Выбрать главу

Connelly non si mosse. «Sarei molto più contento se i signori volessero prendere in considerazione l’ipotesi di trasferirsi in un’altra incantevole cittadina del Nord-ovest.»

«È probabile.» disse Henrickson. «E io gradirei che lei la smettesse di fare il prepotente con il mio amico. Mr. Kozelek sa benissimo che cosa ha visto, e anche lei. Ha visto Bigfoot.»

«Bigfoot non esiste: lui ha visto un orso.»

«Giusto. Lei continui pure a crederlo. Ma, a meno che lei non decida di interrogarlo ufficialmente, penso che sia ora che la smetta di infastidirlo.»

Henrickson strizzò l’occhio e si diresse verso la porta senza voltarsi indietro. Più confuso che mai, e incapace di dire se le cose fossero migliorate o peggiorate, Tom lo seguì.

Appena fuori, il giornalista accelerò il passo, diretto verso il motel sotto una pioggia che cominciava a trasformarsi in nevischio.

«Jim?» disse Tom, affannandosi per tenere il passo. «Che diavolo sta succedendo?»

«Sapevo che c’era qualcosa di strano quando ho trovato quella roba nel tuo zaino. Non mi aspettavo però che la soluzione mi sarebbe stata servita su un piatto d’argento.»

«Spiegati meglio.»

«Hai mai sentito parlare della fitoterapia?»

«Certo. La gente usa le piante anziché le medicine per curare le malattie. Un po’ come per… non saprei, l’aromaterapia.»

«No,» disse Henrickson scavalcando la bassa recinzione del parcheggio dell’albergo. «È una cosa diversa. L’uomo usa le piante da moltissimo tempo. Una medicina non è altro che una forma speciale di cibo, no? Negli anni 70 è stata ritrovata una sepoltura di Neanderthal nel nord dell’Iraq. Il corpo era stato sepolto con otto fiori diversi, praticamente tutti ancora in uso oggi presso gli erboristi. I neanderthaliani conoscevano queste cose almeno 60.000 anni fa e forse ancora prima. Ed ecco perché erano nella tua borsa.»

«Non capisco. Perché?»

«Perché la creatura che hai visto è tornata indietro. È ritornata e ha messo quelle erbe dove tu avresti potuto trovarle.»

Tom si fermò. «Un Uomo di Neanderthal mi ha prescritto delle erbe?»

«Hai fatto bingo.» Henrickson tirò fuori le chiavi della macchina e premette un pulsante. Le luci della sua Lexus si accesero. «Salta su.»

«E ora che facciamo?»

«Sali in macchina e te lo dico.»

Tom si sistemò sul sedile del passeggero. Con un’inversione di marcia molto stretta, Henrickson si immise sulla strada principale passando davanti al Big Frank’s e dirigendosi a est.

Tom credette, ma non poteva esserne certo, di vedere Connelly che li osservava dalla vetrina del bar.

«Jim, dove stiamo andando?»

«A parlare con una persona,» disse. «Qualcuno che sa molte più cose di quanto loro ci hanno fatto credere.»

Nella mezz’ora di viaggio che seguì, l’uomo non aprì più bocca. Tom capì dove stavano dirigendosi molto prima che la macchina svoltasse nella strada isolata che conduceva all’interno del complesso residenziale che nessuno aveva voluto occupare. Henrickson parcheggiò nella strada vuota, sferzata dal vento, a cinque metri dal cancello della proprietà degli Anders. Lasciò il motore acceso, ma spense le luci. L’oscurità piombò come un macigno.

«Aspetta qui.»

Tom osservò l’uomo uscire dalla macchina e allontanarsi. Quando Henrickson giunse all’altezza del cartello di legno diventò difficile distinguerlo. Tornò dieci minuti dopo.

«Questa volta in casa c’è qualcuno,» disse. Il suo viso era duro e freddo, e aveva del ghiaccio tra i capelli. «Oppure non si sta nascondendo abbastanza bene da ricordarsi di spegnere tutte le luci.»

Attraversò il cancello con l’auto e percorse lentamente il sentiero tra gli alberi.

«Non hai riacceso le luci.»

«Lo so.»

«Quando affrontarono l’ultima curva divenne visibile nella tenue luce solare il lago ghiacciato. Nella sua piattezza aveva qualcosa di soprannaturale, come se fosse fiero del fatto che per lui nulla era cambiato, che tutto era rimasto così da sempre. Poi Tom riuscì a scorgere la sagoma scura della baita, sprofondata in mezzo agli alberi, con due piccoli rettangoli di fioca luce gialla.

Henrickson arrestò l’auto, spense il motore e rimase seduto un attimo a osservare la casa.

«Okay,» disse. «Andiamo. Chiudi la portiera senza fare rumore.»

«Jim, stammi a sentire,» disse Tom. «Non possiamo farlo ora. Avremmo dovuto chiamare prima. Non possiamo saltare fuori così, due tizi che si presentano alla sua porta, la spaventeremo a morte.»

A quel punto Henrickson si voltò verso di lui e fece un movimento con la bocca, che non era né un ghigno né un sorriso. Era però simile a tutti quelli che aveva fatto fino ad allora, e questo spinse Tom a domandarsi, con un lieve e silenzioso sgomento, se dopo tutto quelli non fossero stati sempre dei ghigni.

«Scendi,» disse l’uomo.

Tom uscì al freddo, socchiudendo gli occhi per il nevischio. Chiuse la portiera silenziosamente, guardando verso la casa. Se Henrickson aveva ragione, quella donna aveva mentito per farlo apparire stupido. Almeno una volta, forse due. Naturalmente Connelly avrebbe creduto a lei, soprattutto perché odiava dichiaratamente la sola idea di Bigfoot. E mentendo deliberatamente quella donna aveva distrutto la sua storia.

Se bisognava ricorrere all’effetto sorpresa per venire a capo della faccenda, forse ne valeva la pena.

Si voltò quando sentì Henrickson aprire il bagagliaio della macchina. L’uomo ne estrasse un grosso zaino e se lo mise sulle spalle con un semplice movimento. Poi si chinò nuovamente infilando entrambe le braccia nel vano posteriore dell’auto. Quando si tirò su, Tom rimase a bocca aperta.

«Che cazzo è quello?»

La domanda era idiota perché era evidente quello che l’uomo si era messo a tracolla: era un fucile. Era altrettanto palese che l’altro oggetto più corto e tozzo che aveva in mano era una pistola di grosso calibro. Nessuna delle due armi sembrava acquistabile in un negozio di caccia e pesca. Erano più del tipo che si vede nei telegiornali, con colonne di fumo che si alzano sullo sfondo.

Henrickson chiuse il portabagagli. «La foresta è un posto pericoloso,» disse.

«Sicuramente lo è ora,» disse Tom. «Cristo. Sta’ a sentire, non possiamo lasciare questi aggeggi in macchina?»

L’altro si era voltato e si stava dirigendo verso la casa. Improvvisamente molto incerto su quanto stava accadendo, Tom si affrettò dietro di lui. Quando lo raggiunse, Henrickson aveva già bussato alla porta. Rimasero in ascolto. L’altro si stava già preparando a bussare di nuovo quando si fermò, reclinando il capo nel tipico gesto di chi tende l’orecchio. Tom non aveva sentito nulla.

Si udì il rumore di due chiavistelli che venivano liberati e la porta si aprì.

Dentro c’era Patrice Anders e alle sue spalle era visibile una stanza piccola e accogliente. La donna sembrava più vecchia di quanto Tom ricordasse e più piccola, ma non appariva spaventata né tanto meno sorpresa.

«Buona sera, Mr. Kozelek,» disse. «Chi è il suo amico?»

«Lei sa chi sono,» disse Henrickson.

«No,» disse. «Ma so perché è qui.»

«Questo dovrebbe facilitare le cose.»

Lei scrollò le spalle. «Per me sicuramente, perché non le dirò nulla.»

«Sì invece,» disse Henrickson. C’era qualcosa di strano nella sua voce. Passò davanti alla donna ed entrò in casa, perlustrando con gli occhi le pareti. Strappò il cavo telefonico dalla presa nel muro. Poi trovò il cellulare della donna, lo scaraventò a terra e lo calpestò.