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«L’omicidio non è un credo.»

«E invece sì, Ward. È esattamente così. È una cosa che riguarda tutti noi. Oggi uccidiamo spinti esclusivamente da sentimenti come l’odio, l’avidità, o come forma di punizione, ma per centinaia di migliaia di anni la nostra specie ha creduto in un tipo di assassinio come elemento di vita e di speranza.»

«E quale sarebbe?»

«Il sacrificio. Noi abbiamo sacrificato animali, ma anche esseri umani. Il sacrificio è un omicidio commesso con intenti magici, e l’omicidio seriale non è altro che una distorsione di questo istinto. Cercano di trasformare giovani fanciulle e ragazzi perduti in simboli degli ‘dèi’ — perfetti, irraggiungibili, crudeli — e il loro modus operandi non è altro che una versione deformata di un antico rituale.»

«Non riesco a seguirti.»

«Ogni passo è lo stesso. Fanno i preparativi, scelgono la vittima; la portano in un luogo segreto, poi la lavano, la nutrono, tentano di comunicare, in poche parole le rendono onore prima del sacrificio. Possono anche avere delle relazioni sessuali con lei, in parte perché il sesso costituisce l’evidente tentativo di accoppiarsi con questi dèi, ma in parte anche perché le degenerazioni sessuali sono l’unica cosa che abbia abbastanza forza da trascinare l’uomo moderno lontano dalla civiltà e per riportarlo sul terreno degli istinti primordiali, innati. Poi compiono il sacrificio, ‘uccidono’ la vittima, in altre parole. A volte si cibano di alcune parti del corpo, per assorbire il suo potere. Spesso conservano un pezzo della vittima o dei suoi vestiti, un po’ come faremmo noi con una pelle d’orso o un dente di lupo, e lo sistemano in un posto speciale, perché il morto sia tenuto in vita. Tutto questo non ti suona familiare?»

«Sì,» ammisi. «Lo è.»

«Poi seppelliscono il resto, restituendolo alla terra, oppure lo distribuiscono — e lo smembramento, il ridurre il corpo in tante parti separate, era anch’esso una pratica comune del sacrificio. Dopo rimangono in letargo per un po’, fino a quando il ciclo non ricomincia — fino a che la musica delle sfere non dice loro che è giunto il momento di compiere un altro sacrificio.»

«Ma i serial-killer non sono sacerdoti.»

«No. Sono pazzi, e per questo motivo arriva il momento in cui il ciclo inizia ad andare in corto circuito. La maggior parte degli assassini ha la consapevolezza, nel proprio intimo, di sbagliare. Capiscono di essere alla mercé di una disfunzione nevrotica che cercano di razionalizzare, ma che non comprendono. Alla fine perdono il controllo perché cessano di rinunciare. Ma gli Uomini di Paglia credono che quello che fanno sia accettabile. Qui sta la differenza. Loro sono convinti che quello che stanno facendo sia non solo giusto, ma anche essenziale, che sia ciò che ha portato la nostra specie al punto in cui si trova ora. Sono convinti che se elimini la cosa giusta al momento giusto, tutto andrà per il meglio. È l’atto di magia originario. Sono ancorati a quell’antico sistema di credenze che dice che uccidere è giusto.»

Smise di parlare. La sua mandibola scattò in avanti in atteggiamento bellicoso, e tutto il suo corpo vibrò per il suo rifiuto di accettare il mondo in un altro modo. Io lo guardai, incerto su cosa dire. Non sapevo come fargli capire che conoscere le cose solo in parte è pericoloso, che non tutto quello che aveva letto su Internet era vero, che la volontà di far combaciare ogni elemento in uno schema preordinato è un segno di maniacalità. Non sapevo come dirgli che se credeva a tutto ciò che mi aveva detto, allora era impazzito. Si è poco inclini a usare queste parole quando ci si trova legati a una sedia in presenza di un uomo armato.

«Hai avuto queste informazioni da Dravecky?»

«In parte. Mi ha anche confermato che l’opinione di alcuni membri della ‘tribù’ — ha usato esattamente questa parola — era che l’Homo Erectus era diventato ormai un ostacolo, e mi ha spiegato cosa è venuto a fare qui. Un sacrificio che non è stato più compiuto da moltissimo tempo.»

«Paul crede che gli Uomini di Paglia lo riprenderanno con loro se porterà a termine il compito?»

«Credo che non gliene importi granché. Stiamo parlando di un uomo che pensa addirittura che gli Uomini di Paglia si stiano rammollendo.»

«Dov’è Dravecky ora?»

«Nel Columbia River.»

«Fantastico. Sei fantastico. Dimmi John: le hai uccise tu le due donne?»

«No.»

La parola fu pronunciata immediatamente e semplicemente. Non sapevo cosa credere. «Allora cosa ci fa Paul quassù?»

John scosse la testa. «Tu non credi a una parola di quello che ti ho detto,» disse, «e non mi importa.» Si alzò e prese qualcosa dalla tasca. Era un pezzo di tessuto spesso, lungo circa mezzo metro.

«Non vorrai…»

Ma con un movimento rapido, mi passò il bavaglio e lo strinse. Poi fece il giro della sedia e si accovacciò davanti a me, fissandomi negli occhi. Non mi ero accorto che, mentre parlava, le tende avevano cominciato a illuminarsi. L’alba era vicina. Nella penombra riuscivo a distinguere il blu intenso dei suoi occhi, il cerchio scuro al centro, ma niente di più.

«Non ti mettere in mezzo, Ward,» disse. «La sua morte per me significa molto di più della tua vita.»

Controllò i nodi, li strinse e poi rise. «Vuoi sapere la parte migliore? Quarant’anni fa erano convinti che il paese sarebbe stato rovinato dalla politica dei liberal democratici. Allora presero la madre di tutte le decisioni: ci voleva il sacrificio del re. E fu il 22 novembre 1963.»

Lo guardai. Lui strizzò l’occhio. «Sono loro che hanno ucciso Kennedy.»

Poi si diresse verso la porta, uscì nell’oscurità e scomparve.

Capitolo ventisei

Durante la notte l’uomo armato se ne rimase seduto su una sedia davanti alla porta. L’altro uomo, Kozelek, cercò di parlargli in due occasioni, ma senza risultato, dopo di che sembrò desistere. Era seduto su un’altra sedia, e per un po’ fissò il vuoto. Poi gironzolò per la cucina, fino a che non trovò una bottiglia di vino. La scolò in venti minuti e poi si addormentò. I suoi sogni non furono affatto sereni. Per due volte pronunciò il nome di una donna.

Patrice invece era sdraiata sul divano. Con le mani legate dietro la schiena non c’era molto altro da fare. Per un po’ aveva tenuto gli occhi aperti, ma si era ben presto resa conto che questo non sarebbe servito a prevenire qualsiasi pericolo. In ogni caso non riuscì ad addormentarsi. Il sonno non la sfiorò nemmeno.

Partirono alle prime luci. L’uomo armato, Henrickson, faceva camminare la donna davanti, Kozelek arrancava dietro di lei, in parte perché non aveva ancora smaltito la sbornia, in parte per il dolore alla caviglia. Essenzialmente dava l’idea di essersi arreso.

Henrickson chiudeva la fila. Ogni tanto Patrice guardava nella sua direzione per controllare dove fosse. Nonostante la notte avesse depositato altra neve fresca, dopo la pioggia e il nevischio, l’uomo sembrava in grado di muoversi silenziosamente.

Patrice li condusse verso la riva nord del lago. Non poteva fare diversamente, se voleva evitare di portare quell’uomo dove voleva andare. Era molto più lontano di quanto lui pensasse, non avrebbe avuto quello che voleva — era celato nel profondo della foresta, dove sarebbe dovuto andare da solo — e la cosa avrebbe potuto avere anche altri vantaggi.

Quando passarono davanti alla seconda baita Patrice alzò lo sguardo e vide la sua immagine riflessa sulla finestra polverosa. Il suo volto si allargò in un sorriso, nel caso in cui qualcosa di Bill fosse stato ancora da quelle parti e lei non fosse più ritornata.