L’uomo si protese in avanti. «Dov’è?»
Un quarto d’ora dopo Nina uscì dall’edificio. Camminava in modo rigido, con il busto eretto e con un passo regolare. Non si voltò per guardare in alto verso la finestra della stanza 623, sebbene sospettasse fortemente che Monroe sarebbe stato lì a osservarla. Se lo avesse visto c’era il rischio che tornasse sui suoi passi, entrasse nell’edificio, corresse su per le scale e tentasse di fargli del male. Lei era forte. Avrebbe anche potuto farcela. Si sarebbe sentita meglio, ma al tempo stesso avrebbe distrutto la propria carriera. In effetti, questo poteva già essere accaduto, ma non sarebbe stata lei a scrivere la parola decisiva.
Invece salì in macchina e uscì dal parcheggio. Si prese tutto il tempo per svoltare a destra e procedette lentamente per un po’ senza una meta definita. Nel giro di una decina di minuti si rese conto, con un misto di rabbia e paura, di essere seguita.
Accostò alla prima cabina telefonica che incontrò. Si diresse verso di essa sentendosi come un’attrice, e fece due telefonate. Quando risposero alla prima chiese un favore, rimase in ascolto mentre qualcuno le spiegava perché non la poteva accontentare, e poi fornì una breve ma convincente ragione per dimostrare il contrario.
Mentre attendeva di prendere la linea per la seconda chiamata, Nina guardò la strada e vide la berlina che la pedinava accostare venti metri più avanti. I casi erano due: o quel tizio era un principiante, oppure gli era stato detto di non nascondersi. Entrambe le opzioni la facevano incazzare.
Dopo circa dieci squilli, risposero.
«Le cose stanno prendendo una brutta piega,» disse a una segreteria telefonica. «Tieniti alla larga e guardati le spalle.»
Riagganciò e si diresse alla macchina. Quando passò accanto alla berlina grigia, si sporse e mostrò il dito medio al guidatore. Lui la guardò impassibile e non la seguì. Mentre si dirigeva verso casa, Nina constatò con sorpresa che gli occhi continuavano a riempirsi di lacrime, ma poi capì che a generarle erano la rabbia e l’offesa subita. La collera era positiva, porta a qualcosa.
«Rimpiangerai di avermi conosciuto, Charles,» mormorò, e si sentì leggermente meglio, anche se non per molto. In quanto agente sospeso dal servizio, con un ex fidanzato indagato per due omicidi e un capo che non credeva più a quello che lei diceva, non era chiaro in che modo Nina potesse far rimpiangere qualcosa a chicchessia.
«Dobbiamo andarcene da qui,» disse Ward.
Stava infilando un computer nella borsa con la quale era arrivato. Era rimasto immobile a guardare mentre Nina urlava per la seconda, e poi la terza volta nella segreteria telefonica di Zandt, prima di toglierle dalle mani il telefono.
«Non importa chi sia il tizio con l’abito scuro,» disse. «È evidente qual è il suo compito. Fa parte della trappola per John, e quell’uomo è abbastanza potente da poter entrare in un ufficio dell’FBI e far sì che il responsabile della sezione faccia quello che lui vuole. Sei sicura che non fosse un pezzo grosso dei federali?»
«Non ne aveva l’aria.»
«Comunque sia, non ha alcuna importanza. Potrebbe far parte degli Uomini di Paglia oppure eseguire i loro ordini. Il che significa che non siamo al sicuro in questa casa o in città.»
«Ma dove possiamo andare?»
«Da qualche altra parte. Parli russo?»
«Ward, dobbiamo trovare John. È molto più in pericolo di noi. Stanno cercando di incastrarlo per qualcosa che non ha fatto.»
«Forse. O forse no.»
«Che vuoi dire?»
«Voglio dire che noi possiamo affermare dove è stato solo in base a quello che ci ha detto lui. Ti dice che è in Florida e lo dice anche a me. Nessuno di noi due ha intenzione di fare una ricerca per rintracciarlo, contattare la compagnia telefonica del suo cellulare e chiedere l’esatta localizzazione della chiamata.»
«Ma perché avrebbe ucciso quel Ferillo?»
«Dici che è impossibile? Eppure ha ucciso l’uomo che pensava avesse rapito sua figlia. E a quei tempi era ancora un poliziotto.»
«Sto solo dicendo che doveva aver avuto un ottimo motivo.»
«Forse. Non lo sapremo fino a quando John non risponderà a una delle nostre chiamate. Nel frattempo, c’è un modo attraverso il quale tu possa entrare in possesso dei tabulati delle sue chiamate dal cellulare? Se riusciamo a localizzare geograficamente i posti da cui ha telefonato saremo in grado di farci un’idea sulla veridicità o meno del suo alibi.»
«Ci sto lavorando su. Mentre venivo qui ho chiamato in ufficio per questo.»
«Bene. Nel frattempo raccogli la tua roba.»
«Ward, non intendo lasciare il mio…»
Lui smise di fare le valigie, si avvicinò a Nina e posò le mani sulle spalle di lei. La guardò negli occhi e la donna si accorse che questa era la distanza minima alla quale si fossero mai trovati. Si rese anche conto che quello era un uomo che aveva passato tre mesi senza una dimora stabile è non per divertimento, ma perché aveva capito che sarebbe arrivato un momento come quello in cui si trovavano.
«Sì invece, Nina,» disse. «Sapevamo che avremmo avuto pochissimo tempo a disposizione prima che arrivassero a noi. Ed eccoci qui. È cominciata.»
Due ore dopo si trovavano sulla 99 e stavano oltrepassando Bakersfield, diretti a nord. Ward andava veloce e non diceva una parola. Il cellulare di Nina squillò e lei si ruppe un’unghia nell’estrarlo dalla borsa. Quando vide il numero sul display imprecò.
Ward la guardò. «È John?»
«No, non riconosco il numero. Potrebbe essere la telefonata che sto aspettando, oppure…»
Premette il pulsante verde e ascoltò la voce di Doug Olbrich, che aveva fatto quanto gli era stato richiesto. Nina gli fece le tre domande che aveva già formulato nella sua testa. Dopo che ebbe udito le risposte interruppe la comunicazione e rimase seduta con la testa tra le mani.
Ward le concesse venti secondi esatti, poi domandò, «Allora?»
Nina non mosse la testa. «Era un tizio che conosco della polizia di Los Angeles. È a capo della task-force che si occupa dell’assassino dell’hard disk.»
«E quindi?»
«Gli ho chiesto di recuperare alcuni rapporti. Ha qualcuno che è molto bravo in questo genere di cose.» Improvvisamente, e senza preavviso, colpì il cruscotto con tutta la sua forza. «Ho mandato all’aria tutto, Ward.»
«Perché?»
«Olbrich è entrato in possesso del dettaglio delle chiamate del cellulare di John. Ha rintracciato la provenienza di alcune telefonate e ha scoperto che tre giorni fa John ha fatto una chiamata a un numero che ho riconosciuto essere quello del tuo cellulare.»
«Sì, bella scoperta. È quando ci siamo messi d’accordo per incontrarci a San Francisco. Quando mi ha detto di trovarsi in Florida.»
Nina annuì, senza aprire bocca. Si guardò le mani, che teneva in grembo. La cuticola sotto l’unghia rotta stava sanguinando.
«Dimmi tutto Nina.»
«John ha mentito,» disse. «Sono almeno sei settimane che non va in Florida. Si trovava a Portland il giorno in cui Ferillo è stato ucciso.»
Parte III
Il rumore della pioggia
Capitolo diciannove
Il cadavere venne ritrovato tra i cespugli. Capita. Ci sono persone che vengono ritrovate nei boschi, in camere da letto surriscaldate e in disordine, nei cortili sul retro delle case, nei parcheggi e nelle uscite posteriori dei cinema, nelle piscine o dentro le automobili. Si può essere trovati morti praticamente ovunque, ma di solito i cespugli sono il posto peggiore. In questi casi le condizioni dei corpi e le posizioni in cui vengono rinvenuti lasciano poco spazio al confortante dubbio che si possa trattare di qualcuno semplicemente assopito, ubriaco o svenuto, in un modo o nell’altro privo di conoscenza ma ancora in grado di essere riportato tra i vivi. Un Morto tra i cespugli è un morto con la «M» maiuscola.