo genere… E poi quell’uomo ha l’intelligenza di un mucchio di pietre. Siamo pronti?»

Con le pistole in pugno, Nina e Monroe annuirono.

Olbrich bussò alla porta, aspettò, ma non ricevette alcuna risposta. Così girò la chiave e aprì lentamente la porta.

«Siamo della polizia,» disse «uscite fuori.»

Non accadde nulla. Aprì ancora un po’ la porta. Questo gesto rivelò una stanza piuttosto grande, di circa cinque metri per lato. Avendo scelto di rimanere fuori, questo fu tutto quello che Nina vide fino a che gli uomini non entrarono e le dissero che non c’era pericolo. L’appartamento era vuoto.

Quando entrò vide un tavolino da tè e un malandato divano rosso al centro, mentre all’estremità più lontana, sotto la finestra, era stata ricavata una postazione con un computer grigio di tipo piuttosto economico. Alla base del monitor faceva bella mostra di sé una fucina rossa accesa, ma lo schermo era nero. Accanto alla workstation c’era un televisore che era visibile dal divano. Per una visuale ottimale sarebbe stato necessario spostarlo di circa un metro verso sinistra, ma in quella posizione avrebbe bloccato la porta di accesso alla camera da letto dove si trovavano Monroe e Olbrich. Un sottile cavo nero che partiva dal computer era stato steso lungo il pavimento fino a entrare nella stanza. Prima di seguirlo Nina fece un paio di passi oltre l’altro lato del sofà e diede un’occhiata nella piccola cucina con la grande finestra che dava sulla strada. Era in ordine. Nel voltarsi notò una malandata chitarra sistemata nell’angolo dietro il sofà. Era impolverata e senza una corda.

Nell’ultimo angolo della stanza c’era una piccola scrivania, con un paio di blocchi per appunti. Nina alzò con cura la copertina di uno di essi e sbirciò una pagina. Scarabocchi fatti sovrappensiero. Frasi che volevano somigliare a dei versi. Una frase, «La pioggia che non lava mai», era scritta e poi cancellata.

«Vieni a vedere,» disse Monroe.

La camera da letto era piccola, ma abbastanza spaziosa per ospitare un letto a due piazze e un tavolino da toilette. In fondo c’era una minuscola stanza da bagno. Il letto era disfatto. I due uomini stavano osservando un piccolo oggetto sistemato su un treppiedi posto accanto al letto. Era a questo oggetto che arrivava il cavo.

«Una telecamera,» disse Olbrich.

«È una webcam,» lo corresse lei. «Riesci a vedere dove va a finire il cavo?»

Nina lo seguì fino alla stanza principale e alla workstation. Mosse leggermente il mouse con il dorso della mano in modo che i polpastrelli non lo toccassero.

Lo schermo lampeggiò e si riaccese. Al centro apparve una finestra che ne copriva circa un terzo. Mostrava un’immagine del lato del letto dove ancora si trovava Monroe.

«Non toccherò niente,» disse Nina, «ma troverete un cavo del modem che parte dal retro di questa macchina. Jessica aveva un sito web dove la gente poteva osservarla.»

«Da dove?» chiese Olbrich.

«Da qualsiasi parte del mondo.» Si allontanò dalla scrivania. «Una brutta notizia. Il numero dei sospetti è salito a qualche decina di milioni.»

Tre ore dopo Nina era di nuovo al Jimmy’s, seduta in una stanza del piano superiore che apparteneva al proprietario-direttore, che peraltro non si chiamava Jimmy.

«Suona bene come nome di un bar,» aveva detto Mr. Jablowski, quando lei gliel’aveva chiesto, «mentre il mio no.» Avvertito di quella visita mattutina da Don, il barman, aveva scelto per una volta di essere sul posto. Era stranamente agghindato per essere un uomo che possedeva quello che era essenzialmente un cesso di posto per gli alcolizzati pomeridiani in cerca di birra: in fin dei conti, però, ci sono anche tantissimi spacciatori che non consumano in prima persona la loro merce. Don nel frattempo se n’era andato a casa un paio d’ore, per «decongestionarsi» . I detective avevano il suo indirizzo, ma personalmente Nina non credeva che sarebbe stato necessario fargli visita. Certo, non se ne intendeva nemmeno lei di profili psicologici — il che spiega perché, su suo suggerimento, un agente in borghese stava seguendo il barman a casa.

Un altro detective e un agente erano mischiati alla folla di bevitori di mezzogiorno. Una delle cameriere che erano in servizio la sera dell’ultima apparizione di Jessica doveva montare di lì a poco e l’attenzione era comunque rivolta anche all’eventuale comparsa di uomini che rispondessero a una descrizione estremamente generica. In altre parole, le cose lì fuori stavano andando per la tangente. A casa della ragazza invece accadeva il contrario. L’appartamento era passato al setaccio e gli investigatori di tre diversi dipartimenti esaminavano qualsiasi cosa gli capitasse di trovare: leggevano, fotografavano, prendevano impronte.

Nina, nel frattempo, stava parlando a una giovane donna di colore di nome Jean. Quest’ultima era venuta a cercare Jessica perché la sera prima avrebbero dovuto incontrarsi, ma l’amica non si era fatta vedere. E poi anche perché aveva voglia di un drink. Don l’aveva indirizzata dai poliziotti, vincendo l’evidente riluttanza della ragazza.

«Una puttana digitale?» disse Nina ripetendo quello che la ragazza aveva appena detto.

Jean alzò le spalle. «È così che si chiamano. Non significa che tu faccia cose come fare sesso o chissà cosa. Anche ‘cam-girl’ va bene.»

«Per quanto ne sa lei, Jessica è mai entrata nel circuito del sesso a pagamento?»

«Diamine no. E nemmeno io, signora, se lo ficchi bene in testa.»

«Le ragazze che fanno il mestiere non sono ammesse qui dentro,» disse docilmente Jablowski. «Sono inflessibile su questo.»

«Quando lei è qui, il che non sembra accada spesso, caro signore. Le dispiacerebbe lasciarci soli un attimo?»

Il proprietario se ne andò. Nina attese un attimo. «Quindi, Jean, se non ho capito male sei una cam-girl anche tu?»

«Già, sì. Be’, sono stata io a coinvolgere Jessica. Ma, come ho già detto, non si tratta di…»

Nina la guardò dritto negli occhi. «Non sto dicendo che si tratti di qualcosa, Jean. La prostituzione via Internet è un campo nel quale sono praticamente ignorante. Nonostante questo, ho bisogno di sapere e subito. Potrebbe esserci un legame con il fatto che Jessica non è più qui. Dunque perché non mi dici semplicemente come funziona?»

La ragazza tornò a sedersi, accese una sigaretta e parlò.

Prostituirsi era una cosa, disse, e tutti sapevano come funzionava. Ma collegare una webcam era diverso. Non si incontrava nessuno, non c’erano rischi, non scambiavi alcun fluido organico. In realtà non facevi proprio un bel niente. Ti toglievi i vestiti e basta. Facevi le stesse cose che avresti fatto normalmente, solo che eri nuda: guardare la tv, pulire la cucina. Se avevi il fidanzato, magari lasciavi la telecamera accesa, o la giravi dall’altra parte, era lo stesso. La cosa bizzarra era che per certi spettatori, meno facevi meglio era. Jean una volta aveva avuto una giornata incasinatissima e non aveva girato in mutande, si era completamente dimenticata della telecamera e aveva continuato a fare la sua vita normale — il giorno dopo aveva la posta piena di e-mail torride che la osannavano per «la grande eccitazione» che aveva procurato. Quando si trattava di sesso gli uomini erano fuori di testa, Jean ne era convinta. Quando credevi di averli inquadrati, facevano o dicevano qualcosa che ti faceva capire che non avevi nemmeno grattato la superficie del loro essere fottutamente schizzati. Ogni tanto le veniva uno stronzissimo impulso di cazzeggiare con le loro menti. Di sedersi con aria serena e poi tirare fuori un foglio con su scritto «Ieri sera ho cucinato qualche merdata vegetariana e l’appartamento puzza ancora come le interiora di una mucca»; di uscire appena dal campo della telecamera e fare qualcosa di veramente volgare e sexy, che avrebbe fatto strabuzzare loro gli occhi se solo avessero potuto vederlo. O lanciare una scoreggia da guinness e rimanere seduta a sorridere alla telecamera, sapendo che non importava quanto fossero grandi e piatti i loro schermi, perché essi non gli dicevano nulla che riguardasse il suo mondo.