Subito Tom non riuscì a identificare cosa aveva davanti agli occhi. Poi sentì un brivido lungo la schiena.
«Li si può comprare da Cle Elum,» disse. «È una stupidaggine, me ne rendo conto, ma sa, è anche divertente. Me li aveva comprati mio marito per scherzo.»
Tom continuò a fissare un paio di scarponi nuovissimi, con l’estremità superiore di pelliccia e i piedi di plastica marrone, completi di cinque ditoni.
Phil accompagnò fuori la donna. Forse era solo una sua idea, ma Tom aveva l’impressione che il vicesceriffo si sentisse un po’ mortificato per lui. A ogni modo, sperava che fosse così. Non c’erano in vista altri candidati alla comprensione nell’arco di centinaia di chilometri.
Connelly gettò un’occhiata all’orologio sul muro. Infilò la mano nel taschino della camicia, tirò fuori un malconcio pacchetto di sigarette e ne accese una.
«Che giornata del cavolo,» disse. «Più movimentata di quanto avrei scommesso svegliandomi, questo è certo.» Fece cadere un po’ di cenere sul tavolo. «Non è che succeda molto da queste parti, come credo avrà immaginato. E credo anche che lei abbia capito che mi piace che le cose continuino ad andare in questo modo.»
Tom scosse la testa. «Io so cosa ho visto.»
«Lei non ha visto un cazzo di niente, Mr. Kozelek.» Gli occhi grigi del poliziotto erano freddi. «Lei si è inoltrato nel bosco perché aveva in mente un’idea malsana e non starò nemmeno a parlare di quanto una cosa del genere sia irresponsabile quando il lavoro di altre persone è di venire a cercarla indipendentemente dalle motivazioni che l’hanno spinta. Lei si è strafatto di alcool e pillole e poi ha visto un orso, o ha avuto un’allucinazione o il diavolo sa cos’altro.»
Tom si limitò a scuotere la testa.
Connelly spense la sigaretta. «Faccia come le pare. Non le dirò di levare le tende stasera, perché ha avuto un paio di giorni difficili, e contrariamente a quanto lei possa pensare io sono una persona ragionevole. È ridotto come uno straccio e ha bisogno di mangiare e di dormire un po’. Perché non va a farsi una dormitina e magari domani mattina fa un pensierino di andare a vedere le altre belle cittadine che ci sono qui intorno? Snohomish, per esempio, l’antica capitale del Nord-ovest. O magari addirittura Seattle. C’è l’aeroporto laggiù.»
«Non vado da nessuna parte.»
«Sì invece.» Connelly si alzò, stiracchiandosi. Le ossa scricchiolarono. «E presto. Vuole il mio consiglio?»
«Non so cosa farmene.»
«Ringrazi il cielo di esserne uscito. Si rallegri di non essere stato attaccato da un buon vecchio orso e di non essere morto là fuori sulle montagne. Lasci perdere. Perché qui c’è dell’altro.»
Guardò oltre il vetro e vide il suo vice sulla soglia che si infilava il giaccone, pronto, come da istruzioni ricevute, ad aiutare Kozelek a trovare un posto in città dove stare per una sola notte. Nonostante questo abbassò leggermente la voce. «Mentre venivo qui ho fatto delle ricerche su di lei.»
Tom fissava la schiena dell’uomo, rendendosi improvvisamente conto che se quel suo viaggio nell’abisso e ritorno poteva aver cambiato lui, il mondo esterno non era cambiato affatto. Non era stata eliminata nessuna delle parti della sua vita che non gli piacevano. Qui, la squallida e interminabile serie che aveva vissuto continuava ad avere successo, nonostante il fatto che il suo spettatore principale — lui stesso — fosse convinto che fondamentalmente faceva schifo.
Connelly si voltò a guardarlo. «So quello che ha fatto.»
Capitolo undici
Per prima cosa trovai ad attendermi al bancone un pacco da parte di Nina. Chiesi al ristorante di racimolare tutto il caffè che avevano e di mandarlo in camera mia, e poi mi diressi al piano di sopra. Non ero molto ottimista sul fatto di poter fare qualcosa per lei — sia il dipartimento di polizia di Los Angeles che la CIA avevano messo della gente esperta a occuparsi del caso — ma era comunque qualcosa che potevo fare mentre aspettavo John Zandt.
Sistemai la mia apparecchiatura sul tavolo e cominciai. Quando aprii il pacco vi trovai una piccola busta di plastica, semitrasparente, studiata per proteggere dall’elettricità statica, che è la causa principale dello sputtanamento di apparecchiature elettroniche delicate. A parte il farle cadere, naturalmente. Dentro c’era un piccolo hard disk e attaccato a esso un biglietto di Nina: «Fai molta, molta attenzione. È l’originale. Trova qualcosa per me e poi restituiscimelo subito».
Prima di qualsiasi altra cosa, chiamai Nina sul cellulare. Sembrava infastidita e distratta. «Sono contenta che ti sia arrivato,» disse. «Ma non credo che ci porterà da nessuna parte. La polizia di Los Angeles ha appena ricostruito la sua storia. Hanno trovato il tizio che ha comprato il portatile originario, un parassita dell’industria cinematografica di nome Nic Golson, che però aveva anche una ricevuta che attestava che il portatile era stato venduto a un negozio dell’usato di Burbank nel luglio dell’anno scorso. Gli avevano fatto credere che sarebbe stato ingaggiato per una sceneggiatura importante, ma poi non se ne era fatto niente, e lui ha deciso di sbarazzarsi dell’apparecchio. Dopo, qualcuno lo ha ricomprato in contanti, ne ha prelevato questo pezzo e ha buttato il resto da qualche parte che non sapremo mai. In questo momento stanno interrogando gli impiegati del negozio, ma questo assassino mi sembra più intelligente.»
«E come mai io ho il disco originale?»
«Ho usato le mie astuzie femminili.»
«Hai delle astuzie?»
«Ne rimarresti sorpreso. In realtà anch’io. Forse si è trattato solo del grado.» Ammise di avere fatto pressioni su un topo di laboratorio della polizia di Los Angeles dopo che io le avevo detto che una copia non sarebbe servita a nulla. Il tizio si dimostrò disposto ad assecondarla, non ultimo perché avevano già fatto tutto quello che potevano con il disco. Le impronte erano già state prese, quindi non c’erano problemi a toccarlo, però…
Le dissi che avrei fatto attenzione.
Poi riagganciai e diedi un’occhiata a quell’oggetto che, ora lo sapevo, aveva passato un po’ di tempo conficcato nella bocca di una donna morta. Non avrei saputo dire se era più inquietante questo fatto o il rischio che aveva corso Nina.
Arrivò il caffè e ne bevvi un po’ fumando una sigaretta. In questo modo le sfide del mondo risultavano più abbordabili. Tirai fuori un cavo di mia proprietà che aveva, a un’estremità, un plug Firewire e dall’altra un Oxford Bridge. Infilai delicatamente i connettori del disco in quest’ultimo e il plug sul retro del portatile di Bobby. L’icona del disco apparve sul desktop.
Lo aprii ed ebbi la conferma di quanto mi era stato detto. C’erano due file, un brano musicale salvato in formato MP3 e il messaggio. Nina mi aveva detto che la citazione all’inizio del testo era stata riconosciuta come appartenente a uno scrittore tedesco chiamato Heinrich Heine. La copia del Requiem di Fauré proveniva da un’edizione di grande pregio risalente ai primi anni ’60, il che a sua volta non significava nulla. Un’esecuzione di musica classica ha sempre un che di atemporale, e le più recenti non sono necessariamente le migliori. Il massimo che riuscii a ricavare dalla musica fu il dato che era stata digitalizzata a 192 k/sec in joint stereo, un’impostazione di qualità abbastanza elevata. Considerato che la maggior parte delle persone non riesce a percepire la differenza tra 192 e 160, allora forse questo fatto stava a significare che il file era stato realizzato per essere suonato su un apparecchio stereo di qualità, che avrebbe potuto rivelare le lacune di una copia realizzata con un rapporto inferiore; o più semplicemente — e più ovviamente — la musica aveva un’importanza per la persona che ce l’aveva messa. Un bell’affare, in entrambi i casi. Lo ascoltai diverse volte e notai quello che sembrava un leggero sibilo e quasi sicuramente uno o due grattamenti. Esisteva la possibilità che l’MP3 fosse stato creato partendo da un vinile. Appariva improbabile che un esperto di computer disdegnasse completamente i CD, quindi questo forse stava a significare che la persona possedeva un LP di quella musica che aveva per lui un qualche valore affettivo. Anche in questo caso, bell’affare.