Quando fummo dentro mi diressi immediatamente al bricco del caffè. Nel farlo passai davanti alla segreteria telefonica di Nina.
«Hai un messaggio,» dissi.
Nina schiacciò il pulsante e osservò il numero che comparve. «È Monroe.»
Il messaggio era breve. Una voce maschile diceva bruscamente di chiamarlo a qualunque ora Nina fosse rientrata. Lei alzò gli occhi al cielo, ma premette immediatamente il pulsante che ricomponeva il numero.
«Ufficio di Charles Monroe.» La voce arrivò forte e chiara dall’apparecchio.
«Sono Nina Baynam,» disse Nina strofinandosi gli occhi. «Ho ricevuto un messaggio.»
La persona all’altro capo del filo non rispose, ma non più di tre secondi dopo sulla linea si udì la voce del capo di Nina.
«Nina, dove diavolo sei stata?»
«Fuori,» disse, chiaramente sorpresa dal tono. «Perché non mi hai chiamato sul cellulare?»
«L’ho fatto tre volte.»
«Oh. Be’, ero in un posto rumoroso.» Mentre lo diceva mi fissava. «Che problema c’è?»
«Ho appena ricevuto una telefonata dal SAC di Portland.» Nina divenne immediatamente più seria. «Un altro omicidio?»
«Sì e no. Nessun nuovo hard disk, nessuna nuova ragazza.»
«Bene, e allora cosa?»
Quando Monroe riprese a parlare lo fece procedendo con attenzione e lentamente. «L’altro ieri notte una prostituta di nome Denise Terrell è venuta alla stazione di polizia. Era confusa. Ha detto di essere andata quel pomeriggio a un appuntamento e che ‘era accaduto qualcosa’. L’unica cosa che sa è che si è risvegliata di notte, appoggiata a un cassonetto della spazzatura. Alla fine ci siamo accorti che aveva una brutta commozione cerebrale e l’abbiamo portata all’ospedale. La mattina seguente la donna è riuscita a ricordarsi qualcosa di più e ha cominciato a raccontare di essere stata ingaggiata da uno dei clienti abituali dell’agenzia, ma di avere fatto un accordo con un altro uomo che in qualche modo sapeva che l’agenzia aveva dei rapporti regolari con quel tizio. Quest’uomo l’aveva contattata direttamente offrendole del denaro perché lei lo portasse dove doveva avere luogo l’appuntamento. Aveva detto che quel tizio gli doveva un mucchio di soldi, che voleva beccarlo in un posto riservato, dove lui avrebbe avuto la guardia abbassata. La ragazza, che sul lavoro si fa chiamare Cherri, aveva accettato.»
«Charles, c’è una conclusione?»
«I poliziotti di Portland sono andati all’indirizzo fornito dalla donna e hanno trovato un uomo morto. Il suo nome era Peter Ferillo. Era proprietario di un ristorante e aveva dei legami con la malavita organizzata qui a Los Angeles. Era nudo e ridotto male, gli hanno sparato alla testa, lasciandolo stravaccato su una sedia. Hanno fatto tutti i rilievi del caso: stanza, pavimento e soffitto, ma non hanno trovato niente. Ma poi un ufficiale di pattuglia ha rinvenuto un oggetto in un’aiuola trenta metri più avanti lungo la strada. Si trattava di un cavatappi macchiato di sangue, del sangue di Ferillo. Hanno preso le impronte sull’utensile e ne hanno trovata una, chiara e completa. Hanno fatto il riscontro.»
Gli effetti del vino su di me sembravano spariti. Nina e io ci stavamo guardando.
«Nina,» disse Monroe, «l’impronta appartiene a John Zandt.»
Capitolo sedici
Mentre guidava aveva la percezione della rete che lo circondava. La rete di strade, di persone, di luoghi, di cose. Anche dell’altra rete, del mondo moderno. Questa realtà parallela fatta di viali di indirizzi e-mail privati e di siti di commercio online. Si poteva trovare così tanto là fuori, facendo scorrere la realtà tra le mani come fossero quelle di un dio. Sulla rete tutto è informazione; oggigiorno sul web c’è tutto, quindi è il mondo che è diventato informazione. Tutto è diventato un’espressione di questa cosa, di questa banca di parole e informazioni. Tutto diventa qualcosa che si dice o che è stato detto. È qualcosa che riguarda il comprare, il guardare, che riguarda le nostre abitudini e i nostri desideri, i contatti con gli altri, il voyeurismo, le aspirazioni e la dipendenza. È un nostro surrogato — la nostra essenza nel bene e nel male. Non è più qualcosa di passivo, ma racconta la nostra storia e a volte questa storia necessita di un lavoro alle spalle. A volte c’è bisogno di tirarla fuori. Aver trovato Jessica in quel luogo era stato un nuovo inizio. Naturalmente ci sono molte ragazze come lei, ma c’è anche un’unica Jessica. Una volta trovata, potevi spalancare la finestra sulla sua vita, confermare la sua esistenza; ma al tempo stesso potevi anche chiuderla. Potevi chiudere il programma, non farla mai nascere. Potevi uscire e cancellare la memoria e allora il passato spariva e tutto era limpido. Il tasto «Canc» è lì per un motivo: a volte devi solo ripartire da zero.
Una delle sue sequenze di webcam preferite era di Pittsburgh, una città nella quale non era mai stato. La serie era costituita da tre frame che coprivano il periodo dalle 5:43 alle 6:14 di una mattina di fine maggio 2003. Tutti erano stati presi dalla stessa telecamera, anche se questa era del tipo che cambiava direzione e livello di ingrandimento tra uno scatto e l’altro, invece di fornire un’unica inquadratura fissa. Nella prima immagine la metà superiore dell’inquadratura era occupata da un cielo albeggiante azzurro e rosso, reso tumultuoso da nuvole epiche. Sotto, il fiume Allegheny curvava a sinistra dal centro e i ponti della Sesta, Settima e Nona Strada riflettevano le loro luci sullo specchio scuro dell’acqua sottostante. Dappertutto, sulle strade, su ambo le rive del fiume, e attorno alla fontana e lo stagno alla fine del Point State Park e del Gateway Center, c’erano molte luci. Piccoli punti bianchi resi dorati o rosati dall’oscurità che si ritirava e dai limiti della webcam. La seconda immagine era presa con un’inquadratura più stretta e nel quarto d’ora trascorso la camera aveva zoomato molto e ruotato in tutt’altra direzione. Era impossibile far combaciare quella piccola porzione con la città nel suo complesso. L’immagine inquadrata era piena di alberi, che venivano attraversati da un accenno di autostrada che curvava immettendosi in città, e da qualche uccello mattutino che si preparava a cominciare il suo lavoro — il tutto mostrato più chiaramente perché la webcam aveva meno cielo con cui fare i conti. Nell’ultimo frame l’immagine ritornava quella della confluenza dei due fiumi ed era di nuovo scura e panoramica. L’angolo, rispetto alla prima, era leggermente diverso, un po’ più rivolto verso sud, e permetteva di vedere il Monogahela mentre si univa all’Allegheny, e con il Fort Pitt Bridge ancora nell’oscurità. Non c’erano punti illuminati in quel momento — come se la città li avesse spenti tutti senza eccezione alle sei in punto, o come se il cielo ora più chiaro avesse fatto sì che la webcam sovresponesse tutte le zone terrestri.
Aveva passato del tempo a studiare queste immagini, cercando di capire cosa il web dicesse delle persone che inquadrava. Mostrava che si poteva vivere in una città, essere uno dei suoi abitanti, senza averne alcuna comprensione o senza fare parte del suo quadro complessivo. Un po’ come dei topi che vivono in una casa — loro abitano lì, ma ciò non significa che abbiano dei diritti, che debbano essere visti come qualcosa di più di un semplice e benigno divertimento, che non siano facili prede per i gatti o le trappole. In maniera analoga, potevi rimanere seduto tutto il giorno in un ristorante senza diventare mai niente di più di un tizio di passaggio che occupa il posto di qualcun altro, uno spazio preso in prestito dando denaro in cambio di caffè e hamburger. Anche se avevi la tua bella casetta nei sobborghi dovevi pagare in qualunque caso il tuo tributo: intaccavi il prestito che avevi chiesto per acquistare la proprietà, tagliavi gli interessi per l’apparecchio dentario di tuo figlio e il gruzzoletto per il futuro matrimonio di tua figlia, pagavi l’assicurazione che poteva coprire le spese dell’assistenza sanitaria per il tumore dei tuoi genitori, ma che non avrebbe salvato le loro vite. Prendevi le tue giornate e le davi ad altre persone, che ci facevano dell’altro, che con i tuoi giorni facevano cose, con il tuo tempo vendevano dei prodotti. Le tue giornate, il tuo tempo erano ì loro ingredienti segreti, la loro dodicesima erba, o spezia; la tua vita veniva regalata in fondo ai loro pacchetti come i regali invisibili di Cracker Jack. In cambio loro ti aiutavano a pagare alcuni dei tuoi debiti alle banche, agli ospedali e al destino — e così tu andavi avanti e indietro, ogni giorno, sul percorso che da casa tua portava al lavoro, alla guida di una macchina che stavi pagando a rate e che qualcuno avrebbe fatto portare via con il carro attrezzi dal tuo vialetto, indipendentemente dalle condizioni in cui si trovava, se solo avesse ritardato di pochi giorni il pagamento di una rata.