«Ma cosa ci dice che è stato l’Homo Erectus a uccidere Jessica?»
«Nina, ma quanto tempo ti serve per capire? Hai appena sentito Mrs. Campbell confermare che l’unica connessione possibile tra quelle due donne uccise nella stessa maniera è Paul.»
«Ma come facevi a saperlo prima di venire qui?»
«Non lo sapevo. Solo che… Da quando quel tizio ha cercato di ucciderci a Fresno — e sembrava plausibile che fosse lo stesso uomo di Los Angeles — quale altra spiegazione potresti darmi?»
«Più o meno un milione di altre spiegazioni, Ward. Ammettiamo che il cecchino lavori per gli Uomini di Paglia. Forse. Ammettiamo che stia cercando di attirare l’attenzione su un omicidio. Forse. Ma partendo da quest’unico punto fermo, come fai ad arrivare a concludere che tuo fratello è un assassino? Come può essere l’unica soluzione?»
Non capivo dove Nina volesse andare a parare. «Perché… Perché credo che se stanno cercando di incastrare qualcuno, deve trattarsi di qualcuno a cui loro non possono arrivare da soli. Deve essere qualcuno che è talmente pericoloso, incontrollabile e fuori dai normali schemi comportamentali, che possono cercare di sbarazzarsene solo con l’aiuto diretto della legge.»
«Ma perché lo vogliono incastrare? Lui è uno di loro. Gli ha fornito individui da uccidere e li ha aiutati a far saltare dei palazzi e a organizzare carneficine. Perché…»
«Perché ha compiuto delle azioni — uccidere i miei genitori, rapire la figlia di Zandt — che hanno provocato l’irruzione sulla scena di quattro persone che hanno cominciato a dare loro la caccia armi alla mano. Ha fatto uccidere il loro legale. Ha fatto saltare il loro nido multimilionario in montagna. E chissà cos’altro progetta di fare. Se Paul ti bracca, o se lo pungi sul vivo, puoi essere sicura che te ne accorgerai!»
Improvvisamene mi resi conto che le due donne ci stavano osservando e che Nina e io non avevamo fatto altro che urlare. Tentai di abbassare il tono della voce. «Nina, non vedo quale sia il problema. Hai appena sentito che…»
«Ward, Dio santo, ma l’uomo che hai descritto potrebbe anche essere John.»
La fissai, improvvisamente senza fiato. «Che cosa vuoi dire?»
«Chi è che gli Uomini di Paglia vogliono togliere di mezzo? John. Chi è incriminato dal video che ci hanno messo a disposizione? John. Chi ha ucciso un uomo che poteva avere a che fare con loro? John. Ma se le cose stanno così, chi ci dice che non sia stato John a uccidere quelle donne?»
«Perché… Per quale motivo al mondo avrebbe dovuto farlo?»
«Facevano parte della vita dell’Homo Erectus. Tu sai cosa gli ha fatto tuo fratello. Gli ha portato via Karen. L’ha uccisa, ma non l’ha fatto in fretta. L’ha rapita e ha fornito la prova che era morta solo quando ha sistemato le sue ossa su un sentiero destinato a condurre John verso la trappola, dove lui intendeva ucciderlo. Tuo fratello ha preso la vita di John e l’ha distrutta. Fino a che punto pensi che si spingerà John per ottenere la sua vendetta?»
Aprii la bocca e poi la richiusi.
Nina si alzò. Era furiosa, più arrabbiata di qualsiasi persona avessi mai visto.
«Vaffanculo, Ward. Ti aspetterò in macchina.»
Uscì dalla casa sbattendo la porta. Mi rivolsi alle due donne che mi stavano osservando come gatti curiosi.
«Grazie,» dissi. «Ora devo andare.» Udii la voce di un bambino al piano di sopra.
«Oh, cavolo,» disse Muriel. «Si preannuncia una notte in bianco.»
Fu quando raggiunsi la porta che Mrs. Campbell parlò. «È curioso, lei non mi ha mai chiesto quello che pensavo avrebbe voluto sapere.»
Mi voltai. «Di cosa sta parlando?»
«Non so nulla sul modo di catturare le persone,» disse, «ma ero convinta che lei avrebbe voluto sapere quale fu la sistemazione finale di Paul.»
«Quando?» domandai senza la minima idea di cosa stesse dicendo e aspettandomi di sentire il rumore di Nina che se ne andava in macchina.
«A quel tempo. Chi era la famiglia che lo ha cresciuto,» disse. «La mia amica che vive in Florida era la responsabile dell’affidamento. Mi ha detto che la famiglia si era trasferita a Washington perché la madre della donna stava diventando vecchia e sempre meno indipendente. L’ultima volta che Dianne ebbe loro notizie, fu un anno dopo il trasloco. L’uomo se n’era andato via con una ragazza conosciuta in un locale.»
«Si è ricordata del loro nome?»
«Sì. Se lo ricordava perché assomiglia a quello di un chitarrista rock molto famoso qualche anno prima. A quei tempo Dianne era patita di quella musica. Il nome era un po’ diverso, comunque.»
Scossi la testa. «Qual è questo nome?»
«Si chiamavano Henrickson,» disse. «Vivevano in un posto chiamato Snowcalm o qualcosa del genere, vicino alle Cascades.»
Nina guidò fino all’aeroporto mantenendo un cupo silenzio tombale. Cercai di parlarle ma era come un guidatore fantasma intrappolato in un punto del passato. Quindi nessuno aprì bocca e io mi misi a pensare a John Zandt e a quello che era o non era in grado di fare. Ricordavo anche una cosa che disse quando ci incontrammo fuori dall’hotel a San Francisco, qualcosa che in quel momento non mi era sembrato avere molto senso: «A volte bisogna ripercorrere un lungo cammino per fare quello che va fatto.»
Ora riuscivo a trovare un significato.
Nina parcheggiò e uscimmo. Si diresse spedita alle scale e io la seguii arrancando con la mia borsa.
«Nina,» dissi ad alta voce. La mia voce rimbalzò contro il cemento e mi ritornò piatta e monotona.
Lei si voltò e mi colpì al volto. Mi colse così di sorpresa che barcollai indietro. Mi si avvicinò schiaffeggiandomi ripetutamente, urlando qualcosa che non riuscii a capire.
Cercai di sollevare la mano sinistra per provare a ripararmi, ma il dolore alla spalla fu sufficiente a rendere il movimento goffo e incompleto. Mi resi conto che lei se ne era accorta, e si preparava a colpirmi ancora — proprio sulla spalla — ma poi all’ultimo momento rinunciò.
Invece, mi fulminò con lo sguardo, con occhi così verdi e brillanti che mi sembrava di non averli mai visti prima.
«Non lo fare mai più!» urlò. «Non nascondermi mai più nulla.»
«Nina, non sapevo se…»
«Non mi interessa. Non lo fare e basta. Non trattarmi come se quello che decidi di dirmi debba essere sufficiente per me, come se io fossi una fottuta… pollastrella che prende ciò che viene. John lo ha fatto e se mai lo rivedrò gli spaccherò quel suo naso del cazzo.»
«Okay, ma non te la prendere…»
«… col povero Ward? In due giorni mi hanno sospeso dal servizio, il mio ex ha cominciato a uccidere delle persone, Dio sa quante, ho perso il mio più vecchio amico, ho visto il mio capo colpito a morte davanti ai miei occhi, e ho ancora il suo sangue su tutta la camicia, come la gente continua a farmi notare. Perciò non osare…»
Smise di urlare, batté le palpebre due volte, rapidamente, e mi resi conto che i suoi occhi apparivano più chiari non solo perché ero più vicino, ma anche perché erano pieni di lacrime. Corsi il rischio e le misi una mano sulla spalla. Lei la scrollò con cattiveria, e improvvisamente i suoi occhi tornarono asciutti.
«Nina mi dispiace. Ascolta… non sono abituato a dover dire le cose. Ho passato tre mesi nel silenzio più assoluto e anche prima non brillavo molto per la mia capacità di socializzazione. In tutta la mia vita ho sempre fatto affidamento sul conforto degli estranei, del servizio in camera e dei baristi. Non sono abituato ad avere qualcuno accanto a me che mi ascolti e a cui interessi qualcosa di quello che dico.»
«Non sto dicendo che mi interessi. Ti sto dicendo di non mentirmi. Non mi nascondere le cose, mai.»
«Okay,» dissi. «Ricevuto.» Avevo anche capito, o perlomeno così credevo, che John l’aveva ferita profondamente. In quel momento io ero il suo surrogato. Considerato il livello di rabbia che lei mostrava, pensai che John fosse fortunato a essere altrove.