I McCain erano in piedi e la guardavano. Il loro avvocato era confinato in fondo alla stanza e non aveva un’espressione felice.
«Mia moglie dice che le dovrei dare questo. Il mio avvocato non è d’accordo.»
Il marito le stava porgendo qualcosa. Era qualcosa di più piccolo di un libro tascabile ma lo spessore era uguale.
«Che cos’è?»
«L’hard disk del mio portatile. Io…»
Sua moglie fissava il pavimento. «Continua, Greg.»
«Ci sono sopra alcune foto,» disse. «E anche qualche filmato, scaricato da quel sito. Non so se possano esserle d’aiuto, ma…»
Sua moglie completò la frase per lui. «Non lo vogliamo in casa.»
Nina prese il disco. «Credo che potrà esserci molto utile.»
Una volta che l’oggetto non fu più in suo possesso, le spalle dell’uomo sembrarono sprofondare per il sollievo. Nina si rese conto che quella serata, ben lungi dall’essere un disastro su tutta la linea, avrebbe potuto anche volgere a favore dell’uomo. Una piccola colpa minore da borghesuccio era stata messa in piazza, e il destino lo aveva liberato di quel suo segreto. Certo, sua moglie, sentendosi ferita, gliel’avrebbe fatta pagare cara, e per un po’ lui avrebbe dovuto accettare il ruolo del coglione di casa. Ma se non altro sarebbe stato un argomento di conversazione.
Ma non era più un segreto, e il fatto di essere riuscito a spalancare le finestre dei propri luoghi oscuri, poteva valere il prezzo pagato. Sua moglie non l’avrebbe lasciato: avevano questa meravigliosa vita insieme, e chi cazzo aveva voglia di rincominciare con gli appuntamenti? Nel giro di un paio di mesi, la vergogna di questa serata si sarebbe addirittura potuta trasformare in una vita sessuale nuovamente ricca di stimoli.
Alcune persone si limitano a rimanere a galla.
«Non sapevo che fosse morta,» disse l’uomo. «Mi dispiace sentirlo.»
«Le circostanze della sua morte non sono state riportate in modo completo e vorremmo continuare a non farlo.»
L’uomo annuì e distolse lo sguardo. Sua moglie fece un passo indietro come se inconsciamente si volesse distaccare da quella serata, ma poi avanzò assieme al marito per accompagnare Nina alla porta: in effetti, per vederla andarsene da casa loro — era una donna che fronteggiava un’altra donna con un atteggiamento tale che gli uomini non avrebbero mai potuto intuire cosa nascondesse. Dire le cose senza dirle, fare pressione senza nemmeno alzare una mano.
Mentre percorreva il vialetto verso le macchine, Nina arrischiò un’iniziativa illecita e infilò il disco in tasca prima che gli uomini potessero accorgersi della sua esistenza. L’indomani l’avrebbe aggiunto al resto delle prove, così com’era.
Ma non quella sera.
Capitolo quindici
Arrivai da Nina a metà mattinata, il tassista che mi aveva accompagnato guardò la casa con aria perplessa.
«Vive qui?»
«Ci abita una mia amica.»
«Un’amica coraggiosa,» disse, e ripartì.
Percorsi il ripido sentiero che portava all’ingresso della casa. Ero stato da Nina solo una volta in precedenza, tre mesi prima: una notte avevo dormito sul sofà dopo che lei, Zandt e io avevamo restituito Sarah Becker alla sua famiglia. Da allora non sembrava essere accaduto nulla di buono all’esterno della casa. L’immobile era stato costruito seguendo il vecchio stile californiano: una fila di stanze quadrate con un angolo cottura che rendeva il tutto simile a una L, come in un piccolo motel. Probabilmente negli anni ’50 doveva essere stato un modello di abitazione importante, un esperimento pilota per un’abitazione a equo canone, ma ormai si poteva essere sicuri che edifici come quelli avevano i giorni contati.
Bussai alla porta. «È aperto,» disse una voce in lontananza. Quando entrai vidi che Nina era sul balcone che parlava al telefono. Mi rivolse un cenno di saluto senza guardarmi.
Depositai la mia borsa e gironzolai per un minuto nel salotto. O in quello che era. Non sembrava esserci stata molta vita lì di recente. Non era particolarmente polveroso o decisamente sporco, ma solo perché la stanza non conteneva praticamente nessun oggetto personale eccetto le mensole di libri e i faldoni dei dossier allineati su lunghi scaffali nell’altro lato della stanza. Andai in cucina e aprii il frigo. Dentro c’erano due bottiglie di vino, un cartone di succo d’arancia e una confezione di latte. Nient’altro, così come non c’era nulla nelle credenze. Nina evidentemente si sostentava solo con carburante liquido.
Quando mi voltai verso la zona principale essa mi apparve in qualche modo ancora più silenziosa e immobile. Una volta avevo letto di come nell’Inghilterra del primo millennio le popolazioni locali usassero i resti abbandonati delle ville romane e le rovine delle chiese come riparo per i loro viaggi attraverso una terra largamente disabitata. Chiamavano questi posti «freddi rifugi», perché se da un lato vi si poteva trovare riparo per una notte contro gli elementi, dall’altro non ospitavano nessun altro essere vivente o calore umano. La casa di Nina mi faceva lo stesso effetto e lo pensai in quanto persona esperta, che aveva alloggiato in squallidi motel e fabbriche con le finestre sigillate da tavole di legno, e ai muri grandi cartelli con scritto «Da demolire».
«Ward.»
Guardai oltre e vidi che Nina non era più al telefono e si trovava sulla soglia. I suoi capelli erano un po’ più lunghi e sembrava che lei avesse perso qualche altro chilo da una corporatura che era sempre stata snella. Qualcosa di lei mi faceva venire in mente qualcosa o qualcuno, ma non riuscii a capire subito cosa fosse.
«Dovresti chiamare la polizia,» dissi. «Qualcuno ti ha rubato tutte le provviste.»
«Non hai cercato abbastanza bene. Sono tutte sistemate dove ne ho bisogno: in un supermarket.»
«Almeno hai del caffè, sul posto? O per quello ci pensa Starbucks?»
Scoprii che ne aveva una grande quantità.
«Ho fatto tutte le prove che ho potuto col software,» dissi restituendole il disco. «E non ho cavato un ragno dal buco. Ci sono ancora un paio di tentativi che potrei fare, ma possono lasciare tracce, quindi li farò sulla copia, se ce l’hai ancora. Il succo del discorso è che chiunque abbia ripulito il disco lo ha fatto con mano da esperto. È molto, molto vuoto. Mi dispiace. A volte… lì non c’è niente.»
«Non ti preoccupare,» disse Nina. Era appoggiata alla ringhiera del balcone e fissava il mare coperto di foschia. «Sapevo che era un’impresa quasi impossibile.»
«Hai fatto qualche progresso per la cattura del tizio?» Tenni la mia sedia il più possibile indietro sul balcone, allo scopo di aumentare almeno in parte le mie chance di sopravvivenza nel caso avesse ceduto di schianto. Forse avrei potuto lanciarmi e afferrare l’intelaiatura della porta o qualcos’altro. Forse Nina avrebbe potuto afferrare il mio piede.
«No. I poliziotti stanno interrogando i principali frequentatori del suo sito. Non sono molti e nessuno di loro sembra essere la persona giusta. Abbiamo fatto due chiacchiere con il fan numero uno, ma anche da quella parte non credo ci sia qualcosa. Abbiamo una descrizione piuttosto generica dell’uomo con il quale la ragazza è stata vista la notte in cui è morta, ora sappiamo che ogni tanto lei serviva ai tavoli: i poliziotti hanno interrogato le persone che lavoravano con lei. Questo è tutto.»
«Comunque, sappiamo chi era quella ragazza?»
Nina scosse la testa. «Veniva dalla Bay Area. La polizia di Los Angeles sta ancora cercando di rintracciare la sua famiglia a Monterey. Hanno un indirizzo che credono sia valido, ma sembra che i genitori siano in vacanza. Le sue poche conoscenze di Los Angeles sembra non sappiano nulla del suo passato. Sai come sono queste persone: ieri è stata una brutta giornata — allora perché non dimenticarlo? Avresti dovuto vedere quella sua amica, Jean. Apparentemente erano grandi amiche — avevano la stessa iniziale e via discorrendo, stavano un sacco al bar, sai, proprio come due amiche per la pelle. Ora lei è morta e l’atteggiamento di Jean è del tipo: ‘Che fregatura. Dov’è la prossima festa?’.»