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«Carina.»

«Che ti aspettavi? La gente cancella il proprio passato in tempo reale. Jessica era una ragazza che viveva in un appartamento e ogni tanto si sentiva triste, che beveva troppo e che alla fine è morta. Questo potrebbe essere tutto quello che sapremo di lei.»

La sua voce era andata calando nelle ultime frasi, fino a diventare poco più di un borbottio.

«Nina, tutto okay?»

Si voltò verso di me. I suoi occhi erano verdi e luminosi. «Certo,» rispose con voce più alta. «Semplicemente non conosco la risposta alla tua domanda. Chi era? Dimmelo tu. Aveva un nome e una chitarra. Era viva, e adesso è morta. Quando arriverà il giorno del Giudizio, questo è tutto quello che si potrà dire di chiunque.»

«Una visione deprimente, ma non era quello che intendevo. Era John al telefono? Puoi lasciare da parte frasi del tipo ‘È andato a fare compere’, comunque. Ho già intuito che non state più insieme.»

Nina aprì la bocca, ma poi cambiò idea e rimase in silenzio.

Insistetti. «Allora, dov’è?»

«Non lo so,» mormorò. «Ci sono voluti un giorno e mezzo di messaggi perché mi richiamasse e ottenessi cinque minuti di risposte evasive e poi il segnale di linea libera. Non sto cercando di ossessionarlo. Abbiamo chiuso e questo a me sta bene. Sono solo preoccupata. Si sta comportando in modo strano, più strano del solito.»

«Cosa vi è successo?»

«Hai fatto la stessa domanda anche a lui?»

«Sì.»

«E cosa ha risposto?»

«Niente di comprensibile.»

«Lo immagino.» Sembrò rassegnata. «Semplicemente non ha funzionato, Ward. Forse è vero che non si può tornare indietro, e poi noi non è che avessimo molto da rivisitare. Avevamo una cosa in comune — forse due: il tempo passato insieme prima che Karen fosse uccisa e il fatto che nessuno di noi farà mai parte della schiera degli innamorati a vita.»

«In più siete entrambi un po’ inquietanti.»

Sorrise apertamente per la prima volta da quando ero ricomparso. «Inquietanti?»

«In modo gentile.»

«Detto da uno con le ferite sulle nocche e una pistola nella giacca lo prenderò come un complimento.»

Feci scivolare le mani sotto il tavolo. «Sei un’ottima osservatrice. Dovresti lavorare nelle forze dell’ordine o qualcosa del genere.»

«Mi vuoi parlare di quello scontro?»

Non lo feci. Confessare a Nina quello che avevo fatto in preda a un’insostenibile tensione nervosa non era un argomento che desideravo affrontare in quel momento. «Quel tizio continuava a chiedermi se volevo delle altre patatine fritte e io sono esploso. Sai come succede.»

Lei scrollò le spalle. «John è stato qui per qualche settimana. Sembrava funzionare. Ci vedevamo, facevamo passeggiate, parlavamo del mio lavoro — perché, naturalmente, lui non ce l’aveva più. Una parte del problema era questo. Forse era ‘il’ problema. John era un detective molto, molto bravo. Aveva questo insaziabile desiderio di sapere. Lui semplicemente non si sarebbe fermato. Ma non poteva tornare al Dipartimento di Polizia di Los Angeles e non riusciva a vedere in quale altro posto potesse andare. Di lì a poco cominciai a tornare a casa dal lavoro e a non trovarlo. Rientrava dopo mezzanotte, senza dire che cosa aveva fatto. Di solito passava le serate a bere, ma non era questo il punto. Aveva cominciato a vacillare. La sua mente era da qualche altra parte. Poi all’improvviso non si è fatto vivo per cinque giorni.»

«Dove era andato?»

«In Florida, dove vive la sua ex moglie.»

Sapevo che il matrimonio di Zandt era naufragato dopo la scomparsa della loro figlia Karen. Sapevo anche che lui aveva fatto un visita a sua moglie dopo che trovammo i resti di Karen, diciotto mesi più tardi; e mi ricordavo che la notte precedente mi aveva detto che gli assassini non erano l’unica cosa importante della sua vita. «È tornato lì anche due giorni fa.»

«Lo so. Mi ha mandato un messaggio.»

«Pensi che voglia tornare con lei?»

«Non lo so, e credo che non lo sappia neanche lui. In questo momento c’è solo un’idea nella sua testa: trovare l’Homo Erectus. Su tutto il resto è impantanato.»

«Strano, a me ha detto esattamente l’opposto.»

«John mente.» Nina lo disse con una punta di autentica amarezza, ma poi si corresse. «A volte. Ogni tanto dice anche la verità.»

«Be’, la sua abilità investigativa si sta arrugginendo, mi dispiace. La sola cosa che ha saputo offrire per tutto il tempo passato dopo Yakima è stata uno strano tipo di non informazione sulla colonia Roanoke della fine del ’500.»

«Cosa?»

Le feci il resoconto di quello che ricordavo della lezione di storia che mi aveva tenuto John. Quando ebbi finito, Nina aveva un aspetto tetro, e rimanemmo in silenzio per un po’.

Alla fine si alzò. «Bisogna che vada al lavoro. Tu hai fretta?»

Io scrollai le spalle. «Non devo andare da nessuna parte in particolare.»

«Bene. Volevo chiederti un altro favore.»

Quando Nina fu uscita, mi feci dell’altro caffè. Era una bella sensazione essere in una casa, anche se quella di Nina non era certo un modello di ospitalità. In una casa non hai bisogno di spendere soldi o di dare sempre il meglio di te. Puoi semplicemente startene seduto. Fuori, nel mondo, non funziona così. Ma mi ero accorto che avere l’opportunità di non fare nulla, inosservato né scocciato da altri esseri umani, mi faceva sentire un po’ strano. Così mi dedicai a esaudire la richiesta di Nina.

Prima che se ne andasse avevo copiato tutti i file dal disco che le aveva dato Greg McCain. Il disco in quel momento veniva affidato alle cure dei poliziotti insieme a quello ficcato nella bocca di Jessica. Non sapevo in che modo Nina avrebbe spiegato il viaggio illegale compiuto dal primo e non mi piaceva il fatto che prendesse tutti quei rischi. Lei era l’unica tra noi ancora connessa al mondo reale, e io avevo l’impressione che stesse cominciando ad andare alla deriva, come una spina che viene estratta lentamente dalla presa. E sapevo per esperienza che una volta che questo accadeva, i contorni delle cose potevano cambiare e tu rischiavi di non riuscire ad adattarti alle nuove forme che avevano assunto. I gruppi di figure a ogni angolo di strada e in ogni porta d’ingresso imbevuta di piscio dimostrano che la musica della civilizzazione si arresta spesso e che non ci sono mai abbastanza sedie per tutti.

La prima cosa che feci fu guardare i filmati. Non erano veri e propri video, ma lunghe sequenze di immagini fisse che cambiavano a determinati intervalli. Ce n’erano sei. Tre mostravano Jessica ubriaca che faceva svogliatamente del sesso con tre tizi diversi; due volte sul divano che dominava il suo piccolo salotto, e una volta nel letto. Le immagini erano molto sgranate, poco illuminate, e in un caso quasi completamente buie. Non c’era nessun tentativo di recitare davanti alla telecamera, la cui posizione restava fissa. Era come guardare Ken e Barbie che venivano fatti accoppiare da un bambino che non aveva la minima idea del significato di quel gesto. L’ora indicata su tutti e tre i video suggeriva che immortalavano l’ultimissima parte di serate passate nei bar. Uno degli altri filmati, che copriva un intervallo di tempo di quattro ore, mostrava la ragazza mentre guardava la televisione, si occupava delle pulizie primaverili, suonava brevemente la chitarra, e faceva un timido tentativo di assemblare una scaffalatura non molto complessa. Per la maggior parte del tempo indossava un paio di pantaloncini color arancio e niente altro. Un’altra sequenza la mostrava seduta a non fare nulla, apparentemente subito dopo aver pianto. Nel video finale i fermo-immagine erano effettuati a intervalli più lunghi, di circa cinque, dieci minuti, e mostravano Jessica che dormiva sul divano, sotto una coperta illuminata dal televisore fuori campo. Alla fine si alzava e rimaneva seduta a guardarlo per un po’, sorseggiando una tazza di caffè. Nina mi aveva detto che Jessica aveva quasi trent’anni, ma nelle sequenze di questo video in cui era sveglia sembrava che ne avesse quarantacinque.