«Io non ho visto l’uomo che è uscito dal Knights e che ha ucciso il poliziotto. Posso solo basarmi sulle dichiarazioni dei testimoni.»
«Lo so, ma sembrava molto simile all’uomo che ha appena tentato di ucciderci. Anche nei vestiti.»
«È una descrizione molto sommaria. Probabilmente un qualunque impiegato di queste parti non sarebbe molto differente.»
«Non intendevo solo fisicamente. Mi riferisco a un tipo d’uomo capace di entrare in un ristorante e continuare a sparare in presenza di testimoni su tre persone che rispondono al fuoco. Non spaccare il capello in quattro. Non credo che in questo caso dobbiamo cercare due persone.»
«Allora, chi è? Tu hai di nuovo qualcosa in mente, e vorrei veramente che mi dicessi di cosa si tratta.»
«Non possiamo fare altro che continuare il viaggio,» dissi. «Non solo perché dobbiamo allontanarci il più possibile dal luogo del disastro. Ma anche perché c’è una donna che dobbiamo incontrare stanotte e la strada da fare è lunga.»
«Dov’è?»
«A nord. Prendimi la borsa. Ho l’indirizzo.»
Mrs. Campbell non era in casa.
Questa volta avevo telefonato in anticipo, molto prima che arrivassimo a San Francisco. Non ci fu nemmeno la risposta di una segreteria telefonica. È strano come ci si abitui in fretta all’idea che le case abbiano una memoria, che stabiliscano contatti con gli sconosciuti, e possano trasmettere un messaggio per te. Ma nel caso di quella casa non era così. Quindi decidemmo di recarci fin lì fisicamente. Nel frattempo Nina continuava a rifiutarsi di chiamare l’FBI a Los Angeles. Sicuramente dovevano già sapere quanto era accaduto a Monroe, oppure lo avrebbero saputo presto. In ogni caso lei non era più disposta a dar loro fiducia. Pensavo che questo atteggiamento fosse sbagliato, che la cosa più sensata da fare fosse quella di presentarci alle autorità e di dichiararci innocenti il più presto possibile. Anche se poteva darsi che nelle aule di giustizia girasse qualche persona strana questo non significava che il sistema giudiziario nel suo complesso fosse da buttare. Comunque non riuscii a convincerla e alla fine smettemmo di discuterne. Più tempo passavo con Nina e più avevo la sensazione che ci fossero in lei delle difese interne nelle quali sarebbe stato difficile o impossibile fare breccia.
Il dolore alla spalla rimaneva sopportabile fino a che continuavo a ingollare antidolorifici. Il problema fondamentale era che ora la spalla aveva cominciato a indurirsi. Mentre arrivavamo a San Francisco avevo l’impressione che fosse stata suturata da qualcuno che non si era preoccupato molto di capire cosa potesse accadere sotto la garza. Questo mi spinse a concentrare la mia attenzione sulla lettura della cartina, secondo quella che poteva costituire un’equa ripartizione degli incarichi. Nina guidava bene, anche se il suo senso dell’orientamento non era il massimo: le incongruenze dello spazio tridimensionale sembravano irritarla. Non avrei voluto vederla su un veicolo da combattimento Humwee. Credo che sarebbe stata capace di travolgere qualsiasi cosa si fosse trovata sul suo cammino.
«Perché ora?» disse alla fine. «Perché aspettare tre mesi? È vero, tu ti eri dato alla macchia ed era difficile rintracciarti, ma avrebbero potuto arrivare a me e a John immediatamente.»
«Credo che abbiano avuto bisogno di un periodo di riassestamento subito dopo la distruzione di The Halls.»
«Ma non potevano essere tutti lassù. Se sono potenti come crediamo, devono essere di più. Siamo sicuri che il tizio che abbiamo visto con Monroe fosse uno di loro?»
«Ne sono certo, e questo mi spaventa,» dissi.
«Spaventa anche me, ma questo rende ancora più difficile credere che non potessero ucciderci.»
«Sicuramente ci hanno provato stasera.»
«Sì, ma perché non prima?»
«Sei tu che lavori per l’FBI. Se tu finissi in un cassonetto della spazzatura, la cosa susciterebbe una serie di interrogativi. Riesco a immaginarmi Monroe trasformare la faccenda in una crociata.»
«Per il bene del dipartimento, naturalmente. Ma intanto io sarei morta comunque.»
«Queste persone hanno la vista lunga. La capanna che io e John abbiamo trovato a Yakima dimostra che compiono queste azioni da molto tempo. La loro intenzione era di farci sbattere un po’, su terreni dove non costituivamo un reale pericolo, per poi eliminarci alla prima buona occasione. Poi la situazione è precipitata, immediatamente dopo che John ha fatto fuori quel Ferillo. È come se avesse impugnato un grosso bastone e lo avesse ficcato nel loro nido. È evidente che dopo il rapimento di sua figlia, gli avevano messo alle calcagna qualcuno, e che lo hanno ripreso mentre usciva dall’abitazione di DeLong. È evidente che avessero deciso di lasciarlo fare, forse DeLong era pronto per il pensionamento, ma a quel punto John aveva fatto qualcosa di abbastanza grave perché loro decidessero di fare piazza pulita. È John la chiave di tutto.»
«Se non si fa sentire a breve lo ucciderò io con le mie mani.»
«Tranquilla,» disse. «Ti darò una mano.»
Quando fummo nelle vicinanze della casa erano da poco passare le nove. Telefonai di nuovo, ma non ci fu risposta. O la donna non rispondeva alle telefonate per motivi suoi, oppure non era in casa. La prima ipotesi non aveva molto senso, la seconda mi preoccupava.
Nina parcheggiò all’esterno di un edificio che aveva una sola luce accesa, sopra la porta. Uscimmo e osservammo l’abitazione.
«In casa non c’è nessuno, Ward.»
«Non è detto.»
Salii gli scalini e suonai il campanello. Si sentì il suono metallico all’interno, ma non si accese nessuna luce e nessuno venne ad aprire.
«Non mi dice niente di buono,» dissi. «Le persone anziane non escono molto. Sono sempre in casa.»
«Forse dovremmo parlare con i vicini.»
Diedi un’occhiata a come eravamo conciati: la camicia di Nina aveva una vistosa macchia di sangue. La manica della mia giacca si reggeva solo in virtù di qualche filo e alla luce dell’illuminazione stradale aveva un aspetto scuro e sudicio. «Già, è proprio una bella idea.»
«Non hai tutti i torti,» disse. «Allora cosa facciamo?»
Tirai fuori la mia carta di credito ormai inutilizzabile, ma che non avevo avuto il coraggio di buttare via.
«Oh, fantastico,» disse Nina.
Si voltò a osservare le finestre dei vicini mentre io facevo scivolare la carta tra lo stipite e il battente della porta di Mrs. Campbell.
Qualche minuto dopo avemmo la certezza che la donna non era in casa. Mi ero quasi rassegnato all’idea di trovarla con un’ascia piantata in testa. In ogni caso, le stanze erano vuote e in ordine.
«Evidentemente è uscita,» disse Nina. «Forse ha solo più vita sociale di te.»
Ci sedemmo e restammo ad aspettare fino alle nove e mezzo. Poi io mi alzai per dare un’occhiata in giro, mentre Nina rimase seduta ancora un po’. Alla fine mi ritrovai nel corridoio, dove notai qualcosa che non vedevo da diverso tempo: un tavolino per il telefono. Uno di quegli elementi di arredamento pensati per ospitare l’apparecchio telefonico, in un’epoca in cui la possibilità di parlare con persone lontane era ancora considerata una gran cosa. Vicino al telefono c’era un piccolo libriccino con una copertina dai motivi floreali.
Era un’agenda telefonica. La presi e andai alla lettera D. Non riconobbi nessun nome. Poi, rendendomi conto che probabilmente io avrei fatto la stessa cosa, guardai sotto la lettera M, e trovai quello che cercavo.
Sollevai la cornetta e composi il numero. Era tardi. Mrs. Campbell aveva detto che Muriel aveva dei bambini, ma non avevo idea della loro età. Probabilmente mi sarei preso una dose di insulti anche se avesse risposto lei.
«Casa Dupree.»
«Muriel?»
«Chi parla?»
«Mi chiamo Ward Hopkins. Ci siamo incontrati…»
«Mi ricordo. Come ha fatto ad avere il mio numero?»