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«Ciao, Charles,» udii un momento dopo.

Seguì il rumore di qualcuno che si sedeva. «Perché non potevamo vederci al tuo hotel?»

«Come fai a sapere che sto in un hotel?»

«E dove altro potresti stare?»

Ci fu una lunga pausa, poi Nina disse: «Charles, ti senti bene?»

«No,» rispose lui. «E nemmeno tu. Abbiamo controllato il video. Si tratta di John e non c’è stata nessuna manipolazione. Anche la sua impronta sul cavatappi a Portland non è contraffatta, e ora c’è un testimone oculare, che ha visto un uomo uscire dall’edificio trascinando una donna. Sembra che l’uomo abbia detto al testimone che la donna era ubriaca e che la stava riaccompagnando a casa. L’identikit assomiglia a John in modo incredibile, e la ragazza ha confermato. Ho anche parlato a Olbrich e so quello che ha scoperto per tuo conto. John era a Portland quella notte.»

«Grazie, Doug.»

«È un poliziotto, non il tuo cazzo di servizio informazioni. Zandt ha ucciso Ferillo, Nina, accettalo. Ha anche colpito la ragazza abbastanza forte da provocarle una commozione cerebrale. Non so cosa diavolo gli passi per la testa, ma proteggerlo non può che danneggiarti.»

«Braccarlo non servirà nemmeno a te. Sei coinvolto anche tu.»

«Cosa vuoi dire?»

In quel momento accaddero due cose: la prima fu che la cameriera arrivò con il mio chili e che ci mise un tempo interminabile per posarlo sul tavolo, facendo un casino incredibile. Si sentì anche in dovere di farmi un sacco di domande: dove stavo, quanto mi piaceva essere lì nella parte storica di Fresno, se ero sicuro di non volere il contorno di cipolle — poteva andare in cucina e farmele preparare in un lampo. Io risposi a queste domande il più rapidamente possibile, a monosillabi.

La seconda cosa fu che Nina era ammutolita.

Non avevo bisogno di vederla per sapere che stava fissando il tavolo, incapace di fare la mossa successiva. Così presi una decisione, pur sapendo che stavo commettendo un errore. Mi alzai, lasciando il mio piatto e girai attorno al muro divisorio.

Trascinai una sedia all’estremità del séparé dove si trovavano Nina e Monroe, seduti uno di fronte all’altra, con le bibite intatte.

Monroe mi guardò. «Posso aiutarla?»

«Spero di sì,» risposi. «Sono un amico di Nina. Le farò la domanda che lei non vuole fare.»

«Nina, conosci questo tizio?»

«Sì.»

«Lei è Charles Monroe, io sono Ward Hopkins. Sono una delle due uniche persone che possono confermare ciò che alla fine Nina le dirà. Probabilmente sono l’unico che lei ascolterà, poiché è improbabile che prenda per buone le parole di John Zandt.»

«Non ho la minima intenzione di ascoltare nemmeno lei, chiunque diavolo sia. Nina…»

«Sì che mi ascolterà» dissi io. «Ma non prima di averci spiegato come faceva a sapere che c’era un cadavere al Knights.»

Monroe fu preso alla sprovvista. Cercò di farmi abbassare lo sguardo, ma dalla morte dei miei genitori era molto difficile spaventarmi. Non è mai stato semplice e ora risultava particolarmente arduo. Era come se a una parte di me, nel profondo, non gliene fregasse più un cazzo di niente.

Nina lo studiava attentamente. «Intendi rispondergli?»

Non disse nulla e vidi il cambiamento sul volto di Nina, e capii che improvvisamente credeva alla mia teoria.

«Bastardo,» disse.

«Nina… Non so cosa ti abbia detto quest’uomo, ma…»

«Davvero?» dissi. «Qui c’è nero su bianco. Se un poliziotto viene ucciso, questo è un lavoro, un problema e un affare della polizia di Los Angeles se il fatto avviene in quella città. Non riguarda l’FBI a meno che non siano i poliziotti a scegliere questa strada, cosa che non fanno. I federali sono il Grande Fratello che nessuno desidera; qui non siamo a ‘X-Files’, dove ti chiamano per un litigio per un parcheggio, per un errore di battitura o per qualsiasi cosa che appaia succulento e in cui possa servire l’aiuto di un uomo vestito elegantemente. C’è una sezione speciale dedicata agli omicidi di questo tipo — hanno intere divisioni che abbandonerebbero qualsiasi occupazione pur di scovare chi ha ucciso qualcuno di loro. Allora, cosa ci faceva lei laggiù? E così presto! Come faceva a essere sulla scena ancora prima che qualcuno entrasse nella stanza del motel? Prima che qualcuno sapesse che c’era un cadavere da trovare?»

Monroe scosse la testa. «Questo è ridicolo. Nina, questo tizio è matto e noi abbiamo abbastanza…»

«Charles, guardami e stai zitto.»

Quasi non riconoscevo la voce di Nina. Era più un suono a metà tra un sibilo e il ringhio di un grosso gatto selvatico, tenuto a lungo in cattività, stufo di essere infastidito.

Monroe la guardò e io feci lo stesso.

«Charles, sai dove sono le mie mani?»

Lui la fissava. «Sono sotto il tavolo.»

«Cosa pensi che stiano impugnando?»

«Oh, Cristo, Nina…»

«Esatto. E ti sparerò su due piedi se non cominci a dire cose credibili.»

«Sanno dove sono.»

«No, non è vero,» disse lei. «In nessun modo metteresti a repentaglio la tua preziosa reputazione pubblicizzando il fatto che hai attraversato lo stato per venire a parlarmi, non con tutte queste cagate che circolano su John. A meno che tu non abbia portato qualcuno con te, certo, cosa che fino a ora non sembra tu abbia fatto.»

«Certo che no,» disse Monroe, apparendo per un momento così infuriato da rendere difficile non credergli. «Dio santo, abbiamo lavorato insieme per così tanto tempo. Siamo sempre stati legati.»

«Giusto. È quello che pensavo anch’io. Fino a quando, ieri, non sono stata sospesa dal servizio, grazie a te.»

«Non avevo altra scelta, lo sai. Zandt ti ha compromesso troppo.»

«Compromesso? Charles, tu accusi me di essere compromessa? Comincia a rispondere alla domanda di Ward. Le mie mani sono sempre al loro posto e ho sempre le stesse intenzioni.»

Monroe si zittì e si mise a fissare la sua tovaglietta, decorata con immagini di cibi ad alto contenuto di colesterolo, che sapevo non avrebbero catturato a lungo la sua attenzione.

«Le cose stanno andando per il verso sbagliato,» disse alla fine in tono tranquillo. «E non solo per te.» Alzò lo sguardo. «Però è colpa tua e della missione, qualunque essa sia, alla quale ti sei votata. Perché non hai voluto raccontarmi semplicemente cosa è accaduto l’anno scorso?»

«Per proteggerti,» disse. «Non c’era niente che tu potessi fare e non sapevamo di chi fidarci.»

«Mi dispiace dirlo, ma a me sembra paranoia pura.»

«Non lo è,» dicemmo all’unisono Nina e io.

Monroe mi osservò attentamente per la prima volta. «A chi avete rotto i coglioni? Con chi diavolo avete a che fare?»

Nina mi guardò e io annuii.

«Si chiamano Uomini di Paglia,» disse. «Non sappiamo quanti ce ne siano, né chi siano. Possedevano un grande appezzamento di terreno nel Montana ed è proprio quello il posto che è saltato in aria.»

«Siete stati voi?»

«No, loro stessi. Era minato,» dissi. «Era disseminato di prove. Cadaveri ovunque. Quelle persone uccidono per divertimento. Avevano una catena di approvvigionamento delle vittime che utilizzava gente come Stephen DeLong. L’uomo che un tempo chiamavate Ragazzo delle Consegne era un altro dei loro fornitori, il più importante, anzi, un serial-killer vero e proprio che faceva parte dell’organizzazione. Incidentalmente quest’uomo è anche mio fratello. Si fa chiamare Homo Erectus. Era l’elemento-chiave di una delle loro altre attività collaterali. Si ricorda l’esplosione alla scuola di Evanston, l’anno scorso?»