Finalmente arrivai su un terreno più roccioso. Gli spari erano cessati, ma non riuscivo a vedere nessuno.
«Nina?»
Nessuna risposta. Feci un giro su me stesso e cominciai a correre nella direzione in cui pensavo di averla vista andare.
Avevo fatto qualche metro e stavo acquistando velocità quando improvvisamente mi ritrovai senza fiato, schiena a terra, con la neve nelle orecchie e una pietra che mi schiacciava la spina dorsale.
Qualcuno uscì da dietro un albero. Poi un piede si posò sul mio petto, premendo a fondo. Io cercavo di respirare, a corto di ossigeno e con fitte lancinanti che dalla schiena si propagavano in tutto il corpo. Gemetti senza volere. Il piede schiacciò ancora di più e un viso comparve a un metro dal mio.
Capelli corti, occhiali rotondi.
Era il killer del ristorante di Fresno. Mi piazzò la fredda canna di un fucile in mezzo alla fronte e spinse forte.
«Ciao, coglione,» disse.
Nina era a una cinquantina di metri. Aveva sentito qualcosa che correva attraverso gli alberi, qualcosa che non dava l’impressione di essere rallentato né dalle rocce, né dalla neve, né dal terreno irregolare. Doveva essere Paul. Chiunque altro fosse lì insieme a lui, Nina sapeva che l’unica persona in grado di muoversi così agilmente in condizioni simili poteva essere l’Homo Erectus.
Perciò, dopo aver sentito il rumore dei colpi, si era diretta giù lungo il pendio, facendo fuoco all’impazzata, e aveva avuto una fugace visione di qualcosa che si muoveva più in basso. Ma dopo qualche minuto si fermò ansimando e senza più riuscire a vedere o a sentire nulla.
Poi udì un urlo alle sue spalle.
«Ward,» disse, cominciando a risalire la china — scivolò e sbatté la faccia contro la roccia.
Continuò a procedere.
L’uomo spinse la canna del fucile ancora più forte contro la mia fronte.
«E così tu saresti suo fratello,» disse. «Al ristorante sei stato fortunato. Stasera meno. Sembra che tu non abbia quello che ha lui. Sei solo un altro dilettante.»
Tossii. Era l’unica cosa che ero in grado di fare.
«Anche lui morirà stanotte,» aggiunse l’uomo, premendo ancora più forte sul fucile. «Grazie al tuo amico.»
«Chi?»
«John Zandt. Come pensi che abbiamo fatto a sapere come trovarvi? Ha fatto un accordo.»
«Non ha ucciso Dravecky, quindi?»
«Il capo è vivo e vegeto. Naturalmente il tuo amico pensa di uscire da tutto questo come se niente fosse, ma si sbaglia di grosso.»
Premette ancora di più per un attimo. I suoi occhi brillavano dietro i piccoli cerchi di vetro. La sua soddisfazione per il fatto che io non riuscissi a respirare era evidente.
«Adios, testa di cazzo, è tempo di farla finita.»
Riuscivo a vedere il dito che lentamente si stringeva sul grilletto e avevo l’impressione che il terreno si stesse appiattendo per trasformarsi nella mia pietra tombale.
Chiusi gli occhi. Non volevo che la faccia di quest’uomo fosse l’ultima cosa che avrei visto prima di morire.
Sentii il rumore di uno sparo, ravvicinato. Poi altri due, immediatamente dopo.
Aprii gli occhi proprio mentre l’uomo cadeva all’indietro. Voltai la testa e vidi Nina che accorreva.
Si inginocchiò al mio fianco. «Stai bene?» Aveva una guancia coperta di sangue.
Mi sollevai sui gomiti con qualche difficoltà. Stavo bene, perlomeno nel senso che riuscivo a muovermi ed ero in grado di dire che sentivo male ovunque. Il che presumibilmente significava che la mia schiena era intatta e che quindi potevo rimettermi in piedi da solo.
«Cosa è accaduto alla tua faccia?»
«Non farmi innervosire. Cosa ti stava dicendo? Stava dicendoti qualcosa su John? Mi è sembrato di sentire il suo nome.»
«No. Stanno cercando Paul.»
Mi afferrò per il braccio e mi aiutò a tornare in posizione eretta. Traballavo vistosamente e facevo fatica a tenermi in equilibrio. Ritrovata una certa stabilità respirai profondamente, tenendo le mani poggiate sulle ginocchia.
Quando mi raddrizzai vidi Nina china sul tizio. Udii tre spari provenire da una certa distanza davanti a noi. Nina non si mosse.
«Nina…»
«Aspetta un minuto,» disse.
L’uomo a terra stava cercando di sollevare il busto. Perdeva sangue da una coscia e dalla parte posteriore del collo. Si muoveva lentamente, dando comunque l’impressione di riuscire a resistere. Nina gli sferrò un calcio in un fianco.
«Questo è per Monroe,» disse con voce bassa e rabbiosa. «È uno stronzo, ma è il mio stronzo.»
«È corrotto,» disse l’uomo e la sua voce era poco più di un sospiro.
«Chi non lo è?» Il viso di Nina era teso. «E poi, visto che gli avevate già passato l’informazione, perché diavolo avete ucciso quel poliziotto?»
«Per forzargli la mano. Monroe non aveva fatto nulla dopo il primo avvertimento.»
«Il nome dell’agente era Steve Ryan.»
«Chiunque fosse, stavo solo facendo il mio lavoro,» disse sogghignando.
«Giusto,» disse Nina. Annuì una volta e poi fece per andarsene.
Poi si voltò e gli sparò alla testa. Si chinò verso di lui e gli disse: «Questo è da parte di sua moglie.»
Capitolo trenta
Patrice era raggomitolata da circa dieci minuti quando udì il rumore di qualcuno o qualcosa che si muoveva velocemente, che si infilava tra i cespugli della gola. Rimase incerta sul da farsi. In fin dei conti ognuno di noi è convinto che rimanendo assolutamente fermi e non guardando, i mostri non ci vedranno.
Ma lei decise che doveva sapere.
Sollevò la testa e vide la Morte spiccare un salto nel letto del torrente, e fermarsi poi indecisa in mezzo al corso d’acqua, apparentemente dimentica della sua presenza lì. Patrice la vide valutare le diverse opzioni, e poi cominciare a risalire il fiume a lunghi balzi e scomparire dietro un paio di grossi alberi. Ma Patrice sapeva che non si era allontanata molto.
Frugai nella giacca dell’uomo e presi tutte le pallottole che trovai, poi mi resi conto che non avevo intenzione di usare l’arma di quell’assassino, e la lasciai cadere al suo fianco.
«È successo qualcosa lassù,» dissi.
«Merda,» disse Nina. «Sì, ho sentito gli spari.»
Ci precipitammo su per il sentiero dal quale eravamo venuti. Faceva freddo e il vento, sferzante, continuava a ululare facendomi sentire lontano anni-luce da casa. Ora cominciavo a zoppicare, e il dolore tremendo nella parte destra della schiena mi diceva che dovevo avere qualche costola rotta. Ci eravamo allontanati più di quanto credessi. Passarono cinque minuti prima che vedessi Nina irrigidirsi e bloccarsi; alzai lo sguardo e vidi una figura di fronte a noi, vicino alla sommità del crinale.
«Non sparate.» Era Phil. «Cristo,» disse. «State bene? Cosa vi è successo?»
«Ne abbiamo steso uno,» dissi. «E tu?»
Scosse la testa, si voltò e cominciò a camminare rapidamente verso la posizione di Connelly. Noi lo seguimmo.
«L’ho inseguito,» disse. «Ma non sono riuscito a trovarlo. Poi ha cominciato a sparare da non so dove e c’è mancato poco che mi facesse saltare le cervella. Io ho risposto al fuoco e mi sono riparato dietro una grande roccia, cercando di trovare una via d’uscita, ma ho incontrato un burrone e così ho pensato che per me era finita. Non potevo andare da nessuna parte e…»
Per un attimo sembrò vergognarsi. «Forse avrei dovuto sparare prima, ma non l’ho fatto. Non ho mai tentato di uccidere qualcuno prima d’ora. Così, mi sono alzato, dicendomi che dovevo cercare un’altra strada per tornare, ed è in quel momento che ho visto quest’altro tizio.»