«Non precisamente,» dissi. «Ho visto che là c’erano delle lettere, ma sembrava semplicemente che facessero parte del casino generale.»
Infilò la mano in una tasca e tirò fuori un piccolo pezzo di carta lucida. «Questa è una delle foto che ho scattato,» disse. «Stampata accentuando il contrasto. Ora la vedi?»
Osservai la foto da vicino. Indubbiamente c’erano delle lettere incise sulla porta. Se si studiava a fondo l’immagine si riusciva a scorgere la parola o il nome «Croatoan». La scritta risaliva a molto tempo prima, ed era parzialmente oscurata dal successivo deterioramento dovuto alle intemperie e da segni aggiunti in un secondo tempo. «E significa?»
«La mia idea era che potesse essere il nome di qualche vecchia compagnia mineraria o qualcosa del genere, ma non sono riuscito a trovarne. L’unico riferimento che ho trovato a questa scritta è strano.»
Spinse verso di me uno spesso plico di fogli. Era un testo scritto fittamente in diversi caratteri tipografici, diviso in sezioni, e raccolto sotto il titolo generale «Roanoke».
«Spero ci sia un riassunto.»
«Hai già sentito parlare di Roanoke, vero? Quella sulla East Coast?»
«Sì, vagamente,» dissi. «Un gruppo di persone sparì molto tempo fa. O qualcosa di simile.»
«In realtà sparirono due volte. Roanoke fu il primo tentativo inglese di insediare una colonia in America. L’esploratore inglese Walter Raleigh aveva ricevuto da Elisabetta I una striscia di terra, sotto forma di concessione. Nel 1584 Raleigh mandò una spedizione per scoprire che cosa avesse ottenuto: per l’esattezza, esplorarono una zona chiamata Roanoke Island, sulla costa di quello che ora è il North Carolina. Diedero una prima occhiata, presero contatti con la tribù locale — i Croatoan — e decisero di tornare in Inghilterra. Nel 1586 partì un secondo gruppo di cento uomini. Non gli andò altrettanto bene: non si erano portati viveri a sufficienza, ebbero dei problemi con gli indigeni perché non li trattarono abbastanza bene e alla fine, eccetto quindici, furono tutti ricondotti in patria da una nave di passaggio. Raleigh, però, era desideroso di insediare stabilmente una colonia e così l’anno dopo un ulteriore gruppo venne inviato per assicurarsi che questa nuova «Virginia» si fosse consolidata. Alla loro guida pose un uomo di nome John White, che designò come governatore. Partirono centodiciassette persone. Uomini, donne, bambini — l’idea era che la presenza di gruppi familiari avrebbe reso tutto più definitivo. Fu detto loro espressamente di non dirigersi verso Roanoke Island, ma… fu proprio lì che alla fine arrivarono. Trovarono le fortificazioni costruite dal gruppo precedente, ma nessuna traccia dei quindici lasciati a presidiarle. Andati via. Spariti. White ristabilì le relazioni con i Croatoan, i quali dissero che una ‘tribù nemica’ aveva attaccato il forte e ucciso almeno alcuni dei soldati. White era ovviamente incavolato, e quando venne ritrovato il cadavere di uno dei coloni, decise di attaccare la tribù dei cattivi locali, i Powhatan. Solo che i suoi uomini mandarono tutto a puttane uccidendo invece alcuni Croatoan, presumibilmente sulla scorta del buon vecchio principio: «Per me si assomigliano tutti.»
Scossi la testa. «Bel lavoro.»
«Così, naturalmente, i Croatoan, di punto in bianco e comprensibilmente, dimenticarono qualsiasi precedente benevolenza — e si rifiutarono di fornire del cibo. I coloni erano arrivati in estate, troppo tardi per seminare, e il poco che si erano portati stava andando a male.»
«Erano un po’ idioti i primi colonizzatori.»
«Idioti o audaci. O entrambe le cose. White decise di tornare in Inghilterra per far provviste. Non c’era altra scelta. Venne stabilito che se fossero andati all’interno, i coloni avrebbero lasciato dei segni che indicassero il percorso seguito. Inoltre, se si fossero allontanati in seguito a un attacco, avrebbero intagliato una croce in qualche punto facilmente individuabile. Il problema fu che quando White tornò in Inghilterra scoprì che il paese era in guerra contro la Spagna — e dovettero passare tre anni interi prima che potesse far ritorno a Roanoke.»
Ci pensai su per un attimo. Abbandonato in una terra straniera con un vicino che ti odia e il cibo che scarseggia. Il capo se ne torna a casa e rimane lontano quasi per il periodo che intercorre tra due Olimpiadi. «E quando ritornò, cosa trovò?»
«Spariti. Tutti quanti. Scomparsi. Nessuno in vita, nessuna traccia dei loro corpi. Gli effetti personali abbandonati. Nessuna croce intagliata. C’era però la parola ‘Croatoan’ incisa su un pilastro del cancello.»
«Okay,» dissi. «È una cosa che mette un po’ i brividi. Quindi, cos’era successo?»
«Questa è l’ultima notizia sicura a conoscenza di chicchessia. White avrebbe voluto sapere che fine avessero fatto le persone che aveva lasciato laggiù, ma il capitano e la ciurma se ne fregarono altamente, e così lui fu costretto a tornare in Inghilterra. Cercò di organizzare un’altra spedizione alla fine del 1590, ma questa volta Raleigh e i suoi investitori avevano perso qualsiasi interesse. Da allora molte persone hanno cercato di ricostruire la storia, a partire da un tizio di nome John Smith che si trovava nell’insediamento di Jamestown vent’anni dopo.»
«E?»
«Smith parlò con gli indigeni e si fece alcune idee che poi sono quelle che circolano ancora oggi. Sembra che la parola ‘Croatoan’ non indicasse solo una tribù, ma anche un’area geografica vasta e non molto ben definita. Quindi poteva essere stata incisa per indicare una destinazione, come era stato stabilito con White. Oppure avrebbe potuto significare che i Croatoan stessi avevano cambiato atteggiamento, e avevano cominciato ad aiutare gli sfortunati coloni. Oppure ancora che i coloni erano stati attaccati dagli indiani ed erano stati costretti a ripiegare nell’entroterra. Qualunque sia l’ipotesi giusta, v’è implicita la possibilità che alcuni o tutti i colonizzatori (alcune teorie pretendono che gli uomini siano stati tutti uccisi, e che fossero risparmiati solo donne e bambini) si siano integrati in una tribù locale, e ci sono un paio di popolazioni indigene — particolarmente i Lumbee — che avanzano in tal senso rivendicazioni pluriennali, alcune delle quali sembrano piuttosto fondate. Questa teoria ha cominciato a essere presa sul serio a partire dalla metà del diciannovesimo secolo e ci si è speculato sopra fin dai tempi di Jamestown. Ci sono storie su incontri, avvenuti verso la metà del diciassettesimo secolo, tra un ministro del culto ed alcuni indigeni amici che parlavano inglese, e c’è chi racconta di un esploratore tedesco, di cui non sono riuscito a rintracciare il nome, che sosteneva di avere avuto incontri con ‘una potente nazione di uomini con la barba’ — cioè con possibili discendenti dei colonizzatori.»
Avevo creduto che le incisioni sulla porta della capanna non avessero avuto grande impatto su di me, ma mentre John diceva queste cose, mi sentii improvvisamente gelare, sperduto in mezzo al nulla, in compagnia dei morti.
Zandt agitò un braccio per attirare l’attenzione del cameriere. Quest’ultimo cercò di spiegargli che era occupato, ma poi colse l’espressione degli occhi di Zandt e andò immediatamente a prendergli un’altra birra. «Il problema è di capire perché la scritta era incisa sulla porta della capanna che abbiamo trovato noi.»
«Che sia una citazione?» dissi. «Un qualche riferimento al mistero di Roanoke? Ma che senso avrebbe?»
«Sta cercando di dirci qualcosa.»
«Detto sinceramente, non credo che quel posto abbia qualcosa a che fare con Paul. Non c’era niente che ci permettesse di collegarlo a lui. E poi, perché dovrebbe importargli? Perché lui dovrebbe desiderare di dirci qualcosa?»
«Ha passato metà del periodo durante il quale Sarah Becker è stata sua prigioniera istruendola. E poi c’è quel pezzo che trovasti in rete tre mesi fa, la diatriba sul fatto che tutta l’umanità, a eccezione degli Uomini di Paglia, sarebbe stata infettata dal virus della socializzazione che ci avrebbe fatto iniziare a coltivare la terra. La sua missione è quella di informare.»