Il ragazzo era arrossito. Mentre saliva in macchina Patrice era paonazza, in collera con se stessa, ma una voce dentro di lei stava ancora borbottando.
Per un certo periodo, nei mesi successivi alla morte di suo marito, Patrice ebbe l’impressione che le cose migliorassero, come se lei avesse cominciato ad adattare la sua mente al nuovo ordine delle cose. Ma apparve subito evidente che non si trattava altro che della quiete prima della tempesta. Cominciò seriamente a perdere il proprio equilibrio. I giorni divennero sempre più difficili, lunghi e quasi impossibili da sopportare.
Poi, una lunga notte del dicembre 2001, all’avvicinarsi del primo Natale senza Bill, qualcosa nella sua testa esplose. Possedeva un CD con le canzoni preferite di suo marito, che lui aveva scelto perché venissero suonate al suo funerale a Portland. Canzoni che lei aveva amato con lui e brani classici che non conosceva, ma cui Bill evidentemente era stato legato in quella piccola parte della sua vita che apparteneva a lui solo; quella parte che aveva preceduto il suo ingresso nella vita di lui. Dall’epoca del funerale, non aveva più ascoltato quella musica. Quando quel giorno il disco era finito, ogni cosa era finita insieme a esso. Quella notte rimise su il disco e lo riascoltò da capo a fondo. Trovò una grande bottiglia di scotch che Bill aveva lasciato e la scolò. In tutta la sua vita non aveva mai fatto nulla di lontanamente simile.
La mezzanotte la colse barcollante in mezzo agli alberi, con i capelli mossi dal vento gelido, scalza, praticamente insensibile. Aveva parlato, urlato, ringhiato, pianto. La sua gola era a pezzi, la bocca secca. Alle sue spalle, la porta di casa era rimasta aperta e sbatteva a causa del vento. Non si sentiva stupida, voleva solamente strappare gli occhi a ogni abitante della terra; desiderava trovare qualcuno, chiunque fosse, e spappolargli il cervello con una pietra. Patrice era come prigioniera di un’oscura nube di terrore, e quella notte comprese di essere arrivata all’essenza di ogni cosa. L’essenza, la verità era questa: l’inferno è la vita stessa, ed essere vivi è tutto ciò che abbiamo.
Uccidersi sarebbe stata una sorta di rinuncia. La squadra della Morte è più forte e agguerrita di qualsiasi altra. È sempre stato così e sempre lo sarà. La Morte era la soluzione, su questo non c’erano dubbi, ma Patrice non sarebbe stata dalla sua parte. Chi rimaneva? Dio non poteva essere più preso sul serio. Ma anche se per lei Dio non esisteva più, in ogni caso la Morte non l’avrebbe avuta facilmente.
Di fronte a questo, Patrice prese una decisione mentre stava in piedi a urlare sulle sponde di un lago ghiacciato, ancora intenta a bere dalla bottiglia di suo marito. Non si sarebbe fatta più fregare da nessuno. Non avrebbe più dovuto rendere conto di niente a nessuno, persona, Dio, idea, verità o promessa che fosse. Nulla valeva la pena e ormai non poteva più credere in nulla. Prima c’era Bill, ora c’era il vuoto.
Ma poi, due settimane più tardi, aveva trovato qualcosa nella foresta, oppure quella cosa aveva trovato lei, e così Patrice aveva cambiato idea.
Il cielo era scuro adesso e il lago appariva come una lastra di marmo nero. Faceva freddo, ed era giunto il momento di rientrare. Tuttavia Patrice rimase seduta ancora un po’ perché adorava quel panorama e temeva che le cose stessero per cambiare. Aveva paura che, sebbene se ne fossero andati, quegli uomini tornassero e che lei sarebbe stata costretta a difendere l’unica cosa cui teneva veramente.
Sia quel che sia.
Capitolo ventidue
Ci eravamo nascosti nel Morisa, un bel pezzo di gloria passata vicino al centro di Fresno. Sembrava che l’hotel fosse stato costruito per resistere a un intenso bombardamento. Questo particolare ci piaceva. Eravamo arrivati in città la notte prima e avevamo deciso di non proseguire. Fino a quando non avessimo avuto un piano e una destinazione avremmo corso il rischio di imboccare una delle tante direzioni sbagliate. Ci registrammo alla reception separatamente, prendemmo camere su piani diversi, poi salimmo e ci addormentammo. Il mattino dopo, di buon’ora, ci dirigemmo a piedi verso il centro. Continuammo a camminare, ma senza riuscire a capire dove andare e cosa fare. C’è qualcosa di molto alienante nei negozi se li guardi con l’occhio di chi non è interessato allo shopping. Chi sono queste persone? Cosa stanno comprando? E perché? Sembrano non meno strane e insignificanti delle facciate tappezzate di assi di legno o dei vicoli coperti di graffiti tra i magazzini abbandonati. Stranamente, mi sembrò di riconoscere alcune lettere su una porta, ma un’osservazione più ravvicinata mostrò che la seconda lettera era una «B» e non una «R», anche se non ne ero del tutto sicuro. Mi sentivo piuttosto paranoico.
A tarda mattinata ci trovammo di nuovo in albergo, nella mia camera. Non era molto grande e non era tappezzata di recente. Io stavo seduto su una sedia e Nina sul letto. Bevemmo il caffè quando lo portarono.
Nina era pentita di aver lasciato Los Angeles, e avrebbe voluto tornare indietro, ma io ero contrario. Sapevo che sarebbe sembrata una fuga — e in effetti lo era. Oltretutto, lei aveva un lavoro, anche se in quel momento era stata invitata a farsi da parte. Trovarsi in quella situazione a causa di una relazione sentimentale (per giunta ormai finita) era per lei fonte di incazzatura come lo sarebbe stato per qualsiasi altra donna. E Nina non era una donna qualsiasi. Dentro di sé aveva un vulcano d’ira. Era così infuriata per il fatto che Zandt le aveva mentito che non voleva più accendere il cellulare. Provai a chiamarlo io un paio di volte, ma non ottenni nulla di più della solita voce metallica che mi informava che il telefono era spento. Poteva trovarsi ovunque nel paese, a fare Dio sa cosa — oppure in guai seri. Per quel che ne sapevamo poteva essere morto.
Nessuno di noi riteneva impossibile che Zandt avesse ucciso Ferillo. Entrambi sapevamo che agli inizi della ricerca di sua figlia, quando era ancora in servizio, John aveva personalmente incastrato e ucciso l’uomo che lui riteneva responsabile. Il problema fu che un ulteriore rapimento aveva avuto luogo subito dopo quell’evento. Ora noi avevamo un nome per quella persona — Stephen DeLong — e sapevamo già che era solo una tra le tante persone che rapivano per conto degli Uomini di Paglia, alla cui testa c’era mio fratello. L’improvvisa comparsa di un file video che inchiodava John per l’omicidio di DeLong — e che evidentemente era stato tenuto in caldo per molto tempo — dimostrava che lo stavano braccando e che si stavano impegnando seriamente nel creargli dei seri grattacapi. Il problema era capire se la morte di Ferillo fosse un esempio di tutto questo, oppure una delle cause.
Dalla camera Nina aveva fatto due telefonate, che le avevano permesso di stabilire che Ferillo era proprietario a Pordand di un ristorante in Stark Street chiamato The Dining Boom. Quattro anni prima l’uomo era stato arrestato a Los Angeles nell’ambito di un’inchiesta sul racket e aveva rischiato di finire dietro le sbarre per molto tempo. Da quella volta aveva fatto molta strada e ora possedeva un ristorante diventato la meta preferita della migliore società del Nord-ovest dell’Oregon. Da piccolo gangster a facoltoso ristoratore il salto era stato grande, ma non diceva nulla sulla ragione che aveva spinto Zandt a fare irruzione nella sua vita o su quella che aveva spinto qualcuno a volercelo far credere.
Dopo quelle telefonate rimanemmo in silenzio per un po’. Il caffè si raffreddò lentamente, ma noi lo bevemmo ugualmente, fino a quando non mi sentii lo stomaco sottosopra. Tenevo la finestra spalancata e guardavo i malconci edifici mentre un cielo adirato scaricava una pioggia battente. Sembrava assurdo stare lì a non far niente, ma non riuscivo a capire cosa avrei potuto fare. Non avevamo alcun modo di trovare John e tanto meno di progredire nell’indagine su Ferillo.