Avevano a disposizione molti servizi e il resto non richiese molto. Fecero spostare le casette seguendole ritualmente lungo la costa con la loro auto. Una dovette essere praticamente ricostruita a destinazione, un costo che loro non avevano previsto, ma quando le vide tutte al loro posto Patrice rimase immobile a osservarle con le lacrime che le scendevano lungo le guance. Non si voltò verso Bill. Sapeva che a lui non piaceva vederla piangere.
Il bungalow numero 2 fu posizionato vicino al lago, quello adibito a ufficio un po’ più distante e la casa per gli ospiti dall’altro lato. Dopo una settimana che si trovavano sui loro lotti, Bill e Patrice capirono che quello era il posto dove ormai avrebbero vissuto. Vendettero la casa di Portland, si liberarono della maggior parte delle loro cose e si misero al lavoro. Bill sistemò e adattò i bungalow destinati all’ufficio e agli ospiti, scoprendo doti che non si era mai reso conto di avere. Patrice sistemò il terreno intorno alle case prima che arrivasse la neve, e poi si sedette davanti al fuoco con cataloghi di piante e semi, facendo progetti per la primavera. Passarono il Natale a Sheffer, imparando a conoscere la città, cosa offriva, e cosa non aveva. Entrambi i figli telefonarono il giorno di Natale, il che fu bello.
Il 1° gennaio 2001 Bill condusse Patrice fuori dal bungalow per mostrarle una panchina che aveva costruito intorno all’albero più grande vicino al lago, trasportando a mano, da solo e in segreto, i pezzi di legno. Si sedettero insieme tremanti, bevvero un grosso thermos di vin brulé e lei si scaldò tra le sue braccia, felice come non era mai stata nella sua vita.
A marzo scoprirono che Bill aveva un tumore ai polmoni. Quando, quattro mesi dopo, morì, Patrice avrebbe potuto sollevarlo con una mano sola.
Capitolo quattordici
Da qualche parte su uno schermo una giovane donna in lacrime siede su un divano, prigioniera del passato. Il divano è fatiscente e coperto da un tessuto simil-camoscio color ruggine, che ora comincia a mostrare la sua età. Il muro alle spalle è bianco e vi sono appesi uno specchio e un grande quadro di discreta fattura raffigurante dei tulipani. La donna è decisamente in buona forma e abbronzata, a eccezione dei pallidi triangoli sul seno; è nuda eccetto per un paio di pantaloncini bianchi attillati. Nella mano destra tiene una sigaretta, la sinistra è tra i capelli che sono lunghi e castani. Il viso è bagnato e contratto, gli occhi aperti ma fissi. Di fronte a lei c’è un tavolino sul quale si trovano un grosso posacenere di vetro, due telecomandi e una tazza di caffè mezza vuota. È l’inizio di una mattina di domenica e lei sembra essere alle prese con i postumi di una sbornia notevole.
Finisce di fumare la sigaretta e la spegne. Le immagini si succedono con evidenti salti, perché anche se sei cliente di questo sito da ormai tre mesi, il software che usi per guardare — uno shareware CamFun comprato a 12,95 dollari — è configurato per aggiornare l’immagine solo ogni due minuti. La maggior parte delle persone si connette alla pagina usando un browser come Microsoft Explorer. Tu invece usi CamFun, perché ti permette di salvare le immagini più facilmente, archiviandole sull’hard disk come una serie di immagini in sequenza che puoi riguardare quando vuoi — come del resto adesso, che stai guardando qualcosa che è successo diverse settimane prima. Il sito non è stato modificato da qualche giorno, il che è strano. L’altro motivo per cui usi il software è che puoi scegliere la frequenza con la quale le immagini si succedono. Puoi scegliere la comodità dell’update ogni quindici secondi riservato solo agli abbonati, oppure optare per un aggiornamento ogni tre immagini, o ogni sei — il che significa ogni minuto, o due. Questo può apparire un po’ illogico considerando che paghi 19,99 dollari al mese per un accesso a velocità più elevata, che si suppone faccia sembrare l’esperienza più reale. Per te ha esattamente l’effetto opposto. Una scena aggiornata ogni venti secondi sembra qualcosa filmato da una telecamera di sicurezza: il modo in cui rappresenta la realtà implica che ciò che manca non è importante. Invece lo è. La realtà dell’originale si perde in queste omissioni infinitesimali. Se invece porti l’intervallo a uno o due minuti, la differenza è sostanziale. Ciò che manca sembra dilatarsi, dando maggior peso alle immagini e caricandole di senso grazie alla durata; è come una catena di attimi, di stasi che si trasforma in movimento improvviso, una danza alla balbuzie del tempo. Il periodo di tempo durante il quale aspetti l’aggiornamento carica la scena di aspettativa. Due minuti sono un tempo sufficiente perché una persona si sposti da un’estremità del divano all’altra, come per magia, o perché si accenda una sigaretta e ne consumi metà, apparentemente in un istante. È un tempo sufficiente per far sparire una donna, per farla andare dal divano alla cucina, e poi dalla cucina di nuovo al divano. Ed ecco che… blip — scomparsa. Dove? Fuori campo, dal radar/dal pianeta, tuttavia pur sempre nel suo appartamento. Blip — eccola di nuovo. Due minuti sono un intervallo di tempo reale in cui possono accadere delle cose.
La seminudità della donna ha qualcosa di immateriale. Certo, non del tutto: le webcam di quelle interamente vestite suscitano un interesse di nicchia. Esistono giovani donne intelligenti e sensibili con i loro weblog pieni di Pensieri Profondi e Veramente Personali (quanto sarebbe imbarazzante se potessero leggersi l’un l’altra e scoprire così che hanno avuto tutte gli stessi Pensieri Profondi e Veramente Personali), ma a te non interessano. Questa ragazza è carina. Ti piace osservare il suo corpo ogni tanto, ma tu non sei come gli altri pervertiti e in ultima analisi è lei che stai guardando, non il seno — buon per te, perché non lo scopre molto spesso. Tu osservi lei, è proprio questa donna che ti incuriosisce.
È questa donna, che ha scelto di organizzare la propria vita in questo modo, di avere una finestra nel suo appartamento attraverso la quale le persone — uomini investiti dal flusso catodico o inghirlandati dal chiarore degli schermi piatti, seduti nelle loro camere da letto in stanzette sparse per il mondo — possono sbirciare. Questa donna, che ha una chitarra acustica che suona ogni tanto, ma non per molto tempo; che quando è a casa si scola mezza bottiglia di Jack Daniel’s in una notte; che occasionalmente fa sesso poco impegnativo sul divano — incontri dei quali non ti interessa molto, per non dire nulla, sebbene tu ne abbia salvato qualcuno sul tuo hard disk e in quelle occasioni tu hai aumentato il frame rate. Durante questi episodi lei non gioca con la telecamera e tu sospetti che si sia semplicemente dimenticata della sua presenza.
È questa donna, che per qualche ragione sedeva da sola e in lacrime una domenica mattina di quattro settimane prima. Hai già guardato il filmato in precedenza e lo trovi affascinante per motivi che non riesci a spiegarti. A un certo punto la ragazza diventa invisibile, rimane nascosta per un altro intervallo di due minuti e poi riappare sul divano. Nel frattempo si è accesa un’altra sigaretta e indossa una vestaglia blu. Si è tirata indietro i capelli che adesso le ricadono dietro le orecchie. Non sta più piangendo, anche se il suo viso appare cupo e contratto. Hai l’impressione che stia guardando di lato, fuori da una finestra, anche se non hai mai visto direttamente quel muro dell’appartamento. Due minuti dopo i suoi piedi sono sul tavolino, lei si osserva le ginocchia e la sigaretta è quasi finita. Appare stanca e rassegnata.