«Jim,» disse Tom scioccato, «questo non è il modo di affrontare la cosa.»
«Affrontare cosa?» disse la donna. Cercava di apparire impassibile, ma la sua voce era incerta e aveva il viso tirato. «Per quale motivo crede che sia qui?»
«È un giornalista,» disse Tom entrando. «Vuole scrivere una storia su quello che ho visto. Tutto qui.»
Patrice lo guardò. «Dio mio, lei è proprio uno sciocco ingenuo,» disse.
«Cosa intende dire?» sbottò Tom. Era stanco di essere l’unico a non capire cosa accadeva.
«Non è qui per scrivere. È un cacciatore, ed è qui per uccidere.»
«Uccidere cosa?»
«Un orso, credo. È l’unica cosa che abbiamo in questi boschi.»
Tom guardò Henrickson e dovette ammettere che il suo amico non somigliava più a un giornalista. In parte a causa delle armi che portava, in parte per il modo in cui stava aprendo le credenze che coprivano il muro in fondo alla stanza, frugandovi dentro come se il fatto che il loro contenuto fosse di proprietà di qualcun altro non significasse nulla. «Jim, dimmi che non è vero.»
«Mrs. Anders sta recitando una parte, ma su tutto il resto lei e io siamo in perfetto accordo,» disse Henrickson senza voltarsi. «Sia sulle mie intenzioni sia sulla tua intelligenza. Ah.» Tirò fuori una spessa matassa di corda e la lanciò a Tom. «Legale le mani dietro la schiena.»
«Vuoi scherzare,» disse Tom. «Non lo farò.»
Il calcio del fucile compì una piccola e rapida traiettoria ad arco che terminò sulla faccia di Tom, che non si accorse del colpo in arrivo.
Andò a sbattere sulla cucina economica, scivolò sul tappeto e cadde a terra. Si accorse a malapena di Henrickson che lo scavalcava, chiudeva con un calcio la porta e poi afferrava l’anziana donna per i capelli. Tom scosse la testa per cercare di ritrovare un po’ di lucidità. Si sentiva come se qualcuno gli avesse piantato un cacciavite in entrambe le narici.
«Puoi farlo anche subito,» sentì dire alla donna, mentre era ancora stordito. «Perché io non ti aiuterò.»
La risposta di Henrickson fu un colpo che la mandò stesa sul divano. Poi fu di nuovo su Tom, con la corda in mano.
«Ora troveremo ciò che stiamo cercando,» disse con tranquillità. «E farò quello per cui sono venuto.»
Tom lo guardò, sentì il sangue che gli usciva dal naso e si rese conto del perché la voce dell’altro uomo sembrava diversa. Il suo accento era sparito insieme alla cadenza campagnola e ai termini da boscaiolo. Ora aveva piuttosto la voce di uno straniero. Tom si sentì come se fosse stata la prima volta che divideva la stanza con quell’uomo, e chiunque avesse sentito quella voce l’avrebbe ricordata per il resto della propria vita. La sua voce diceva che ti conosceva, che lui sapeva tutto di te e di chiunque altro.
«Tu mi aiuterai perché in caso contrario ti costringerò a ucciderla, e non credo che la cosa ti piacerà.»
Tutto quello che Tom riuscì a fare fu scuotere la testa.
«Lo farai,» disse Henrickson. «Dopo tutto, non sarebbe la prima volta. Certo, lo ammetto, le circostanze sono diverse.»
«Stai zitto,» disse Tom. Ora la donna stava guardando lui.
«Tom è già uno dei nostri,» le disse Henrickson. «Era il socio di una compagnia di design di Los Angeles. Tutto andava a gonfie vele: una bella macchina, una bella famigliola, una scopatina extra ogni tanto con una delle impiegate. Una notte, dopo aver fatto tardi in ufficio ed essersi fermato a bere qualcosa sulla strada di casa, mentre riaccompagna a casa la ragazza, Tom salta un semaforo rosso. Non poteva permettersi di arrivare ancora una volta troppo tardi. Una Porsche si schianta dal lato del passeggero e la ragazza muore assumendo la forma di un’opera d’arte contemporanea. E con lei il bambino che porta in grembo all’insaputa di Tom. Lui è appena al di sotto del limite, e per fortuna il guidatore della Porsche è ubriaco da far schifo. Così il nostro Tom riesce a cavarsela.»
«Ne sei convinto?» urlò Tom. Si rimise in piedi. Si pulì il naso con la manica, rabbiosamente, senza preoccuparsi del dolore. «Pensi veramente che me la sia cavata?»
«Tu sei vivo, loro sono morti,» disse Henrickson. «I conti falli tu.»
Tom cominciò a muoversi, ma l’altro se ne accorse prima ancora che lui lo facesse. Con un movimento rapido la canna della pistola si piantò in mezzo alla fronte di Patrice.
«Farò in modo che tu la uccida e poi, quando avremo finito, ti lascerò libero,» disse Henrickson. «Non sei riuscito a ucciderti l’ultima volta. Dubito che avrai voglia di ritentare. Ti lascerò sbattere per un anno o due, e poi verrò a cercarti e porrò fine alle tue sofferenze. Forse. Oppure possiamo trovare questo essere, fotografarlo e lasciare che se ne torni da dove è venuto. Tutto andrà per il meglio. Tu otterrai gli onori che non si possono trovare nelle mutandine di una bella ragazza. Sarah potrebbe anche riprenderti con sé.»
«Come fai a sapere tutte queste cose?»
«Perché non è un essere umano,» disse la vecchia.
Henrickson rise brevemente. «Tom, hai intenzione di legarle queste cazzo di mani o cosa?»
Tom guardò Patrice. Un lato del viso della donna era rosso, ma i suoi occhi erano limpidi e fissi in quelli di lui.
«Non lo faccia,» disse. «Non per me, ma per loro.»
Ma lui distolse lo sguardo, e quando la matassa di corda lo colpì al petto, questa volta l’afferrò.
Capitolo ventiquattro
«Santo cielo, Ward, vuoi stare fermo?»
«Fa male. Sono abbastanza vecchio per potermi permettere di dire che fa un male fottuto.»
Ero seduto dal lato del passeggero e avevo i piedi fuori dalla macchina. Nina era all’esterno, accucciata, e stava tamponando la mia spalla con una garza imbevuta di disinfettante. Non avevo idea di dove fossimo, eccetto che ci trovavamo nel parcheggio di un distributore, appena fuori da una cittadina di cui non conoscevo il nome.
«È pulita,» disse. «Almeno credo.»
Guardai la spalla e vidi un taglio irregolare sul muscolo deltoide. Stava ancora sanguinando, ma un po’ meno di quanto avesse fatto per la maggior parte dei cento chilometri da Fresno. Ma comunque faceva male, nonostante avessi ingoiato una manciata degli antidolorifici più forti che eravamo riusciti a trovare nel supermercato dove avevamo comprato la garza e il disinfettante.
Nina mi stava guardando con l’espressione giovanile e preoccupata di chi sperava di aver fatto qualcosa di buono, ma anche di chi si augurava che non continuassi a lamentarmi ancora per molto. Mi resi conto che il graffio sulla mia spalla non era niente se paragonato al colpo che lei aveva preso a The Halls. Sapevo anche che avrei dovuto ringraziare il cielo che il proiettile non fosse penetrato venti centimetri più a destra, nella schiena.
«Grazie,» dissi. «Adesso mi fa molto meno male.»
«Non mentire,» disse. Si alzò e osservò al di là del tettuccio dell’auto la stazione di servizio, dove c’era un uomo con la barba. «Qualcuno ci sta osservando.»
«È solo un benzinaio curioso che si sta chiedendo se intendiamo fare rifornimento oppure no. È tutto a posto. Non tutti cercano noi.»
«Teoria affascinante,» disse. «Hai qualche prova?»
«Non proprio.»
«Che facciamo?»
«Devi chiamare qualcuno,» dissi. «Raccontargli di Monroe.»
«Lo sapranno già,» obiettò lei «Avrà senz’altro avuto un documento di riconoscimento addosso.»
«Non mi riferivo al fatto in sé, ma a ciò che è accaduto, e a quello che significa.»
«Non lo sappiamo,» disse. «Non per certo.»
«Sì che lo sappiamo.»