Henrickson bussò. «Dannatamente compatta, questo è poco ma sicuro.»
Quando, dopo alcuni secondi, non ci fu risposta, bussò nuovamente. Tom, nel frattempo, era salito su un piccolo rialzo davanti alla casa. Una ventina di metri più avanti, in mezzo agli alberi, c’era un’altra baita, ma era buia e coperta dalla vegetazione. Mentre si avvicinava, Tom riuscì a scorgere il tenue luccichio di un laghetto ghiacciato, presumibilmente anch’esso parte della proprietà. Di lato, a una certa distanza, c’era una fila d’alberi, separata da…
Avanzò ancora un po’, ed ebbe l’impressione di avere visto una terza costruzione in lontananza. In un primo tempo pensò di chiamare Henrickson, ma poi, per qualche ragione, non lo fece e decise invece di ritornare sui suoi passi.
Henrickson stava bussando per la quarta volta. «In casa non c’è nessuno,» disse. «Probabilmente è tornata a Sheffer per godersi le luci abbaglianti e l’ambiente della metropoli, il che è un po’ deprimente. Comunque…» Guardò l’orologio, «il tempo passa. Tu hai detto che la donna ha dichiarato che il posto in cui ti trovò era piuttosto lontano dalla sua proprietà. Forse non riusciremo comunque ad andare e tornare oggi.»
Si allontanò dalla porta e si diresse a una delle piccole finestre sul fianco. Anche questa aveva le tende tirate, ma erano di un materiale più sottile. Tom guardò insieme al compagno attraverso il vetro, ma non riuscì a vedere nulla.
«Per oggi abbiamo finito,» decise Henrickson. «Adesso ce ne torniamo in città. Vediamo se riusciamo a recuperare il numero di telefono di questa donna per poter fare le cose come si deve domani. Per ora ho sono affamato come un orso. Senza offesa.»
Sbirciarono un’ultima volta attraverso la finestra, e poi ripercorsero il sentiero fino al cancello.
Solo quando i due furono di nuovo in macchina e il rumore dell’auto che si allontanava si era perso in mezzo agli alberi, la tenda della porta di ingresso si mosse.
Capitolo ventuno
Quando fu sicura che gli uomini se ne erano andati, Patrice aprì la porta e uscì. Rimase lì per un po’ ascoltando attentamente, ma percepì solo il solito silenzio che regnava sulla sua proprietà. La donna non prendeva mai in considerazione il vento autunnale, gli uccelli in primavera o gli insetti laboriosi in estate. Per lei quelli non erano rumori.
Le tracce sulla neve indicavano che gli uomini avevano percorso a piedi il sentiero per poi girare attorno alla baita. Esaminandole, la donna si rese anche conto che uno dei due uomini aveva…
Seguì le impronte strascicate che conducevano sul piccolo crinale e poi fino al laghetto. Si fermavano dopo pochi metri. Patrice constatò che, a meno che non avesse avuto uno scarsissimo spirito di osservazione, l’uomo non poteva non aver notato l’altro piccolo edificio in lontananza. Però non lo aveva sentito chiamare il compagno ad alta voce o farne menzione. Questo non significava necessariamente qualcosa. L’uomo poteva essere semplicemente infreddolito, affamato o annoiato. Non aveva importanza. In quel capanno non c’era nulla eccetto attrezzi, umidità e il ricordo di un amplesso furtivo che lei e Bill avevano consumato una notte d’inverno quando avevano dovuto riparare il tetto.
La donna si diresse verso lo stagno che delimitava la zona selvaggia della sua proprietà. Si sedette sulla panchina che circondava il grande albero a pochi metri dal confine e dalla distesa d’acqua ghiacciata.
«Stanno arrivando,» disse sottovoce. «Cosa devo fare?» Lui non rispose. Non lo faceva mai. Non sapeva neanche di cosa lei stesse parlando, ma Patrice si rivolgeva sempre a lui, per ogni evenienza. Agli uomini piace essere coinvolti.
Nei mesi successivi alla morte di Bill, Patrice si era ritrovata catapultata in un mondo nuovo e strano, nel quale ogni cosa sembrava essere stata fatta a pezzi e ricostruita poi maldestramente. Imparò che il frigorifero assumeva un aspetto freddo se lo si riempiva solamente con il cibo necessario e non con quelle cose superflue che potevano rallegrare lo sguardo del proprio compagno. Si ricordò che i pezzi di carta non riportavano più strani ghirigori, che le buste, le bollette e le ricevute non erano decorate con disegni a forma di alberi, gatti o barche, e che questo le rendeva strane. Una delle lezioni più difficili che Patrice dovette imparare fu che alcuni gesti, alcune parole non trovavano più la loro collocazione naturale. Avrebbe potuto passare la giornata con il postino, o chiacchierando mentre faceva la coda al supermarket, ma non avrebbe potuto dire a Ned che il suo naso era buffo, oppure rivolgersi a qualcuno e cantargli il jingle di qualche stupido spot che la faceva ridere. Perché quello era il genere di comportamento che avrebbe fatto dire alla gente: «La povera vecchia si sta rincoglionendo, poverina, bisogna fare qualcosa.» Era accaduto un fatto che poi si era dissolto come una goccia di pioggia sull’asfalto incandescente. Tranne lei, nessuno guardava un videoregistratore che funzionava male.
Passi la giornata a domandarti quale sia la ricompensa. Ben presto diventa chiaro che il premio è unicamente la possibilità di affrontare anche il domani. Sopravvivi ora dopo ora, ma alla fine non ti aspetti nulla. E così cominci a capire qual è l’obiettivo. E difatti il premio di oggi è identico a quello di ieri. Con una calma apparente, ma in realtà con un grido che ti cresce dentro come il fischio di un motore a vapore dimenticato da tempo nel buio di uno scantinato, superi anche il prossimo domani, e dopo quello, tutta un’altra piatta distesa di ulteriori domani. Ne hai attraversati abbastanza per capire che in realtà non si trattava di veri e propri domani, ma solo del miserabile succedersi di un eterno oggi. Cosa puoi fare? Ribellarsi non serve a nulla. Se stai cercando di smettere di fumare e improvvisamente la cosa ti sembra un sacrificio eccessivo e ti rendi conto che la possibilità di non fumare domani non è una ricompensa sufficiente per non farlo oggi, allora puoi precipitarti dal tabacchino più vicino, comprare un pacchetto di sigarette, aprirlo e sentirti al tempo stesso felice, deluso, provocatore e colpevole. Con la morte non c’è la possibilità di un simile fallimento trionfale. Non puoi dire: «Vaffanculo, rivoglio mio marito.» La gente intuisce questa realtà, seppure in modo imprecisato, e non mette il mondo alla prova, perché si rende conto che formulare questa richiesta e ricevere un rifiuto la farebbe impazzire del tutto. Finiamo per acquisire indirettamente la dura consapevolezza che non c’è via di scampo, che non possiamo rinunciare a rinunciare, che non possiamo accarezzare i capelli della persona amata e baciarla dolcemente sulle labbra per svegliarla e riportare il mondo alla normalità, come se quello che è accaduto fosse stato solo un brutto sogno o uno stupido scherzo.
Dopo una vita consacrata spontaneamente a fare e a pensare la cosa giusta, Patrice si era improvvisamente trovata alla mercé dei pensieri più politicamente scorretti che si potessero immaginare. Osservava le persone che intasavano le casse dei supermercati, vecchi artritici cui facevi fatica a stare vicino. Sei mesi prima si sarebbe chiesta cosa li rendeva così infelici, se c’era qualcosa che lei poteva fare per loro. Adesso pensava solamente a quanto fosse ingiusto che vivessero ancora. Quando vedeva in televisione un appello per qualche ospedale infantile si chiedeva perché mai la gente si commuovesse così facilmente quando si trattava di bambini che avevano fatto così poco per il mondo, mentre uno come il suo Bill aveva dedicato così tanto del suo tempo per diventare parte della vita di altre persone. Della sua, per esempio. E quando un pomeriggio in una strada di Snohomish, un ragazzo aveva cercato di appuntarle una spilla della lotta all’AIDS, aveva reagito di scatto respingendolo. Quando il giovane — dallo sguardo dolce e di bell’aspetto — si era rivolto alla sua collega, una ragazzina straordinariamente carina e compassionevole, e aveva fatto un commento, Patrice l’aveva fulminato con lo sguardo: «Ci sa fare a letto?»