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«Non proprio. Questo è un ruscello,» disse l’uomo, indicando una linea ondulata. «Credi che potremmo trovarci abbastanza vicino alla tua gola?»

«Sinceramente non lo so. Potremmo dare un’occhiata.»

«Andiamo.»

Circa venti minuti dopo, cominciarono a sentire un rumore regolare di acqua corrente. Aggirarono una formazione rocciosa e trovarono un ruscello, largo circa un metro e mezzo, che scorreva impetuoso tra rive basse e muschiose.

Tom scosse la testa. «Non è questa. E la caviglia comincia a farmi male.»

Henrickson guardò verso il ruscello a monte. «Le rive potrebbero diventare più ripide da questa parte.»

«Forse.» Tom si sentiva stupido, sebbene avesse saputo che sarebbe stata un’impresa quasi impossibile, e avesse messo in guardia il reporter. «Non lo so.»

Henrickson appariva in forma e arzillo come alla partenza, ma non aveva più fatto alcun sorrisetto. «Lo so cosa stai pensando, amico,» disse comunque. «E non è un problema. Come avrai immaginato, io voglio trovare sul serio questa creatura. E poi — cos’altro posso fare? Tornare in città e starmene seduto in mezzo al traffico? Preferisco stare qui a camminare. Seguiamo per un po’ questo ruscello. Sappiamo che stiamo cercando un corso d’acqua che somiglia a questo, e la mappa non ne indica nessun altro nelle vicinanze. Ma prima credo proprio di avere voglia di una buona dose di caffè.»

Tom stava per liberarsi dello zaino, ma Henrickson alzò una mano. «Non c’è bisogno, lo prendo io.»

Allentò le cinghie e Tom sentì le mani dell’altro che si infilavano nella parte alta dello zaino. «Fai attenzione,» disse Tom. «Ci sono dei frammenti di vetro.»

«Ah, sì. E come mai?»

«Sono i resti di un paio di bottiglie rotte, un ricordo della mia prima visita da queste parti. Non l’ho ripulito accuratamente. Dovrebbero essere sul fondo, ma…»

Si rese conto che l’altro non lo stava ascoltando e che le sue mani non erano più dentro lo zaino. «Tutto a posto?»

Non ci fu risposta. Tom si voltò e vide che Henrickson teneva in mano qualcosa che non somigliava affatto al thermos del caffè, e che la stava osservando.

«Che cos’è?»

«Dimmelo tu, visto che era nella tua borsa.»

Tom diede un’occhiata più da vicino e vide un mazzettino disordinato di erbe ormai appassite. «Non ne ho idea.»

«Probabilmente non è nulla. Saranno cadute lì dentro, credo.»

Guardò Tom, e questa volta il suo sorriso fu così ampio da dividergli in due il volto. «Continuiamo a procedere, che ne dici? Avanziamo risalendo il fiume.»

Mentre procedevano, sorseggiando caffè bollente e zuccherato, Tom notò che l’altro sembrava possedere una marcia in più.

Altri quaranta minuti di cammino li portarono più in alto di diverse decine di metri. Seguirono il ruscello tra salite e discese, intorno ad affioramenti rocciosi. Le rive non sembravano crescere in altezza. Questa volta fu il giornalista a fermarsi.

«Non mi dice niente di buono,» disse. Tirò di nuovo fuori la sua cartina. «Dovremmo essere qui ormai.» — Indicò un’altra zona bianca — «Vale a dire molto più a est di quanto pensassi. Stando a quanto hai detto tu.»

«Che cos’è quella linea nera?»

«Una strada. Vediamo, è del tutto plausibile che tu non l’abbia notata quando stavi cercando di ritrovare la via per il ritorno, ma… dai un po’ un’occhiata alle linee. Sembrano discendere fino a lì, che è probabilmente il posto dove sei andato a finire. Nel qual caso non avresti impiegato due giorni per tornare a casa. Quindi… Che c’è? Ti senti bene?»

Tom era immobile, con la bocca leggermente aperta. La richiuse lentamente e poi parlò controvoglia. «Sì, solo che… Quella donna. Patrice. Quella con gli scarponi.»

«Cosa ha fatto?»

«Era lì. Ha visto il mio zaino e, stando alle sue parole, è lei che ha lasciato le impronte. Connelly ha detto che vive da queste parti. Il che significa…» Si zittì.

«… che deve sapere dov’è il posto e che magari è in grado di arrivarci. È questo che vuoi dire, Tom?»

L’altro annuì.

«Veramente non ci hai pensato prima o semplicemente non volevi che qualcun altro si immischiasse?»

«In tutta sincerità, non mi è venuto in mente e basta. Quando la donna è venuta alla centrale di polizia non mi sentivo affatto bene.»

«Andiamo!» Henrickson teneva le mani poggiate sui fianchi e per un momento guardò nell’altra direzione. Poi scosse la testa. «Okay amico. Avrei dovuto arrivarci da solo. Eh sì, capisco che sarebbe stato più fico arrivarci da solo. Ma così non ci arriveremo mai, non credi?»

«Jim, mi dispiace.»

«Non importa. Ma credo che quello che faremo ora sarà tornare alla macchina e andare a cercare rinforzi. Se questa donna ci può condurre là, ci risparmierà un sacco di tempo, e il tempo è essenziale.»

Henrickson tirò ancora fuori la cartina e consultò la bussola. «Taglieremo diritto di qua,» disse. «Il senso dell’orientamento è una gran bella cosa, ma ora facciamo la strada breve, sei d’accordo?»

Partì nella direzione da cui erano venuti, e Tom lo seguì.

Impiegarono più di un’ora per ritornare all’inizio del sentiero, grazie a un percorso più diretto e praticamente tutto in discesa. Nel momento in cui scavalcò nuovamente il tronco che delimitava la piazzola di parcheggio, Tom ebbe la certezza che qualcosa era cambiato. Non guidava più adesso, ma seguiva. Non era così che sarebbero dovute andare le cose. Avrebbe dovuto fare qualcosa per cambiare la situazione, se necessario.

Henrickson riportò l’auto sulla strada e guidò per i pochi chilometri che li separavano da Sheffer. Si fermò in un bar lungo la strada e fece alcune domande mentre gli riempivano il thermos. Quando ritornò in macchina, strizzò l’occhio a Tom.

«Forse abbiamo trovato quello che cerchiamo,» disse. «A qualche chilometro nell’altra direzione c’è un complesso residenziale chiamato Cascade Falls. Si tratta di un progetto mai decollato, ma di sicuro ci vive una persona. Il rimbambito là dentro crede che il cognome della donna sia Anders.»

«È lei,» disse Tom. «Patrice Anders. Proprio lei.»

«Alleluia. Siamo di nuovo in pista, amico.»

Ci volle quasi mezz’ora per ritrovare la direzione verso l’autostrada, dirigersi a nord e poi puntare verso le montagne. La strada cominciò ben presto a restringersi, come se fosse un fiume percorso a ritroso fino alla sua minuscola fonte. Voluta dall’operatore immobiliare, non era altro che un accesso al terreno che cercavano di vendere. Ben presto una fitta fila di alberi ricoprì ambo i lati del tracciato.

«Non si può certo dire che sia una strada trafficata,» disse Henrickson allegramente.

Tom guardava fuori dal finestrino, domandandosi cosa potesse spingere qualcuno a venire a vivere in un posto come quello. Di tanto in tanto si vedeva un cartello inchiodato a uno degli alberi più vicini alla strada. Si poteva comprare un pezzo di terreno, andarci a vivere, e poi?

Alla fine Henrickson accostò e spense il motore. Davanti a loro, sulla sinistra della strada, c’era un cancello. Su una tavoletta di legno attaccata a esso era visibile il nome Anders.

Uscirono dalla macchina, aprirono il cancello e percorsero un sentiero che passava tra gli alberi. Dopo circa duecento metri videro dinanzi a loro una costruzione. Nel momento in cui la raggiunsero, Tom si stava domandando se fossero davvero nel posto giusto. L’edificio appariva piccolo, freddo e vuoto, a dispetto della luce sopra la porta.

«Come casa non è granché,» disse. Assomigliava più a un capanno con veranda, una semplice costruzione quadrata di legno con una tettoia da un lato. L’ingresso della casa era lì sotto, in direzione del sentiero: una porta con il numero 2 marchiato a fuoco. C’erano quattro piccoli pannelli di vetro nella parte superiore e la vista sull’interno era impedita da una spessa tenda.