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Mi chinai sul tavolo riflettendo su cosa diavolo facessi in un posto come quello. Tre giorni sono un periodo di attesa troppo lungo per una ciotola di chili, indipendentemente da quanto sia buono. Mi sentivo perfino pronto a dire addio a Relent, Idaho.

Sapevo molte cose su città come Relent perché era in posti come quello che avevo passato la maggior parte del mio tempo negli ultimi mesi. Avevo vagato senza meta attraverso centinaia di chilometri di regioni boschive isolate e praterie negli stati meno attraenti del paese. Inizialmente soggiornavo nei motel, poi un giorno ero andato a un bancomat e avevo scoperto di essere al verde. È straordinaria l’influenza che un piccolo rettangolo colorato può avere sul tuo benessere, sul tuo senso di identità e di appartenenza. Capisci l’importanza delle carte di credito solo quando la macchina te le sputa indietro dicendo «No», e quella parola significa né ora, né dopo, né mai; è in quel momento che ti rendi conto che la tua carta non è mai stata una sorta di bacchetta magica che produceva dell’oro, ma solo un pezzo di plastica che non possedevi nemmeno legalmente. Fu così che mi ritrovai in un parcheggio nel New Jersey girandomi la carta tra le mani fino a che una donna con un 4x4 e tre bambini ciccioni mi disse di togliermi dai piedi. Aveva la sua carta pronta ed era sicura che avrebbe fatto il suo dovere. La invidiai per questo, ma non per i figli, che erano brutti come il peccato.

Camminai verso la mia auto e vi entrai. Rimasi seduto per un po’ a fissare fuori dal parabrezza. In tasca avevo diciotto dollari e qualche spicciolo, e meno di mezzo serbatoio di benzina. Nient’altro, zero.

«Allora, Bobby, che cosa facciamo adesso?»

Ma Bobby non poteva rispondermi, perché era morto. Era stato il mio migliore amico, una delle poche persone il cui destino mi sia sempre stato a cuore. Era morto in un posto chiamato The Halls, quando tentammo di catturare uno psicopatico che si faceva chiamare l’Homo Erectus e che, guarda caso, era mio fratello. The Halls era stato distrutto da un’esplosione che aveva polverizzato anche il corpo di Bobby. Da quel momento il mio amico è diventato un imprevedibile interlocutore. A volte mi diceva quello che avevo bisogno di sentirmi dire, frasi come: «Sì, Ward, forse questa città va bene per passarci la notte», oppure: «Sì, ho proprio bisogno di un’altra birra» — o ancora mi consolava dicendomi che naturalmente avevamo fatto tutto il possibile per trovare le persone che avevano ucciso i miei genitori e che sarebbe stato inutile da parte mia sentirmi in colpa per qualcosa che era andato storto, compreso il fatto che lui era morto.

Poi se ne restava zitto per un bel po’ di settimane. Non so dove andasse in questi periodi, o meglio cosa cambiasse nella mia mente per far sì che io avessi la sensazione di non sentirlo. Perché lo sapevo bene che era solo nella mia testa che lo sentivo. Che in effetti non era realmente presente.

Alla fine uscii dal parcheggio della banca e mi fermai a tre città di distanza, dove mi trovai un lavoro lavando i piatti e tagliando le patate. Il cuoco ecuadoregno mi permise di dormire sul pavimento per due giorni, dopo i quali ebbi abbastanza contante per prendermi una camera tutta mia, a patto naturalmente che non mi desse fastidio dividerla con scarafaggi, polvere e rumore, e che rinunciassi a mangiare. Lavorare in cucina è un’ottima cosa per persone in una situazione come la mia, benché poi si diventi insofferenti per le catene di ristorazione a basso prezzo. I rapporti tra me e l’ecuadoregno si interruppero una settimana più tardi, quando cercai di convincerlo a spartire con me il piccolo traffico di cocaina che aveva messo su tra il resto del personale e alcuni abitanti del luogo, giovani e meno giovani, che di tanto in tanto la sera si presentavano dalla porta di servizio. Finii per scappare in fretta e furia dalla città nel cuore della notte, sanguinando copiosamente e sentendomi un idiota.

Il mattino dopo mi stavo riposando sulla terrazza di un Burger King della parte occidentale della Virginia, ancora sanguinante, anche se meno intensamente, quando sentii nella testa una voce che rispondeva a una mia domanda di nove giorni prima. Mi diedi una ripulita nella toilette del Burger, mi sottoposi al supplizio di una colazione globalizzata a base di materie simil-commestibili e feci una tirata fino in Arizona. Una volta laggiù mi misi alla ricerca di un residence a Flagstaff, il che richiese un po’ di tempo perché c’ero stato solo una volta prima, leggermente ubriaco, e da allora avevo perso l’indirizzo. Osservai il posto attentamente per ventiquattro ore prima di tirar fuori il mio rettangolo di plastica altrimenti inutile e usarlo per entrare.

E fu così che per cinque giorni vissi nella casa di Bobby Nygard.

La prima cosa che feci, una volta data un’occhiata approfondita in giro e stabilito che se qualcuno era venuto a ripulire quel posto lo aveva fatto in maniera molto composta e senza farsi tentare dalle decine di migliaia di dollari di valore dei computer e dell’impianto di sorveglianza, fu di connettermi in rete. Era un po’ di tempo che non lo facevo: ero quasi certo che ogni tentativo di trovare informazioni sarebbe stato notato da qualche parte e avrebbe fatto sì che qualcuno si mettesse sulle mie tracce. Una delle cose nelle quali Bobby era stato un esperto era l’occultamento delle tracce su Internet. Sapevo che se avessi usato il suo sistema di casa sarei stato al sicuro, almeno per un po’.

La prima tappa furono i miei conti bancari. Scoprii presto che il mio conto principale era stato chiuso e il suo contenuto si era volatilizzato. Non chiuso, ma vuoto, era invece un altro conto in una banca diversa, dove era stato trasferito il denaro proveniente dal patrimonio dei miei genitori. Qualcuno lo aveva ripulito, lasciando un credito di un solo cent.

Uscii dalla rete e mi appoggiai allo schienale, come intontito. Non ero sorpreso, ma si trattava comunque di una pessima notizia e quel deposito residuo di una monetina mi faceva venir voglia di trovare qualcuno e rompergli il muso. Andai in cucina, trovai un piatto da usare come posacenere e rimasi fermo a osservare la strada. E fu proprio allora che sentii la voce di Bobby. Aveva sempre cercato di farmi smettere di fumare e nella mia testa, evidentemente, era rimasta questa idea. In ogni caso finii la sigaretta. Ma era comunque bello sentire la voce di qualcuno, anche se mi stava scocciando e anche se era la mia.

Rimasi in quella casa. Mi sembrava un posto sicuro ed ero stanco di spostarmi. Mi nutrii attingendo ai barattoli di cibo nelle credenze, in modo da non essere costretto a uscire. Passai un sacco di tempo a leggere gli appunti e i manuali di Bobby e setacciai la casa da cima a fondo il più rispettosamente che potei. Trovai un nascondiglio dov’erano custoditi documenti di identità falsi e li presi, sapendo che Bobby li aveva comprati da qualcuno di cui si fidava. Trovai anche poco meno di seimila dollari in contanti, nascosti in una scatola di computer nel seminterrato. Mi sedetti e li guardai per un po’ sentendomi una merda per averli trovati e per quello che stavo per fare. Bobby aveva una madre. L’avevo rintracciata un mese prima per comunicarle la notizia della morte del figlio. Era ubriaca quella volta e mi aveva tirato addosso degli oggetti, anche se non avevo capito se quella fosse una reazione alla notizia — fra loro non c’erano rapporti molto stretti — o solo un modo di fare abituale. Forse il denaro sarebbe dovuto andare a lei, ma non sarebbe stato così. Era molto probabile che fosse sporco ed ero profondamente convinto che Bobby avrebbe approvato il mio gesto. E comunque questo sarebbe successo, in ogni caso.